Estratto del libro “Abolire la polizia”… qui mettiamo polizie e non solo il termine generale polizia poiché il testo riguarda tutte le forze di polizie
Premessa
Dopo gli articoli sul movimento statunitense per il definanziamento e l’abolizione delle polizie e delle carceri che l’anno scorso abbiamo pubblicato (tradotti in italiano) pubblichiamo ora alcuni articoli di compagni francesi che promuovono di rilanciare anche in Francia e in Europa questi obiettivi oltremodo necessari. Come si vedrà in questo articolo le parole d’ordine “disfare le polizie”, “definanziarle”, “abolirle” aprono in realtà un percorso di vere riforme opposte a quelle di facciata che da sempre ridanno più potere alle polizie. Un altro mondo è possibile senza polizie, senza carceri!
Sarebbe urgente che anche in Italia le lotte dei lavoratori reclamassero la drastica riduzione delle polizie e dei loro finanziamenti e l’aumento adeguato e quindi considerevole degli ispettori del lavoro e ispettori ASL, degli operatori socio-sanitari di centri pubblici (e non privati) fra cui in particolare quelli per la cura dei tossicodipendenti e delle persone affette da disagio psichico e anche dei semplici marginali oggi assurdamente reclusi nelle carceri.
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Ed ecco che il “Beauvau della sicurezza” (la conferenza sulla sicurezza organizzata nella sede del ministero dell’interno palais Beauvau) è finito e Emmanuel Macron ha potuto annunciare le misure promesse dopo la copertura mediatica di centinaia di abusi della polizia e relativi scandali: raddoppio dei poliziotti sulle strade, una dotazione di 1,5 miliardi euro, telecamere pedonali per non parlare dei treni gratuiti. Tutto questo per la polizia. In Francia, la denuncia della brutalità della polizia trova divertenti sbocchi politici.
L’uscita questo mese di Abolire la polizia[1] è tempestiva.
In questo libro, il collettivo Matsuda propone una raccolta di traduzioni di testi americani che fanno parte del cosiddetto movimento abolizionista, che quindi non si propone di riformare la polizia o di limitarne i finanziamenti ma più semplicemente di sbarazzarsene. Inoltre sono presenti numerosi testi di analisi e contestualizzazione, scritti dal collettivo stesso. Il libro si apre sul movimento di George Floyd che ha incendiato gli Stati Uniti nel 2020 e da cui è esplosa la parola d’ordine “abolire la polizia”. Dopo, più specificamente, si occupa del movimento abolizionista, della sua storia, della sua attualità e soprattutto dei suoi due principali ambiti di lotta: delegittimare la polizia attraverso una critica globale dell’istituzione e renderla concretamente obsoleta/inutile diffondendo modi di organizzarsi, di fronte a conflitti e attentati, al di fuori del sistema penale[2].
Questo libro è stato pubblicato quasi contemporaneamente a Défaire la police (https://www.editionsdivergences.com/livre/defaire-la-police) di cui sono autori oltre allo stesso Collectif Matsuda Quadruppani, Jérome Baschet, Elsa Dorlin e Guy Lerouge. La sua introduzione col titolo “Perché gli sbirri sono tutti dei bastardi?” è pubblicata sempre da Lundimatin qui: https://lundi.am/pourquoilespolicierssontilstousdesbatards e sarà disponibile anche in italiano.
