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Perché archiviare l’uccisione di Aziz?

Aziz Amiri era un ragazzo di 18 anni e proveniva da Ben Oualik, Marocco. Come molti suoi coetanei era arrivato in cerca di un futuro. Era a Bergamo da soli 43 giorni. Poche parole di italiano. E due fratelli in città. La sera del 6 febbraio 2010 un colpo di pistola sparato dall’arma di un carabiniere lo uccide.

Trentaquattro mesi dopo, per la seconda volta, una pm, Maria Mocciaro chiede l’archiviazione dicendo che quel militare si è comportato correttamente, non è stato negligente né imprudente: ha solo reagito, per legittima difesa, a una situazione diventata pericolosa per cause indipendenti dalla sua volontà. Secondo la ricostruzione, il carabiniere e un suo collega brigadiere stavano cercando di incastrare degli spacciatori e per farlo avevano tenuto sotto controllo un tossicodipendente, forse loro confidente.

Arrivato il presunto momento della cessione, a Mornico al Serio, una quindicina di chilometri dal capoluogo, i carabinieri si sono avvicinati separatamente all’auto Peugeot 206, Aziz era sul lato passeggero, e alla guida il fratello di 41 anni: il carabiniere, un appuntato, si era avvicinato dal lato guida, ma era scaturita una colluttazione col conducente. In quel frangente era stato sparato il colpo fatale. Per il pm resta confermata la mancanza di colpa del carabiniere, che si è «trovato in una situazione di pericolo», fermo restando che «il colpo è partito non per una reazione negligente, imprudente o imperita, ma per la forza d’urto» provocata dal conducente contro la mano armata per poter fuggire.
Ogni storia ha qualcuno che la racconta e, in questo caso, il narratore è il quotidiano “L’Eco di Bergamo”. A fare da controcanto, come spesso avviene, il paziente lavoro di ricostruzione di un sito di controinformazione, Bg Report che ha deciso di lavorare con Popoff per mettere in fila i dubbi di questa vicenda. I primi articoli che raccontano questa storia sono del lunedì e sono confusi. C’è un morto, dei carabinieri in borghese e un paese della bergamasca. Non esistono versioni ufficiali e gli inquirenti non rilasciano dichiarazioni. Ai giornalisti locali una signora racconta di aver appreso dal figlio della presenza dei carabinieri in Via Verdi e di aver chiesto – non si capisce bene quando e come – a dei passanti cosa era successo, apprendendo che un automobile si era allontanata a grande velocità dal luogo di una sparatoria. Altre persone che erano all’oratorio – poche decine di metri dal luogo del delitto – dicono di non aver sentito auto in corsa; uno di loro ricorda di aver sentito un rumore simile “al botto di un petardo”.

