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Lavoro gratuito? Cara Gabanelli… lei di carcere non sa proprio niente

A chi giova che 54 mila detenuti lavorino gratis per ripararsi le celle? Il grosso della spesa è per il personale, 48 mila unità (l’80%). In un articolo sul Corriere dello scorso 14 gennaio Milena Gabanelli è tornata sulla proposta fatta nel corso dello trasmissione Report sul lavoro gratuito dei detenuti. Vorrei provare a evidenziare alcune criticità di questa idea e rilanciare la mia proposta di riforma del lavoro dei condannati.

Il ragionamento della Gabanelli parte dalla considerazione che non ci sono soldi per pagare il lavoro dei detenuti e che bisognerebbe farli lavorare gratis, come avviene in molti paesi d’Europa e negli Usa, per evitare che siano un costo per la collettività. L’Italia è dipinta – forse con una eccessiva dose di provincialismo – come l’ultima della classe che deve imparare da quelli bravi. Ma cerchiamo di capire cosa fanno davvero i primi della classe. E poi cosa potremmo realmente fare in Italia.

In primo luogo bisogna chiarire che non è vero che in Europa si fanno lavorare gratuitamente i detenuti. Al contrario, il lavoro dei detenuti è retribuito ed è ritenuto un diritto fondamentale dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Si cita, tra gli altri, l’esempio dell’Austria a supporto della tesi della gratuità del lavoro dei detenuti. In Austria, però, il lavoro detentivo è retribuito ma dalla busta paga sono sottratte le spese per il mantenimento e ai detenuti resta una paga analoga a quella dei detenuti in Italia (tra i 2 ed i 3 euro l’ora).

Considerato che in Austria lavora circa il 75%, mentre da noi il 25%, è facile dedurre che in Austria si spende molto di più che in Italia. Dunque, non c’è nessun risparmio come si vorrebbe far credere, c’è uno Stato che è disposto a investire pensando che a beneficiare del reinserimento sociale dei detenuti sarà in primo luogo la collettività, Questo fanno i primi della classe in Europa: spendono per avere un sistema carcerario efficiente. In Italia, invece, spendiamo poco e male. Le paghe dei detenuti sono ferme da 20 anni e tutti i detenuti che fanno causa al Ministero regolarmente la vincono.

Per riportare il sistema alla legalità ed evitare di incorrere in una nuova condanna della Corte europea, bisognerebbe iniziare a pagare i detenuti quanto previsto dalla legge. Come ho già avuto modo di proporre su questo giornale, si potrebbe consentire ai detenuti di lavorare in carcere, rinunciando alla paga, in cambio di uno sconto di pena per ogni giorno lavorato. In tal modo il lavoro gratuito diverrebbe un’alternativa alla detenzione e avremmo risolto il problema del sovraffollamento carcerario. Si citano poi gli Usa come esempio virtuoso.

In realtà negli Usa il lavoro detentivo è solo la punta dell’iceberg di un sistema di controllo penale impazzito che ha prodotto un penitenziario costosissimo e inefficiente. Ci sono 2,3 milioni di individui in carcere (perlopiù neri e ispanici poveri) per i quali si spende l’impressionante cifra di 74 miliardi di dollari l’anno con i quali si foraggiano le lobby dell’industria penitenziaria che sfruttano il lavoro gratuito dei detenuti. Siamo proprio sicuri che gli Usa siano i primi della classe?

La proposta sul lavoro gratuito va sicuramente ricalibrata, anche perché si puntano i riflettori su un problema secondario. A chi giova davvero che 54mila detenuti lavorino gratis per ripararsi le celle? Il grosso della spesa per il penitenziario non è affatto il costo per il loro mantenimento che è intorno al 13% (il vitto di un detenuto costa al giorno 3/4 curo) o quello per la manutenzione delle strutture (il 4%), ma è quello per il personale, 48mila unità (l’80%).

E quando i detenuti aumentano non vengono stanziati più soldi, ma si tagliano i servizi loro destinati. Limitarsi a parlare dei costi economici del sistema è riduttivo e fuorviante, perché si finisce per lasciare in ombra il vero problema, ovvero quello della sua utilità.

Dal momento che il sistema penitenziario ha costi notevoli, allora la prima cosa da domandarsi dovrebbe essere quale sia la sua reale utilità sociale. Dovremmo domandarci non solo “quanto si spende?”, ma anche “sono soldi ben spesi? Quali sono i vantaggi sociali del carcere? E quali le alternative?”.

Un dato difficilmente contestabile è che il condannato che passa dal carcere quando esce tende a commettere nuovamente reati. È altrettanto incontestabile che chi va in misura alternativa tende a commettere meno reati. Dunque si dovrebbe concludere che i soldi investiti nel carcere sono spesi male: non si riesce a rieducare i detenuti e non si risarciscono le vittime e/o la collettività. In alternativa, si potrebbe investire nelle misure alternative per i reati minori in quanto hanno un costo inferiore a quello del carcere e producono più benefici sociali (abbattono la ricaduta nel crimine).

È più utile che il ladro vada a lavorare gratis in galera o che resti libero facendo lavori di pubblica utilità e risarcisca le vittime? Il vero nodo su cui riflettere è come usare il lavoro dei condannati fuori dal carcere, non dentro il carcere dove non serve a nessuno: non ai detenuti impiegati in lavori dequalificati che non aiutano il reinserimento, non allo Stato perché non abbatte i costi.

Quello di cui si dovrebbe discutere è come togliere centralità al carcere nel nostro sistema punitivo e come ridurlo ad extrema ratio, da applicare solo per i reati più gravi. Il carcere oggi è la risposta a tutti i fenomeni che suscitano allarme sociale, perché è la risposta più semplice. Bisogna avere il coraggio di ammettere che nella maggioranza dei casi è solo fumo negli occhi dell’opinione pubblica, non ha nessuna utilità sociale e che va superato. Il lavoro può essere una delle alternative.

Giuseppe Caputo (Ph. D Università di Firenze e membro dell’Altro diritto) da il Garantista

Comments ( 1 )

  • massimiliano

    io sono un ex detenuto ma in semi liberta riguarda il pagamento a chi lavora in carcere ve lo spiego io come funziona datosi ho fatto il cuoco nel carcere di larino per tre anni iniziavo le sei di mattina fino alle sette di sera e su la busta paga facevano risultare sei ore e trenta con uno stipendio di 600 euro venivano trattenute spese per trattenute piu mantenimento e via di seguito e in busta paga mi facevano risultare 250 euro ogni mese chiedevo informazioni a riguardo di tutte queste spese e avevano sempre risposta pronta se ti conviene bene altrimenti ti puoi chiudere dal lavoro ce chi lavora sensa stipendio voi non potete immaginare dell/abbusa che fanno negli istituti di pena specialmente se un detenuto a la fortuna di lavorare poi chi porta inbasciate al direttore gli danno tutti i privilegi ci vorrebbe una ispezione in tutti i carceri e rendersi conto che non funziona un cazzo. non mi prolungo altrimenti non finisco mai e una vergogna come funziona la giustizia italiana soprattutto su la dignita di noi detenuti……