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Omicidio Aldrovandi: perché la pm non andò all’Ippodromo?

La domanda si pone ancora all’indomani dell’assoluzione di uno dei poliziotti “depistatori” che però non è colpevole di omissione.
Perché la pm di turno non si recò sul luogo dell’omicidio Aldrovandi la mattina del 25 settembre 2005?

La domanda si ripropone con forza all’indomani dell’assoluzione, in appello, di uno dei poliziotti ferraresi che intervennero nelle fasi successive all’omicidio di Federico Aldrovandi, le fasi del depistaggio. Paolo Marino, all’epoca dirigente della sezione volanti della questura di Ferrara, fu condannato a un anno nel marzo 2010 per omissione: non avrebbe informato dettagliatamente il pm di turno di quanto accaduto in via Ippodromo.
Nel febbraio 2008, al primo processo per l’omicidio di Federico, la Guerra disse di aver parlato col capo delle Volanti tra le 8 e le 8.30, due ore dopo i fatti. Ricorda di aver chiesto «espressamente e più volte» se fosse «necessario e opportuno il mio intervento». Il funzionario le avrebbe detto che il giovane era già stato identificato e che la «verosimile causa della morte» era un’«overdose» e che pertanto il caso «non evidenziava particolare complessità».
Disse che anche il medico legale le spiegò di non aver trovato «elementi obiettivi che portassero a ricondurre il decesso a lesioni personali». Così ordinò la rimozione del corpo. La denuncia partì da qui.
Per il procuratore generale di Bologna il fatto non sussiste. E, dopo sei ore e mezza di camera di consiglio, la corte d’appello ha sentenziato per l’assoluzione dall’accusa mossagli proprio dalla Guerra e questo avrà delle ricadute su un processo ancora aperto per Marino davanti al gip di Ancona per diffamazione e calunnia alla Guerra.
La pm che quella mattina non si presentò sul luogo del delitto ha portato in tribunale per diffamazione a mezzo stampa anche la madre di Federico Aldrovandi, Patrizia Moretti. In pratica, la pm avrebbe querelato il giornale locale La Nuova Ferrara per quasi ogni articolo che la nominava. Quest’altro processo inizierà a Mantova il 25 gennaio 2013.
A scardinare l’impianto accusatorio del primo grado hanno contribuito le testimonianze di due testimoni chiave: l’allora vicequestore Gennaro Sidero e del medico legale Eleonora Lumare. Il primo aveva confermato davanti alla corte d’Appello la versione di Marino. Secondo Sidero il dirigente fece almeno un paio di chiamate al pm di turno dicendo che il ragazzo era deceduto per overdose, secondo lui, e che sul posto doveva ancora arrivare il medico legale (tutto ciò sarebbe stato interpretato come la volontà di non far intervenire la pm sul posto e minimizzare l’azione dei suoi 4 agenti).
Eleonora Lumare affermò invece che la Guerra sapeva già della colluttazione, tanto che non rimase stupita quando gliene parlò al telefono. Ha anche riferito che quella mattina la pm Guerra le aveva chiesto se riteneva dovesse andare sul posto: «Domanda che mai nessun pm mi aveva fatto», è stato il commento della Lumare.
«Molto interessante – commenta Lino Aldrovandi, il papà dell’Aldro – se così è o fosse, perchè la pm di turno di quella maledetta mattina affermò una cosa diametralmente opposta a quanto invece fu asserito nei dibattimenti processuali svoltisi negli anni da uno dei funzionari ora assolti? C’è un dato di fatto incontestabile e incontrovertibile, Federico fu ucciso da Forlani Paolo, Segatto Monica, Pontani Enzo e Pollastri Luca e “qualcuno”, non spetta a me stabilirlo, non fece il proprio dovere. Perchè? Quel corpo su quell’asfalto freddo e disonesto, chiede di essere lasciato in pace, non prima però del raggiungimento di quella verità?». «Insomma, è stata ingannata – come si chiede ancora Patrizia Moretti, la madre del diciottenne ucciso – oppure fu lei a valutare di non intervenire?». (continua a leggere su popoff)
Checchino Antonini