Fine 2015. Il sindaco di Chicago, Rahm Emanuel, è sotto il fuoco della critica. È accusato in particolare di una gestione troppo “aggressiva” dei servizi di polizia nei confronti degli afroamericani, in particolare dopo la morte nell’ottobre 2014 di Laquan McDonald, diciassettenne, ucciso in mezzo alla strada con sedici proiettili da un agente di polizia. Nello stesso anno, diciannove persone furono uccise dalla polizia di Chicago. Ma è soprattutto la morte di Quintonio LeGrier (19) e Bettie Jones (55) che accese la rivolta. La storia è tristemente banale: è lanciato un appello per un “disturbo di quartiere”; si tratta infatti di una disputa familiare che coinvolge Quintonio, che soffre di problemi di salute mentale e tiene in mano una mazza da baseball davanti al padre. Una pattuglia arriva a casa dei LeGrier. Il giovane viene ucciso da uno dei due poliziotti. Un proiettile vagante colpì anche la vicina del piano di sotto, Bettie, a cui il padre di Quintonio aveva chiesto di non aprire alle forze dell’ordine.[3]
Il poliziotto è stato sospeso per trenta giorni, a seguito di una riforma attuata dal nuovo capo della polizia: un omicidio è punito con trenta giorni di licenziamento. Più in generale, il sindaco di Chicago si impegna a formare meglio gli ufficiali e a raddoppiare il numero di taser. In un contesto di conflitto tra comune, polizia e manifestanti, una simile promessa di riforme a seguito di un crimine di polizia è esemplare di cosa significhi “riformare la polizia” in generale e della funzione di tali annunci: risparmiare tempo, prosciugare la diffusione delle rivolte inserendole nelle procedure giudiziarie e facendo sì che i manifestanti ritornino nelle loro case, convinti che “le cose cambieranno”.
Gli appelli per la riforma della polizia negli Stati Uniti sono diventati più forti e più frequenti. Vi si legge un effetto delle lotte del movimento Black Lives Matter (BLM) che mettono in discussione fortemente e regolarmente l’istituzione di polizia. Ma la sfida oggi sta nel portare una critica alla polizia – e per estensione al complesso industriale-carcerario – che non si traduce immediatamente in termini riformisti, cioè in un’ottica di miglioramento dell’istituzione e delle pratiche di polizia. Spesso si vedono richieste per una migliore condotta della polizia, ma raramente discorsi che affermano che bisogna porre fine alla polizia.
Sfidare le proposte di riforma per una migliore polizia è diventata un’arte in cui eccelle il movimento abolizionista (si veda anche l’articolo “Reformism Isn’t Liberation, It’s Counterinsurgency” di Dylan Rodriguez https://level.medium.com/reformism-isnt-liberation-it-s-counterinsurgency-7ea0a1ce11eb che pubblicheremo anche in Italiano sul sito dell’Osservatorio). Questo movimento riesce a formulare con chiarezza critiche alle istituzioni e proposte di lotte che non sono facilmente recuperabili nella retorica riformista.
Perseguire gli ufficiali di polizia?
Guardando al contesto statunitense, diversi ostacoli di solito impediscono l’azione legale contro gli agenti di polizia. In primo luogo, dal punto di vista giuridico, i poteri di polizia non spettano direttamente allo Stato federale, ma principalmente agli Stati locali, che a loro volta delegano funzioni organizzative e di comando a contee e comuni. Se il ministero della giustizia viene coinvolto nei casi di “violazioni ripetute” dei diritti costituzionali dei cittadini, un’eventuale sentenza si risolve solo al ribasso in un affare tra il ministero e uno specifico dipartimento di polizia. Non c’è molta speranza di andare oltre. E questo non riguarda in alcun modo i tanti altri servizi di polizia del Paese.
In secondo luogo, dalla fine degli anni ’60, i sindacati di polizia sono diventati estremamente potenti, negli Stati Uniti come altrove (vedi fra altri articoli di Alex Vitale: https://www.osservatoriorepressione.info/cosa-ci-insegnano-le-rivendicazioni-del-movimento-antirazzista-negli-stati-uniti/; https://www.osservatoriorepressione.info/definanziare-la-polizia/; https://www.osservatoriorepressione.info/alle-radici-dellaumento-della-brutalita-razzista-delle-polizie/; https://www.osservatoriorepressione.info/perche-esiste-la-polizia/; e il libro Polizie, sicurezza e insicurezze, 2021).
