No Tav: la cassazione ha stroncato l’indagine sul Terrorismo
Per quei magistrati che baldanzosi parlavano di un banale vizio di forma all’indomani del dispositivo della Cassazione, è arrivato il deposito delle motivazioni. E alla faccia del vizio di forma! In 43 pagine la Suprema Corte ha sgretolato l’intera indagine che pervicacemente e sfiorando il ridicolo pm e giudici torinesi hanno portato avanti con il paraocchi.
Mentre a Torino si celebra un processo farsa con accuse traballanti, Roma procede con la dinamite facendo non solo saltare l’accusa di terrorismo, ma minando seriamente la ricostruzione dei fatti e l’attentato alla vita degli operai del tunnel di Chiomonte.
Il terrorismo che non c’è
Per cercare di colmare le lacune della Procura, il tribunale del Riesame aveva individuato nello sputtanamento (leggi lesione all’immagine del Paese) il “grave danno” previsto dalla legge per determinare se una condotta è terroristica o meno. La Cassazione non l’ha nemmeno preso in considerazione. Perché un’azione sia definibile come terroristica, infatti, dovrà essere dimostrata
“un’apprezzabile possibilità di rinuncia da parte dello Stato alla prosecuzione dell’opera Tav e di un grave danno che sia effettivamente connesso a tale rinuncia o, comunque, all’azione mirata a tal fine”
Come abbiamo sempre sostenuto, non basta dire “c’era il rischio che l’opera venisse interrotta”. Era necessario che gli autori dell’azione volessero questo, che l’azione fosse idonea a produrre quel risultato e che avesse creato una possibilità concreta che lo Stato interrompesse i lavori. Si ringraziano dunque i ministri Lupi e Alfano che, nei giorni successivi alla notte del 13 maggio 2013, non perdevano occasione per finire davanti a una telecamera per recitare con piglio muscolare il trito armamentario dello Stato che non si lascia intimidire: “Non si arretra”, “l’opera va avanti” e via sgallettando.
La Cassazione, però, va oltre. Non solo dev’essere dimostrato che lo Stato ha corso il pericolo di interrompere l’opera, ma anche che questo sia una diretta conseguenza del fatto contestato. Ovvero bisognerà dimostrare che il tracollo del potere decisionale statale è dovuto all’incendio di un compressore. Auguri. Per la Cassazione è infatti necessaria
“una valutazione stringente dell’effettiva potenzialità lesiva della condotta. Qui interessa la “costrizione” del potere pubblico a tenere od omettere un terminato comportamento e la specifica offensività dei comportamenti”
La sproporzione delle accuse
La Cassazione, per cortesia istituzionale, lascia al nuovo Riesame il compito di decidere se l’incendio del compressore ha prodotto tutto questo, ma di fatto ha già dato una sua valutazione stroncante:
“La connotazione terroristica dell’assalto di Chiomonte non può essere efficacemente contestata in base alla generica denuncia di una sproporzione di scala tra i modesti danni materiali provocati, la cui riparazione avrà richiesto poche ore, e il macro evento di rischio cui la legge condiziona la nozione di terrorismo”
L’attacco “politico” dei magistrati torinesi
L’ex procuratore Caselli, in tutte le occasioni pubbliche, ha sempre ripetuto un mantra: “L’azione della Procura non è contro il movimento No Tav e le sue legittime prese di posizione politiche, ma contro chi commette i reati”. Abbiamo già denunciato l’ipocrisia di questa posizione (una vera e propria excusatio non petita) che cerca di rivestire di verginità istituzionale l’evidente invasione di campo della magistratura nella sfera politica. Ora anche la Cassazione mette in guardia dal pericolo di questo atteggiamento:
“L’idoneità dell’azione deve essere misurata in base al contesto nel quale la stessa è calata, ma in questo contesto non può essere compresa la pressione legittimamente esercitata da movimenti politici e gruppi di cittadini”
Più nello specifico
“L’equiparazione tra condotta illecita politicamente motivata e terrorismo è improponibile”
E ancora
“Una dilatazione impropria della nozione di terrorismo rischia di condizionare meccanismi pienamente legittimi, sul piano costituzionale, di concorso nell’orientamento delle scelte politiche”
Quando Erri De Luca, nel commentare l’uscita di Caselli da Magistratura Democratica, dichiarava che si era liberato dell’aggettivo (l’ex procuratore non era ancora andato in pensione), lo aveva fatto con la solita lucidità. Il mantra della Procura che non fa politica è una foglia di fico volata via al primo refolo di vento.
