Due detenuti su tre stanno male: il carcere italiano è un’istituzione malata
E’ allarme salute per i detenuti negli istituti penitenziari italiani: 2 su 3 sono malati, nel 48% dei casi per malattie infettive, il 32% ha disturbi psichiatrici. L’epatite colpisce 1 detenuto malato su 3, mentre sono in riduzione i sieropositivi per Hiv. È la fotografia scattata dagli esperti Società italiana di Medicina e sanità penitenziaria (Simpse) per la tutela delle condizioni di salute dei detenuti italiani per il congresso nazionale che si aprirà oggì a Cagliari.
Sono 199 gli istituti penitenziari aperti, con una capienza totale di 49.493, nonostante i detenuti presenti siano 53.498, per un sovraffollamento di 4.628, che equivale ad un +8,1%. I detenuti stranieri rappresentano il 32,6% del totale, pari a 17.430, mentre le donne sono 2.309, ossia il 4,3%. Secondo l’ indagine, che sarà presentata durante il congresso di oggi, almeno una patologia è presente nel 60-80% dei casi. Questo significa che almeno due persone su tre sono malate.
Tra le malattie più frequenti, proprio quelle infettive, che interessano il 48% dei presenti. A seguire i disturbi psichiatrici (32%), le malattie osteoarticolari (17%), quelle cardiovascolari (16%), problemi metabolici (11%) e dermatologici (10%). Una situazione che, nonostante l’appello di cui la Simspe si è fatta portavoce negli ultimi anni, non ha sortito l’effetto sperato. Gli ultimi dati sulle epatiti, infatti, hanno rilevato la presenza di un malato di questa patologia ogni tre persone residenti in carcere. Mentre sono in calo i sieropositivi per Hiv.
«Bisogna ricordare che il paziente detenuto di oggi, è il cittadino libero di domani – afferma Sergio Babudieri, presidente della Simpse – Tutte le informazioni di tipo scientifico ed epidemiologico, sia in Italia che all’estero, indicano sempre lo stesso punto, ossia che in carcere si concentrano persone che hanno comportamenti di vita che sono a rischio dell’acquisizione di una serie di malattie non solo infettive, ma anche di tipo metabolico, come ad esempio obesità, fumo, alcolismo; da ciò si evince evidentemente che il carcere è un ambito in cui la sanità pubblica può più facilmente intercettare persone che, una volta invece diluite nella popolazione generale, è più difficile incontrare, anche perché per il loro stile di vita spesso non hanno il bene salute nei primi posti della loro scala dei valori».
La popolazione detenuta in Italia è cresciuta negli ultimi dieci anni dell’ 80% – ricordano i medici penitenziari – La maggior parte delle carceri ha dei tratti comuni: bagno e cucina nello stesso locale, cambio di lenzuola ogni 15 giorni, bagno alla turca o water separati gli uni dagli altri da un muretto alto appena un metro, strutture fatiscenti. Il personale è insufficiente, gli assistenti sociali sempre meno del necessario. L’assistenza sanitaria, come si può facilmente intuire da questo quadro, può risultare spesso di pessima qualità.
Infine, secondo l’indagine della Simpse, che ha studiato i singoli casi dei detenuti che si sono sottoposti a test e controlli (circa il 56%), il tasso di trasmissione stimato dalle persone positive all’ Hiv consapevoli si aggira tra l’ 1,7% e il 2,4%. Molto più alto, quasi 6 volte superiore, quello stimato dalle persone Hiv positive inconsapevoli, che raggiunge il 10%.