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Abdel, vittima del razzismo di Stato

In poco meno di ventiquattr’ore colui che doveva assurgere al ruolo di responsabile della strage del museo del Bardo, avvenuta lo scorso 18 marzo a Tunisi, e contemporaneamente dimostrare la concretezza del binomio profugo/terrorista, Abdel Majid Touil, è stato scagionato dalle accuse terribili per le quali si trova nonostante tutto in un carcere italiano a 22 anni. Oggi, tutti i giornali che ieri lo accusavano di essere il pericoloso criminale che metteva a repentaglio il nostro modello di vita, per un malinteso dovere di cronaca pubblicano la “prova maestra” che lo dimostra innocente: la fotografia di un uomo di circa 45 anni che si chiama anch’egli Abdel Majid Touil e che sarebbe il vero ricercato da parte delle autorità tunisine. La fotografia, e non da ieri, campeggiava su un quotidiano tunisino in lingua araba.

In poche settimane, dopo la tragica rivelazione sulla reale dinamica dell’assassinio di Giovanni Lo Porto per un bombardamento statunitense, questa vicenda dimostra la ciarlataneria del nostro governo, della nostra élite politica e della grande stampa italiana. Tutta questa triste vicenda, un abisso incomprensibile in cui è stato gettato un giovane di 22 anni, dimostra però innanzitutto quanto poco in Occidente, in Europa e in Italia si sia compreso di ciò che veramente è il jihadismo, il Califfato e il fenomeno della fuga in massa dai Paesi in guerra.

Non è stata posta l’unica domanda vera: ma se veramente Abdel Majid Touil, ventiduenne marocchino, fosse stato la mente e/o l’esecutore dell’attentato di Tunisi del marzo scorso e quindi un jihadista, che motivo avrebbe avuto di lasciare la Libia (santuario pressoché intoccabile dei gruppi jihadisti, legati o meno al califfato) per venire in Italia e trovare “rifugio” a casa della madre nell’hinterland milanese? Nessuno.

Mentre alcune “grandi firme” del giornalismo nostrano ieri hanno versato fiumi d’inchiostro per commentare una “non notizia”, di fatto avallando le tesi di Matteo Salvini e le ambizioni guerresche del nostro governo, pochissimi (le eccezioni fatte di persone prudenti per fortuna esistono sempre) si sono chiesti quali conseguenze poteva avere trasformare un giovane di 22 anni (forse fino a ieri lontano dalle influenze jihadiste) in una sorta di diavolo dalla faccia d’angelo, nell’insospettabile “bravo ragazzo” che in realtà è un mostro.

Le conseguenze immediate sono due: alimentare il razzismo nel nostro Paese e rendere ancora più attraente agli occhi di chi cerca rifugio dalle guerre il progetto califfale. Ancora non abbiamo capito che la stragrande maggioranza delle persone in fuga dal Vicino Oriente e dall’Africa tentano di sottrarsi proprio al caos che favorisce la proliferazione di piccoli o grandi “califfati” locali, tutti indistintamente violenti. Ancora non abbiamo tratto alcuna lezione dagli attentati di Parigi del gennaio scorso che hanno visto trasformarsi quattro giovani francesi di origini algerine e maliane in guerriglieri disperati in nome di Allah. Oggi, la vicenda del giovane Abdel Majid Touil, rischia gravemente di dimostrare un assioma basato su un falso presupposto: se l’Occidente rifiuta e marchia col fuoco della menzogna, innalzata a verità giuridica internazionale, chi sfugge al progetto jihadista, ciò significa che quel progetto ha un valore in sé, di liberazione e di emancipazione individuale e collettiva ed insieme di difesa di valori, religiosi, etnici e culturali, sbeffeggiati e offesi.

All’indomani delle stragi parigine qualcuno, giustamente, si pose una domanda: chi difende Dio? Questa può sembrare una domanda inutilmente retorica o solo per i credenti. Invece, è necessario ed urgente che tutti noi ce la poniamo e cerchiamo di trovare una risposta che vada al di là delle nostre identità individuali. Trovare questa risposta significa, per quanto possa sembrare paradossale, liberare i profughi e noi tutti dalle implicazioni profonde del progetto jihadista che indica nell’esaltazione della religione l’unica soluzione.

In altri termini, ciò significa offrire a coloro che credono nell’essenzialismo religioso un’alternativa credibile, in Occidente e altrove. La sconfitta, almeno in questa fase (che però nessuno può dire quanto durerà) dei tentativi di emancipazione che hanno rappresentato le rivoluzioni arabe è la nostra sconfitta più importante. Perché quelle rivoluzioni non abbiamo saputo rendere coscienza collettiva in Occidente. Abbiamo fatto come la plebe romana faceva assistendo ai “giochi” che gli imperatori le offrivano, abbiamo tifato per gli schiavi che per liberarsi affrontavano i leoni affamati che inevitabilmente li avrebbero sbranati. In questo, come è stato osservato, abbiamo una grandissima responsabilità morale.

La superficialità, che ha la medesima responsabilità morale, ci renderà complici della possibile radicalizzazione di quel ragazzo di 22 anni per il quale evidentemente chi ha partecipato a fare brandelli la sua vita non può che essere un nemico. Non sappiamo quanto tempo questo giovane rimarrà detenuto, né se, nel caso fosse definitivamente dimostrata la sua estraneità ai crimini che gli vengono contestati, qualcuno di coloro che avrebbe il dovere di farlo gli chiederà scusa. Certamente è sperabile che Abdel Majid, al contrario di noi, sia capace di fare la differenza tra chi lo ha reso il “nemico” e chi invece ha contribuito a dimostrare la sua innocenza.

Coloro che adesso parlano disinvoltamente di un “tragico errore giudiziario” cercano così di sottrarsi alle proprie responsabilità, ma ciò è sempre impossibile, perché se le nostre azioni, anche se dettate dall’ignoranza o dalla distrazione, concorrono a distruggere un essere umano, o essere complici della sua distruzione, restano comunque indelebili.

Norberto Bobbio, quando gli fu rimproverato di non aver rifiutato l’atto di fedeltà che il regime fascista chiedeva a coloro che insegnavano nelle università italiane, pur spiegando il contesto in cui non ebbe il coraggio di opporsi, scrisse:

La vita di un uomo è un insieme di atti che si legano indissolubilmente l’uno all’altro, e deve essere giudicata non nel suo insieme – sarebbe troppo comodo – ma atto singolo per atto singolo. Le colpe sono incancellabili e un giorno o l’altro si pagano. Ed è giusto che si sia chiamati, in qualsiasi momento, a renderne conto.

Queste poche righe scritte nel lontano 1992 dovrebbero per noi tutti essere contemporaneamente un monito e la bussola per scegliere come comportarci in questo mondo che sta precipitando vertiginosamente nell’abisso della confusione che inevitabilmente creerà le condizioni per nuove tragedie.

Cinzia Nachira da Sinistra Anticapitalista