Il contesto
Diventato centrale per un’indagine che non riusciva a dimostrare il teorema Caselli sulla presenza in Val di Susa del terrorismo (ah, maledetta nostalgia senile che sul viale del tramonto vuole farci rivivere i periodi d’oro della nostra esistenza), è diventato un altro paesaggio in rovina dopo la Cassazione. E dire che Procura, Gip e Tribunale del Riesame avevano sottolineato con così tanta foga quei 111 episodi avvenuti dal 2012… Avrebbero dovuto rappresentare la degna cornice dei fatti del maggio 2013. La Cassazione li ha spazzati via per quello che sono: impianti scenografici.
“Lo stesso Tribunale afferma che non ci sia prova di un coinvolgimento dei ricorrenti nei fatti antecedenti e successivi e non c’è un disegno unitario dele azioni illegali intraprese contro l’opera”
Esattamente ciò che affermavamo mesi fa (al punto 3 qui).
L’attentato agli operai? Dov’è il dolo
Non solo la configurabilità dei reati è demolita, ma anche la ricostruzione dei fatti da parte del Riesame fa acqua da tutte le parti. Secondo la Suprema Corte il Riesame di Torino
“ha assunto una ricostruzione dei fatti non sufficientemente argomentata per poi desumerne comunque conseguenze giuridicamente scorrette”
L’azione, che dovrebbe essere al centro della scena, affogata nella nebbia del contesto e delle valutazioni politiche della Procura, ha perso i suoi contorni.
“Sulla consapevolezza della presenza di operai quella notte nel cantiere, la ricostruzione è piuttosto confusa. Un trattamento cautelare per fatti potenzialmente lesivi della vita e dell’integrità delle persone non può prescindere dallo stabilire in primo luogo se gli attentatori volevano o non volevano le potenziali vittime, se le “bersagliavano” o se piuttosto accettavano il rischio di colpirle. In altre parole se hanno gettato alla cieca le bottiglie incendiarie”
Si può essere terroristi “per caso”? Oppure terroristi “preterintenzionali”? Non si può attribuire a posteriori una volontà o una potenzialità per raddrizzare un teorema nato storto. Nel caso in cui le bottiglie non fossero indirizzate appositamente verso gli operai
“l’accusa di attentato con finalità terroristiche sarebbe incompatibile con la fisionomia dei fatti di specie”
Una fisionomia che, tra l’altro, il tribunale del Riesame ha già fornito, entrando in contraddizione con le sue stesse considerazioni finali. Per i giudici torinesi, infatti, i No Tav tiravano a caso. Scrive la Cassazione:
“dalle riprese il Tribunale ha tratto la conclusione che gli autori del reato non potevano sapere chi o cosa sarebbe stato colpito dal lancio di bottiglie incendiarie, per l’ora notturna, ma soprattutto perché gli ordigni venivano gettati in luogo non visibile dagli autori del fatto posto che l’area del cantiere era delimitata da un’alta recinzione”
A prescindere dunque dalle finalità terroristiche o meno dell’azione, è lo stesso attentato alla vita degli operai che viene messo in dubbio. Come può il Riesame essere incorso in quelli che la Cassazione definisce “essenziali difetti di motivazione” e “mancanza di una coerente rappresentazione dei fatti”? Ci vengono in mente le parole degli avvocati della difesa quando, a caldo dopo l’ordinanza del Riesame, avevano parlato di “abbaglio” e avevano annunciato un ricorso a Roma nella speranza di trovare giudici non così sensibili alla “pressione ambientale”. Quelle parole avevano scatenato l’immediata reazione del procuratore generale Marcello Maddalena a difesa dei giudici torinesi. Una reazione tanto sproporzionata da lasciare più di una coda di paglia sbruciacchiata lungo il cammino.
Perché restano dentro
L’unica nota dolente nella decisione della Cassazione è quella per cui i quattro No Tav non sono stati scarcerati. Qualche giocatore delle tre carte sta già facendo il suo sporco lavoro cercando di intorbidire le acque e raccontare la favola che “l’impianto accusatorio regge” e “la Cassazione avrebbe scarcerato” se non fosse altrimenti. Non è così. La Cassazione è una tegola pesantissima sull’accusa e il tentativo di scimmiottare i processi degli Anni 80 contro i No Tav sembra destinato a fallire. Ma per i giudici romani la custodia cautelare è data dal pericolo di reiterazione del reato. Sebbene l’ircocervo del terrorista valsusino sembri ferito a morte, i quattro No Tav sono ragazzacci. In passato hanno già avuto qualche guaio con la Giustizia e nonostante questo non hanno mai dato segni di “ravvedimento”. Hanno già mostrato di poter compiere azioni politicamente motivate anche gravi e dunque potrebbero tornare a farlo, così dice la Cassazione. Si tratta di una delle tante falle del nostro sistema giudiziario. Come per le misure di prevenzione, eredità del Fascismo, non si colpisce ciò che uno fa, ma ciò che potrebbe fare: un altro taglio di reti, un’altra resistenza, forse un lancio di pietre, ma non un’azione terroristica.
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