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Gli assassini di Aldrovandi insultano la madre di Federico su Facebook

“Se avesse saputo fare la madre non avrebbe allevato un cucciolo di maiale”, e ancora “faccia da culo (…) speriamo non si goda i risarcimenti dello stato”. Paolo Forlani, fresco di condanna in Cassazione (tre anni e mezzo), si scatena sul social network nella pagina di Prima Difesa, contro Patrizia Moretti. E lei lo querela

«Fermate questo scempio, per dio!». Una signora s’inviperisce su Facebook perché la mamma di Federico Aldrovandi avrebbe chiesto il carcere per i colpevoli della morte di suo figlio. Usa il maiuscolo come a dire che vorrebbe urlarlo e dà la stura ai commenti sul profilo. Ma la signora non è una signora qualunque, è la presidentessa dell’associazione che è convinta che in Italia esista un problema di diritti umani per gente come i poliziotti della Diaz o i parà che torturarono i civili in Somalia o, appunto, i quattro agenti che il 25 settembre del 2005 incontrarono un ragazzo di 18 anni e lo fecero fuori in pochi minuti di “controllo di polizia”.

Tre sentenze spiegano per filo e per segno le loro responsabilità nell’aver spezzato il cuore, mozzato il respiro, spaccato due manganelli addosso a quel ragazzo. L’associazione in questione, “Prima difesa”, promuove anche corsi di guida e di tiro a segno per i suoi associati e ha perfino convinto a intervenire nel processo Aldrovandi un noto difensore dei diritti umani dei premier, Ghedini, l’avvocato di fiducia di un’altra vittima del sistema, Silvio Berlusconi. Ma niente da fare: quei quattro sono stati riconosciuti colpevoli e il Viminale ha addirittura promosso una transazione con i familiari dell’unica vittima di questa storia, Federico Aldrovandi, prima ancora che la Cassazione mettesse la parola fine alla vicenda.

Ma la signora urla su fb: «Fermate questo scempio, per dio!» e le risponde Forlani Paolo, probabilmente un omonimo di uno dei colpevoli o forse proprio lui, misteri di fb. «Ma hai (visto, ndr) che faccia di culo aveva sul tg… una falsa e ipocrita (Patrizia Moretti, ndr) spero che i soldi che ha avuto ingiustamente possa non goderseli come vorrebbe….. adesso non stò più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie…». Forse è proprio uno dei quattro condannati. Altri tre funzionari di ps, per la cronaca, sono stati riconosciuti colpevoli da un altro processo per i depistaggi di quella mattina di settembre.

Forlani, però, si ritiene vittima di un’ingiustizia. La butta in politica. L’hanno incastrato «la politica e la mediaticità» e, con fiuto da segugio, urla (ossia usa il maiuscolo come la signora) anche lui: «Vergognatevi tutti, comunisti di merda…». Interviene tale Bandoli Sergio, fiero nella foto con il cappello da alpino: « La “madre” se avesse saputo fare la madre, non avrebbe allevato un “cucciolo di maiale”, ma un uomo!».

Un distillato di violenza e ferocia in mezzo ad altri commenti di gente che discute se si debba scaricare il caricatore intero addosso a uno che non si è fermato a un posto di blocco oppure se si debba tenere un proiettile da parte per chi si dovesse avere a che dire del trattamento riservato al delinquente. Forlani insiste: «Noi paghiamo per le colpe di una famiglia che pur sapendo dei problemi del proprio figlio non hanno fatto niente x aiutarlo mi fa incazzare un pochino e stiamo pagando x gli errori dei genitori….. massimo rispetto per Federico ma mi dispiace noi non lo abbiamo ucciso, e con questo vi saluto».

Il massimo rispetto per Federico avrebbe potuto dimostrarlo quando ce l’aveva di fronte. Invece sfida «chiunque a leggere gli atti e trovare un verbale dove dice che Federico è morto per le lesioni che ha subito.». In realtà, non appena l’indagine si disincagliò, grazie a una controinchiesta della famiglia, la prima perizia disse che Federico morì per le conseguenze dell’incontro con i poliziotti, la sentenza di primo grado dirà dell’abnorme uso della violenza fisica da parte degli agenti, del «furioso corpo a corpo tra gli agenti di polizia e Federico, durante il quale vennero rotti due manganelli, con i quali colpirono l’Aldrovandi in varie parti del corpo, continuando dopo che lo stesso era stato costretto a terra e qui immobilizzato al suolo, nonostante i verosimili ma impari tentativi del ragazzo di sottrarsi alla pesante azione di contenimento che ne limitava il respiro e la circolazione». In secondo grado è stata sottolineata «l’estrema violenza» e le «modalità scorrette e lesive» degli agenti, «quasi volessero ‘punire’ Aldrovandi». Inevitabile la querela per diffamazione depositata nel pomeriggio di questa domenica da Patrizia Aldrovandi ai carabinieri di Ferrara.
 
Checchino Antonini da Globalist

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