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Caso Matrogiovanni, il pm scagiona i medici

La famiglia dell’uomo morto dopo quattro giorni di contenzione nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Vallo della Lucania: “E’ una vergogna”.

“Lo so che lo ha visto, ma mi chiedo se lo abbia visto davvero”. La voce di Grazia Serra, nipote di Francesco Mastrogiovanni, ha la profondità di tutta la sua delusione, dopo aver ascoltato le parole del pubblico ministero Renato Martusciello in quella che può essere considerata una delle udienze più importanti sulla morte di suo zio. L’uomo, che aveva 53 anni, è deceduto nella notte tra il 3 e il 4 agosto del 2009 legato mani e piedi al letto di ospedale del reparto psichiatrico di Valle della Lucania. La sua agonia è stata filmata integralmente dalle telecamere dell’ospedale. E quel documento choccante, ma per altri versi eccezionale, è stato trasmesso nei giorni scorsi per intero dal sito de L’Espresso. Ma per il pm – che è subentrato quando il processo era già stato avviato sostituendo un suo collega che aveva ravvisato nell’operato di 16 infermieri e 6 medici reati gravissimi, tra i quali il sequestro di persona – la metà degli imoutati può essere scagionata, e per gli altril’accusa non va oltre l’ omicidio colposo. Il magistrato ha chiesto pene che vanno dai 4 ai 2 anni, soltanto per i medici che erano in servizio dal 3 agosto, quando Mastrogiovanni cominciò a dare i primi segni di affanno. Tra questi c’è il primario, l’imputato per il quale sono stati chiesti 4 anni e 2 mesi: a suo carico infatti, oltre al’accusa di omicidio colposo, c’è anche quella di falso ideologico. Uno dei punti fermi di questo processo, infatti, è che le cartelle erano del tutto incomplete.
Ma per il pm Martusciello tenere una persona legata per quattro giorni a un letto è un trattamento sanitario opportuno, quando del caso. Il pm ha detto che Mastrogiovanni era agitato, e il Trattamento sanitario obbligatorio – firmato dall’allora sindaco di Vallo, Angelo Vassallo – è stato operato correttamente. Per Martusciello a uccidere Mastrogiovanni non è stato un edema polmonare dovuto alla contenzione – come stabilito dalla perizia del precedente pm – bensì un più ordinario infarto. La colpa dei medici è stata di non accorgersi di ciò che stava accadendo.
Sarà che nel video si vede benissimo che Mastrogiovanni, mentre crocifisso sul letto si agitava e urlava probabilmente per chiedere aiuto, non era in cima ai loro pensieri: il primo elettrocardiogramma glielo fanno dopo morto, e per quattro giorni non gli danni nulla né da mangiare, né da bere. Ed era estate inoltrata. Si limitano a idratarlo tre volte con le flebo. Straziante la scena che si vede nel filamto, dell’uomo legato soltanto per le mani nella stessa stanza di Mastrogiovanni per due giorni – e anch’egli coinvolto nel processo come parte lesa – per poter bere: fa cadere una bottiglietta di acqua appoggiata sul comodino con i piedi, e poi la lecca. Ma legare un uomo, dice Martusciello, si può. E’ un trattamento sanitario, come hanno sempre sostenuto i medici imputati.
“E’ una vergogna, tutti hanno visto quello che gli hanno fatto”, ha detto la sorella di Mastrogiovanni, ricordando che oggi sarebbe stato il suo compleanno. “Il pm non ha neanche preso in considerazione quello che ho sempre raccontato, e cioè che mi tennero lontana da mio zio con l’inganno — racconta Grazia – quando andai in sopedale il 3, mentre stava morendo, chiedendo di entrare, mi dissero che stava riposando e che io lo avrei agitato. Invece nel video si vede che era in agonia”. Difficile darsi pace per la famiglia Mastrogiovanni. Anche perché hanno sempre contestato la decisione del Procuratore capo di affidare l’incarico a Renato Martusciello, una vecchia conoscenza di Mastrogiovanni. Era stato lui a chiedere – e ottenere – la condanna dell’uomo, che faceva il maestro e in paese era conosciuto come un anarchico, per una lite che si era svolta davanti a un bar del paese contro due carabinieri. Mastrogiovanni al processo portò i testimoni che lo scagionavano. Martusciello non gli credette, ma soprattutto lo condannò a ben 2 anni e 9 mesi. Più o meno quanto ha chiesto per gli uomini che lo hanno ucciso.
Eppure le immagini ritratte in quel video hanno sconcertato e indignato non soltanto l’opinone pubblica, ma anche associaizoni da sempre impegnate nella difesa dei diritti delle persone recluse, come A Buon Diritto, Antigone, Il detenuto ignoto. Per loro quel filmato rappresenta finalmente una prova di ciò che non si dovrebbe fare nei reparti psichiatrici, e potrebbe diventare un buon motivo per aprire un dibattito sul tema, senza tema di pronunciare la parola “tortura”. Certo, sentire che per un magistrato quel modo di trattare un paziente, aldilà del cagionargli la morte ovviamente, è legittimo rappresenta un pesante passo indietro. Evidentemente il metro del diritto ha molte misure.
 
Cinzia Gubbini da Globalist