In un contesto di sommosse urbane e contestazione politica, questi sindacati di polizia si sono eretti come baluardo di una società assediata da proteggere. Con un gran numero di iscritti al sindacato, si sono assicurati accordi collettivi che rendono molto difficili le azioni disciplinari nei loro confronti, come i licenziamenti per comportamenti razzisti e violenti (lo stesso avviene anche in Francia e in Italia). Queste convenzioni possono essere imposte contro il diritto pubblico, rafforzando così il regime eccezionale dell’istituzione di polizia. Inoltre, i funzionari statunitensi eletti cedono regolarmente alle richieste dei sindacati di polizia; una grande maggioranza di stati ha ad esempio implementato la legge Stand Your Ground (“difendi il tuo territorio”) che autorizza l’uso della “forza ragionevole. Non appena qualcuno ritiene di essere in pericolo”. Questa legge consente a molti agenti di polizia che hanno strangolato o ucciso persone di sfuggire al processo[4]. Gli agenti di polizia coinvolti in casi di violenza o crimini di polizia possono contare sul sostegno sistematico e incrollabile dei loro colleghi e sindacati, qualunque cosa abbiano fatto[5].
Ne consegue che l’organizzazione decentralizzata delle forze di polizia, il suo sostegno da potenti sindacati, una legislazione protettiva e un incrollabile spirito di corpo mettono a freno ogni speranza di revisione.
“Il riformismo non è liberazione, è contro-insurrezione”
Come osserva il ricercatore e attivista Dylan Rodriguez (vedi sopra), per sessant’anni, le principali fasi delle riforme della polizia contemporanea hanno risposto sistematicamente alle rivolte urbane contro la polizia[6]. Sia dopo i disordini di Watts nel 1965, quelli di Detroit nel 1967, sia più recentemente dopo quelli di Los Angeles nel 1992; ogni episodio di rivolta ha dato origine a commissioni governative che riunivano politici, capi di polizia, attivisti dei diritti civili e universitari al lavoro sulla riforma della polizia[7]. I riformisti che vogliono frenare la rabbia contro le forze dell’ordine scommettono in particolare sul modello della polizia di prossimità, che corrisponde alla “polizia di comunità” in Francia. Dagli anni ’60 negli Stati Uniti, le città istituirono brigate pedonali e a cavallo. Stanno emergendo piccole stazioni di polizia di quartiere, nonché una politica di quote di reclutamento per agenti di polizia non bianchi. La polizia dovrebbe discutere, stabilire contatti con i commercianti, organizzare attività sportive per i giovani. Devono favorire partnership con associazioni locali, con residenti conosciuti e riconosciuti nelle loro comunità. La polizia di comunità prevede anche lo svolgimento di incontri periodici tra agenti di polizia e residenti (spesso i più anziani e i proprietari di casa) per far emergere i problemi del vicinato (pulizia del marciapiede, punto d’incontro, presenza di prostitute, giovani in giro …[8]. Questo pacchetto di misure mira a convalidare una partnership con coloro che nella comunità hanno interesse alla presenza dei poliziotti. Tuttavia, non si può dire che la polizia di comunità sia molto radicata nelle forze di polizia americane, anche se il ritorno dei Democratici alla Casa Bianca potrebbe dare adito a tentativi di aggiornarlo. Questo metodo di lavoro, anche se incoraggiato dai fondi federali, fa fatica a prendere piede poiché la maggior parte dei poliziotti non ne vuole sentire parlare. Inoltre, questo approccio si basa sull’esistenza di comunità strutturate come minimo attorno ad organizzazioni con interlocutori del mondo associativo o religioso. Senza questo, non c’è possibilità di stabilire le partnership essenziali tra la polizia e le popolazioni. Nei quartieri dove molte persone diffidano della polizia e sono riluttanti a collaborare con loro, approcci in questi termini non sembrano avere molto futuro. Negli anni ’90, l’accento era posto sulla responsabilità della polizia. I poliziotti devono essere trasparenti, affinché i cittadini possano indicare la loro responsabilità. A quel tempo, i comitati di sorveglianza dei cittadini si moltiplicarono nelle grandi città[9]. L’idea del controllo della polizia di comunità che era emersa dalle lotte degli anni ’70 sta assumendo una nuova forma. Oggi, guidata dal municipio, essa ripristinerebbe la fiducia nelle forze dell’ordine, grazie a una maggiore trasparenza. Di fronte a questi argomenti, gli abolizionisti sostengono che la polizia non può essere separata dalle sue funzioni storiche semplicemente con una “buona” supervisione. D’altra parte, la violenza della polizia vista come disfunzioni individuali mina la capacità di affrontare il sistema nel suo insieme. Puntare su un organo di vigilanza della polizia significa investire sulla possibilità della sua riforma, e quindi della sua legittimazione. Insomma, un vicolo cieco.
