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Torino: antifascisti e antirazzisti a processo

Sono passati oltre due anni da quando, a Torino, il 24 ottobre 2009, il gruppuscolo di estrema destra Casapound indisse un presidio nel centro cittadino, per la precisione in piazza San Carlo. Gli antifascisti non aspettarono per reagire, e lo fecero con estrema serenità. In un centinaio si trovarono in piazza Castello, quindi raggiunsero in corteo piazza San Carlo, dove trovarono la celere in difesa dei “fascisti del Terzo Millennio”.
Non ci spaventammo di questo, ma soprattutto non ci stupimmo; non è strano, né “sbagliato” che la polizia difenda i fascisti: sono due facce della stessa medaglia, in questa società, e comunque non crediamo alla favoletta delle “istituzioni democratiche”. Là dove verosimilmente non avrebbe potuto la forza, poté l’intelligenza: il presidio antifascista iniziò a correre in via Roma (pur in assenza di una carica), in direzione opposta ai fascisti e alla polizia, per poi svoltare improvvisamente a destra e raggiungere il Museo Egizio, prendendo i fascisti alle spalle. Ci vollero un paio di minuti perché la digos, frastornata, si rendesse conto di quel che stava accadendo, e ordinasse alla celere di caricare i compagni. Mentre i fascisti si andavano a leccare le ferite dietro ai celerini, gli antifa venivano dispersi per le strade adiacenti dalle cariche, ma riuscivano a ricompattarsi in piazza Castello, per poi partire in corteo in via Roma.
Arrivati in piazza Castello, la sorpresa: in quelle ore era stato allestito un gazebo-presidio della Lega Nord, capitanato da Mario Carossa, capogruppo in consiglio comunale del carroccio, per chiedere la chiusura della “Microclinica Fatih”, un centro di controinformazione medica per migranti istituito da compagne e compagni qualificati nel settore sanitario presso il centro sociale Gabrio, nel quartiere San Paolo. L’istituzione della Microclinica (denominazione che ricalca simili strutture presenti nei territori autogestiti del Chiapas, Messico) era seguita alle leggi, fortemente volute proprio dalla Lega e dall’allora AN, che istituivano l’obbligo della denuncia, da parte del personale sanitario, per i migranti che si recavano al pronto soccorso senza poter esibire un permesso di soggiorno. Ai compagni non parve vero. Immediatamente il gazebo venne preso d’assalto e distrutto, nonostante alcuni attivisti della Lega tentassero di opporre strenua resistenza. La polizia, colta di sorpresa per la seconda volta nella stessa giornata, reagiva con rabbia e caricava più volte gli antifascisti nella piazza affollata dallo shopping del sabato pomeriggio, che peraltro assisteva con un certo compiacimento all’attacco al gazebo leghista, proprio di un partito che non ha mai avuto larghe simpatie in città. In seguito agli scontri il consigliere Carossa si fece fotografare fasciato e bendato, accusando gli antifa di violenze sulla sua persona, e chiedendo contestualmente all’allora sindaco Chiamparino lo sgombero di tutti gli edifici occupati.
A questa richiesta rispondevano positivamente il Pd, il Pdl, l’Udc, l’Idv. Venne convocato per settimane, a ripetizione, il Tavolo per la sicurezza e l’ordine pubblico (di cui facevano parte il sindaco, i partiti, il questore, il prefetto, il comandante dell’arma) mettendo all’ordine del giorno lo sgombero dei centri sociali, tra cui spiccava come sempre il nome dell’Askatasuna, cui veniva attribuita dai politici la paternità della maggior parte delle tensioni verificatesi a Torino negli ultimi anni, e la propensione a fare da catalizzatore politico e sociale dello scontro, anche durante l’aggressione a Carossa. Nel frattempo su “Repubblica” si apriva un dibattito sugli sgomberi tra politicanti, professori ed ex sindaci, finché una lettera dell’Askatasuna, che rivendicava fermamente il suo ruolo antagonista e incompatibile sullo scenario cittadino, stimolava l’intervento dello stesso Chiamparino, già allora in difficoltà con i primi sentori di crisi a livello cittadino. L’amministrazione cittadina provò quindi a rifarsi su Radio Blackout cercando di ottenerne lo sgombero prima attraverso l’aumento dell’affitto di una cifra consistente poi attraverso una campagna di diffamazione a mezzo stampa. Ma la campagna di risposta “Spegni la censura accendi BlackOut!” ebbe molto più successo sino al suo culmine raggiunto nel concerto di oltre 10000 persone in piazza Castello che ne sancì la definitiva legittimità e attestò un altro duro colpo all’amministrazione Chiamparino.
Infine, la politica gettò la spugna: troppo pericoloso procedere agli sgomberi delle occupazioni, e soprattutto di quelle militanti; le conseguenze per l’ordine pubblico e per la stabilità fittizia della scena torinese sarebbero state troppo forti. Ancora una volta la politica scelse il quieto vivere e non lo scontro, nell’ottica parolaia di chi ha troppi affari da fare in silenzio per provare a far seguire, alle minacce, i fatti. Non lo stesso si può dire per la procura che, come era già avvenuto per il G8 dell’Università (maggio 2009) e come sarebbe avvenuto per il movimento No Tav (gennaio 2012) ruppe ogni indugio aprendo un’inchiesta e rinviando a giudizio ventuno (più uno al tribunale dei minori) compagni per i fatti di quella giornata. Oggi, 10 maggio, si è svolta quindi l’udienza preliminare dell’ennesimo processo “politico” torinese. Un prezzo che il movimento di Torino paga per la sua scelta di non piegarsi, come avvenuto in altre città italiane, alla pace sociale o al mero folklore, magari facendo eleggere un consigliere comunale “diverso” o vedendo nei questurini gli “interlocutori” per le questioni di piazza, e persino di antifascismo. Sono ormai centinaia i procedimenti contro i compagn* di Torino e della Valle, tra quelli più noti e quelli che passano più in sordina, che tengono occupati decine tra giudici e pm al palazzo di giustizia.
Noi, come antifascisti militanti, abbiamo soltanto una cosa da dire: l’antifascismo è una pratica necessaria, sempre urgente e sempre attuale, che non si delega e non si proibisce. In quella giornata abbiamo agito senza paranoie e senza indugi, sapendo che contro i fascisti e i razzisti, con la felpa o in doppiopetto, la miglior difesa è l’attacco. Esprimiamo tutta la complicità possibile ai compagni sotto processo e a tutti gli antifascisti a processo in Italia e in Europa, convinti che la rabbia antifascista e antirazzista riuscirà con il tempo a trionfare nel suo obiettivo di sempre: ricacciare nelle fogne ogni rigurgito di nostalgia per le forme di governo più infami e orribili che la storia umana ricordi.

Per un vizio di forma e mancate notifiche il processo è stato rinviato all’11 ottobre prossimo.