Un testimone avrebbe visto due auto «sfrecciare per le strade del paese scontrandosi proprio in Via Verdi», si titola sul “Tragico inseguimento”, ne sarebbe seguito un corpo a corpo con sparatoria e un morto. Il sottotitolo dell’articolo cita: “Lo sparo, che sarebbe partito dai carabinieri, ha ucciso un uomo che non aveva documenti: forse un marocchino”, quasi a dire che, comunque andrà, è un clandestino. Non si può negare che nel bergamasco, una notizia del genere può avere la sua influenza.
Ecco poi arrivare la prima versione ufficiale: “Cocaina nell’auto che ha speronato i carabinieri”, un titolo che aumenta la diffidenza verso il ragazzo ucciso descritto come clandestino e spacciatore. E’ la versione dei carabinieri: dopo il pedinamento di una vettura sospetta, una Peugeot 206, i due carabinieri, della caserma di via delle Valli di Bergamo, optano per il fermo, scendono, si qualificano e iniziano attimi concitati. Il guidatore ingrana la retromarcia nel tentativo di fuggire, sperona l’auto dei carabinieri e uno di loro cade in terra. Lo spazio per girare è poco e l’auto dei fermati urta contro il marciapiede forando; il guidatore scende e tenta la fuga a piedi ingaggiando un corpo a corpo con l’agente, nel frattempo rialzatosi. Nella colluttazione il fuggiasco prova a rubare la pistola al carabiniere ed è in questo momento che parte il colpo che colpisce il giovane passeggero, uccidendolo. Questa versione verrà ripetuta sette volte in undici articoli.
Ma un abitante smentisce la tesi del colpo accidentale. Mai sentito in fase di inchiesta preliminare, dichiara di aver sentito esplodere non uno ma ben tre colpi di pistola. La testimonianza video viene trasmessa durante un’edizione di Studio Aperto del 7 febbraio 2010. Un quadro totalmente diverso che metterebbe in seria discussione la versione dei due militari coinvolti se qualcuno l’avesse approfondito. Fatta eccezione per il collega del carabiniere e per il confidente, il compagno di Aziz era considerato fino ad oggi la sola persona che potesse aiutare a far luce sul caso. L’8 febbraio 2010 appare sul quotidiano un piccolo speciale sui nuclei operativi dei carabinieri. Tra le altre notizie si informa che: “Spaccio di droga, estorsioni e sfruttamento della prostituzione sono tra i fenomeni criminali che negli ultimi anni hanno visto maggiormente impegnati i militari del nucleo operativo di Bergamo. Proprio sul fronte dello spaccio questi carabinieri compiono decine di controlli antidroga in diverse zone della provincia, in autonomia o al fianco dei colleghi delle stazioni, sulla base di informazioni raccolte da confidenti o da cittadini che assistono allo spaccio nel loro quartiere. Anche sabato sera, prima che partisse il colpo che ha ucciso il giovane nordafricano, era in corso un servizio di questo tipo”.
Il giorno appresso si scagiona la possibile volontarietà dello sparo grazie alla dichiarazione del secondo militare presente sul luogo del delitto: lui era dietro alla portiera del passeggero, perciò, se il collega avesse sparato avrebbe potuto prenderlo. Nessuno attenterebbe alla vita di un collega di proposito, quindi nessun dubbio. Solo l’11 febbraio viene dato spazio alla voce del fratello del ragazzo ucciso. Operaio, regolare, musulmano devoto, moglie e figli. Gli viene dato tutto lo spazio per dire che secondo lui il fratello era innocente: aveva solo 18 anni, era in Italia da poco e non parlava italiano; probabilmente nemmeno sapeva della cocaina. Questa versione non è inverosimile. Poi la vicenda viene lasciata perdere per un anno e un mese dopo una serie di pezzi in cui non si pone mai l’accento sul fatto che i due fermati erano disarmati e che è rimasto ucciso il passeggero, giovane, incensurato e rimasto inerme per tutto il tempo. L’unica volta che si parla dell’assenza di precedenti lo si fa sottolineando che la posizione di Aziz non era “ancora schedata negli archivi delle forze di polizia”.
Il 23 marzo 2011 – a più di un anno dei fatti – si ritorna a parlare del caso: “Diciottenne ucciso da carabiniere. Il pm: archiviate”, un’archiviazione significa che non è necessario un processo poiché tutto si è svolto regolarmente. Ma il testimone sentito da Italia 1 non è mai stato convocato in tribunale. Il 13 giugno 2011 la storia varca i confini della provincia uscendo su La Repubblica con diversi interrogativi sulla vicenda, l’omicidio di Aziz Amiri è all’attenzione del Dipartimento di Stato Usa. Il giorno dopo, sul giornale cittadino viene ribadita per l’ennesima volta la versione consolidata con un unica piccola modifica: il guidatore dell’auto fermata non avrebbe tentato la fuga, ma avrebbe tentato di disarmare il carabiniere attraverso il finestrino aperto dileguandosi dopo lo sparo. Per voce del procuratore legale incaricato dalla famiglia Amiri, si fanno comparire i primi dubbi. Le ultime due righe informano telegraficamente di un particolare che potrebbe essere fondamentale: sembrerebbe che il carabiniere abbia sparato con la sua pistola privata e non con quella d’ordinanza. Aziz sarebbe stato ucciso da un proiettile di rimbalzo. Da dove ricava questa notizia L’Eco di Bergamo?
Per Hillary Clinton, segretario di stato Usa la morte del giovane Aziz Amiri è ritenuta “un omicidio controverso” e viene inserita nel capitolo del rapporto annuale sui diritti umani intitolato “privazione arbitraria o illegale della vita”. Paolo Bulleri, che tutela la famiglia Amiri, si chiede quali fossero esattamente le disposizioni ricevute dai due militari in borghese. Molti i dubbi sollevati sulla dinamica dell’operazione antidroga. Perché i due militari sono intervenuti senza chiamare rinforzi? Come è potuta finire in tragedia un’operazione contro due persone disarmate? Per la prima volta Mohamed Amiri, il fratello di Aziz che vive in Italia da 20 anni, prende la parola al microfono di BgReport, è il 12 luglio 2011. Chiede ancora oggi che l’inchiesta non venga archiviata. Ogni storia ha anche una fine, forse questa non è ancora scritta. Seguite l’inchiesta di Popoff e BgReport.