Non sono mele che marciscono, è l’albero delle mele
I numerosi tentativi di riforma sembrano tutti più incapaci degli altri di porre fine alle vessazioni, alle violenze e agli omicidi della polizia. La documentazione, la formazione o la supervisione non proteggono da perquisizioni, intimidazioni, percosse e morte. L’esempio dell’agente di polizia Derek Chauvin è illuminante: era già stato oggetto di diciotto denunce interne al dipartimento di polizia di Minneapolis, era stato obbligato a seguire un corso di formazione sul pregiudizio razziale, un’altra sulla de-escalation durante gli interventi con persone in crisi e i pedoni con telecamera, ma tutto ciò non gli ha impedito di tenere George Floyd sotto il ginocchio per quasi nove minuti. La polizia non deve necessariamente agire di nascosto per brutalizzare la popolazione, sapendo benissimo che le sue azioni saranno coperte, relativizzate e messe a tacere dai responsabili e dalla magistratura. Un maggior grado di trasparenza e vicinanza all’istituzione non ferma la violenza.
La questione per gli abolizionisti non è mai stata quella di denunciare le “pecore nere” o le “mele marce” all’interno delle forze di polizia generalmente considerate buone e competenti. E neppure immaginare una forza di polizia più rispettosa della legge che ucciderebbe meno cittadini di “seconda classe”. Perché la ragione di questa istituzione è difendere e accentuare i rapporti di dominio, come dimostra il legame storico tra la creazione della polizia, l’inizio della schiavitù e la nascita del capitalismo. Le riforme cambieranno solo i mezzi per raggiungere questa missione, ma non cambieranno i loro obiettivi. Gli attivisti antischiavitù avevano lo stesso tipo di certezze: condannavano il sistema schiavistico nel suo insieme e lottavano per la sua completa eradicazione, senza chiedersi se la distribuzione di manuali di buone maniere ai “padroni” avrebbe permesso l’invenzione di un sistema. …
“Rafforzare la polizia o abolirla passo dopo passo?“
Le riforme della polizia vengono analizzate anche da una prospettiva abolizionista attraverso ciò che producono in termini positivi per la polizia, non solo come operazioni cosmetiche in definitiva non necessarie. La riforma è un alleato diretto delle forze dell’ordine estendendo il loro potere e aumentando il loro budget con il pretesto di modificarne la professionalità. Legittima le istituzioni di contrasto aggiornando il possibile obiettivo di un corretto funzionamento e mira a perpetuare e migliorare il sistema repressivo. Il collettivo Critical Resistance ha pubblicato un documento in seguito alle rivolte di Ferguson nel 2014 intitolato “Rafforzare la polizia o abolirla passo dopo passo?”[10]. Prendendo la forma di una tabella a partita doppia, ogni riforma viene esaminata dal punto di vista della seguente domanda: questa misura ridurrà la presa che la polizia ha sulla nostra vita? Tutte le leggi immaginate dai legislatori vanno nella direzione opposta. Ad esempio, una migliore formazione della polizia, sbandierata dalla sinistra su entrambe le sponde dell’Atlantico, ha l’effetto di aumentare il budget dell’istituzione. Si basa sulla bizzarra convinzione che la polizia possa autolimitarsi lasciando da parte consapevolmente i vincoli sistemici che la incoraggiano a usare le armi. Soprattutto, moltiplica le possibilità di intervento per gli sbirri. Quindi, se una stazione di polizia offre ai suoi agenti una formazione per gestire meglio le persone in crisi psichiatrica, avranno ulteriore legittimità per intervenire in tali casi e questo di fatto amplia il loro campo d’azione[11]. Questo tipo di riforma tende in realtà ad aggiungere corde all’arco repressivo.
