La puntata di “Report” andata in onda domenica sera su Rai Tre fondata su dati sbagliati e su un’idea ormai diffusa: il reo non va riabilitato, ma sfruttato.
Accendi la televisione, ti dicono che il sistema carcerario italiano costa circa 2,8 miliardi di euro ogni anno, e che quindi ogni detenuto pesa sulle nostre tasche per circa 4.000 euro al mese. Questo il passaggio che più ha fatto scalpore della puntata di Report andata in onda domenica scorsa su Rai Tre, in prima serata.
Messa giù così, i risultati possono essere solo due, e molto simili tra loro: da una parte si pensa che, come al solito, lo Stato va sperperando cifre inverosimili invece di stringere la cinghia come stanno facendo un po’ tutti, dall’altra parte si è portati a pensare che ancora lo Stato dia ricche prebende a ladri-stupratori-assassini-e-mafiosi.
In fondo, comunque, tutto questo rientra nell’assurda normalità di questi ultimi tempi: il tono dell’italiano medio quando si parla di carcere e giustizia è sempre apocalittico, e la linea di pensiero (ahinoi, molto in voga pure a sinistra) è che, in Italia, ci sono troppo pochi arresti e siamo immersi in un regime d’impunità permanente nel nome del latrocinio e del buonismo generalizzato.
Nell’immaginario comune, il carcerato è colui che vive senza fare niente nella stanza di un hotel a cinque stelle, con tre pasti al giorno, la televisione e il parquet lucido per terra. A questo punto, in epoca di populismo esasperato e demagogia a buonissimo mercato, arriva Report e rilancia: lavoro obbligatorio per i detenuti.
Spunta anche il super magistrato Nicola Gratteri a pontificare che “i carcerati che rifiutano il lavoro, rifiutano lo Stato”. Questo però vuol dire, allo stesso tempo, dare un’informazione sbagliata e un punto di vista disonesto sulla reale situazione delle patrie galere.
L’informazione sbagliata riguarda il costo di ogni detenuto: nei 4.000 euro calcolati dalla trasmissione di Rai Tre vanno considerate anche le spese per il personale, la manutenzione, le uscite fisse. Nessuno ha mai fatto un discorso del genere sulle scuole o sugli ospedali: provate a fare il calcolo di quanto costano i malati di cancro, metteteci dentro il prezzo delle medicine che passa la mutua, gli interventi, gli stipendi dei chirurghi e dei primari.
Seguendo questa linea di pensiero si può arrivare a sostenere che i malati di cancro siano una spesa sociale elevatissima e che quindi andrebbero eliminati. Spostate il modello di cui sopra sui carcerati e giungete alla conclusione: ammazzarli non si può – farebbe troppo “soluzione finale” – ma si possono sempre tirare fuori i cari vecchi lavori forzati come viatico per mettere a posto gli asfalti dissestati delle nostre città, abbattendo le spese della manodopera.
L’inviata di Report è pure andata a sentire qualche funzionario pubblico, mettendolo alle strette perché non conosce la legge italiana sul lavoro volontario dei detenuti per lo opere di pubblica utilità. La verità però è che questa possibilità negata non va imputata agli enti pubblici, ma alla magistratura di sorveglianza che, dati alla mano, di permessi lavorativi ai detenuti ne concede con il contagocce.
Fin qui le notizie sbagliate. Il punto di vista disonesto, invece, è nel ricatto morale alla base di tutto il discorso; se voi foste un imprenditore in crisi di liquidità o un comune strozzato dal Patto di stabilità, per fare un lavoro chi scegliereste, un lavoratore che poi va pagato o un carcerato che fa tutto gratis? La domanda, va da se, è da respingere come ennesimo tentativo di mettere gli ultimi contro i penultimi, sport parecchio in voga negli ultimi anni. Asso nella manica fondamentale per evitare i temi davvero importanti e focalizzare l’attenzione su particolari di sicuro effetto emotivo, ma, a conti fatti, irrilevanti.
Se provi a spiegare che le carceri italiane versano in condizioni “disumane e degradanti” ti rispondono che, con lo crisi economica, anche chi sta fuori dalle sbarre non se la passa bene e l’argomento ha scarsa presa su un’opinione pubblica sempre più cinica e individualista. Vuoi mettere se insinui il dubbio che ì carcerati sono dei nullafacenti che costano 4.000 euro al mese, lo share è assicurato. Infine c’è un piano teorico: dall’Illuminismo in poi è prevalsa la tesi che la pena dovrebbe servire a riabilitare il reo; dovrebbe provare ad avere un senso cioè e non essere soltanto un modo facile per separare i buoni dai cattivi.
Il lavoro gratuito, che a questo punto non sarebbe volontario ma obbligatorio, diventa così una grave violazione dei diritti, oltre che una pesante dose di concorrenza sleale nel mondo del lavoro. Senza considerare che – pochi e mal sovvenzionati, ma non è colpa dei detenuti – dei percorsi di reinserimento professionale per i detenuti già esistono in diversi istituti italiani. Report però ha parlato.
E gli italiani, soprattutto quelli di sinistra, hanno ascoltato: basta farsi un giro veloce su Facebook o su Twitter per comprendere in che misura l’idea dei lavori forzati sia tornata di moda. In maniera soft, però, che in qualche modo ci si dovrà pur distinguere dalla destra.
Mario Di Vito (conduttore di Radio Città Aperta) da il Garantista