Abolizione significa costruire un ampio movimento politico che lotta testa a testa contro il sistema penale. Questa lotta include varie riforme strappate al potere, che avvicinano a un mondo senza polizia: la seconda parte del lavoro di Critical Resistance presenta riforme chiamate “non riformiste”, cioè “abolizioniste”. Molti abolizionisti difendono questo tipo di provvedimento che Thomas Mathiesen[12], uno degli attivisti e pensatori del movimento abolizionista sin dagli anni ’70, dal canto suo ha chiamato “riforme negative”.
È infatti impossibile fare un elenco di riforme “buone” o “cattive” assolute. Dipende dal contesto, quello che sarebbe un passo indietro da qualche parte potrebbe essere audace altrove. Gli abolizionisti ci ricordano regolarmente che si tratta di una questione di strategia. Tuttavia, l’importanza di affermare l’obiettivo finale rimane: sconfiggere la polizia.
Ecco alcune domande che possono aiutare a fare un passo indietro rispetto alla pertinenza di una campagna e valutare se rafforza o meno le attività di polizia:
– Questa riforma riduce il finanziamento delle polizie?
– Sta riducendo la sua scala, i suoi strumenti, le sue tecnologie, la sua portata?
– Separa la polizia dalle idee di “sicurezza” e “protezione”?
– Diminuisce la legittimità delle forze di polizia? (spesso intesa come autorizzazione alla piena discrezionalità che diventa libero arbitrio?)
Chiaramente, si tratta di evitare riforme che aiutino le forze di polizia a superare le crisi di delegittimazione, ristrutturarsi e mantenere il potere. Spesso esse prendono di mira coloro che le screditano, riducono il loro budget, il loro armamento, le loro tutele legali, il loro morale, il loro sostegno politico … Si sovrappongono a cose molto diverse: organizzarsi a livello locale per mandare via gli agenti di polizia da un liceo, ottenere il rilascio di un detenuto, ridurre drasticamente il numero degli agenti di polizia in una città, limitare il pagamento degli straordinari o addirittura sospendere lo stipendio di un ufficiale se è in corso un’indagine a suo carico, far pagare dalla loro tasche ai poliziotti le responsabilità professionali per i loro abusi, violenze ecc. …
Così tante piccole parti del potere della polizia possono essere soppresse da subito.
La presentazione del libro
Minneapolis, maggio 2020. George Floyd, afroamericano di 46 anni, muore per soffocamento da parte della polizia. Un’ondata di proteste, senza precedenti dagli anni ’60, attanaglia allora il paese. Manifestazioni, mobilitazioni sui social network, saccheggi: l’unicità di questo movimento sta tanto nella sua portata quanto nella radicalità delle sue proposte. Non si tratta più di denunciare gli abusi dell’istituto di polizia, ma di mettere in discussione la sua stessa esistenza.
Defund (definziare) e Abolire la polizia, smantellare la polizia e il suo finanziamento, sono slogan che, in Francia (e in Europa) possono sembrare abbastanza astratti. Eppure fanno parte della storia della lotta dei neri contro la schiavitù e l’incarcerazione di massa. Sono anche incarnate in esperienze di giustizia trasformativa, solidarietà comunitaria, autodifesa e lotta femminista.
Traducendo diversi testi scritti negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni, questa raccolta mira tanto a documentare e a trasmettere questo nuovo abolizionismo: vivere senza la polizia.
Collectif Matsuda
pubblicato su lundimatin#305 – https://lundi.am/Abolir-la-police
traduzione e nota introduttiva a cura di Turi Palidda
Indice:
Introduzione; I. La rivolta di George Floyd; II. Dalla schiavitù al potere nero; III. Polizia: riforma impossibile; IV. Il movimento abolizionista oggi; V. Femminismo e abolizionismo; Conclusione; pubblicato il 10 settembre 2021, 336 pagine, ISBN: 979-10-96195-14-5, 14 euro: https://achat-livre-abolir.vercel.app
note:
[1] A questa svolta editoriale aggiungere Siamo in guerra – Terrore di Stato e militarizzazione della polizia di Pierre Douillard-Lefèvre e Defaire the Police con Serge Quadruppani, Elsa Dorlin, Irené, Jérôme Baschet, due libri di cui non mancheremo di parlare molto presto.
[2] Vi invitiamo inoltre a visitare il sito web allegato, www.abolirlapolice.org, che dovrebbe essere regolarmente aggiornato per alimentare il dibattito sull’abolizionismo offensivo e trasformativo.
Il libro, disponibile in molte librerie, può essere ordinato anche direttamente sul sito.
[3] La storia non finisce qui, l’agente di polizia omicida rivendica dieci milioni di dollari dalla famiglia LeGrier per “trauma emotivo estremo”.
[4] Su questo argomento, in Francia, si veda il libro di Vanessa Codaccioni, La legittima difesa. Omicidi sicuri, crimini razzisti e violenza della polizia, Parigi, CNRS, 2018.
[5] Una delle uniche eccezioni è Derek Chauvin che è stato licenziato dal consiglio comunale (il suo ex datore di lavoro), dai suoi colleghi e dai sindacati di polizia di Minneapolis. Il suo unico sostenitore pubblico al suo processo è il suo avvocato che continua a dire che non era responsabile dell’omicidio di George Floyd.
[6] “Il pensiero magico del riformismo. Il riformismo non è liberazione. È controinsurrezione”, Rodiguez Dylan in Abolition for the people, online, 2020, Level Media: https://level.medium.com/reformism-isnt-liberation-it-s-counterinsurgency-7ea0a1ce11eb
[7] La rivolta per George Floyd non ha fatto eccezione. I parlamentari hanno successivamente proposto due leggi di riforma della polizia che alla fine sono state respinte dal Senato. Anche la città di New York ha lavorato a misure per le sue forze di polizia nell’autunno del 2020. Sono ben analizzate nel testo Storie di polizia su www.illwilledition.com. In Francia, ci ricorda il Beauvau della sicurezza, annunciato dopo il pubblicizzato pestaggio di Michel Zecler, produttore di musica nera nel novembre 2020, e che porta a… nuove conquiste sociali per la polizia (trasporto pubblico gratuito, sussidi per le mutue di polizia …).
[8] Alcune città arrivano addirittura a spacciare i poliziotti per agenti della lotta contro le disuguaglianze. Ruth Wilson Gilmore racconta, ad esempio, che la polizia di Los Angeles, dopo i disordini del 1992, formò squadre per raccogliere denunce nei quartieri poveri e distribuire bicchieri o buoni. Vedi Ruth Wilson e Craig Gilmore, “Beyond Bratton”, in Policing the Planet, a cura di Jordan Camp e Christina Heatherton, Verso, 2016, pp 145-164.
[9] Questi gruppi di sorveglianza della polizia cittadina si sono incontrati nel 1995 nell’Associazione nazionale per il controllo civile delle forze dell’ordine (NACOLE).
[10] Vedi la tabella tradotta dalla rivista Jef Klak nell’articolo Cosa fare con la polizia? Le funzioni dell’ordine sociale in questione, disponibili sul loro sito web.
[11] Sapendo che più di un quarto degli omicidi della polizia negli Stati Uniti coinvolge qualcuno con problemi di salute mentale.
[12] Thomas Mathiesen è stato un sociologo abolizionista norvegese, autore tra gli altri di The Politics of Abolition, London: Martin Robertson, 1974. In italiano si veda il suo libro: Perché il carcere: http://www.ristretti.it/areestudio/cultura/libri/perche_il_carcere.pdf