«Abolite l’ergastolo». Sciopero della fame per 755 "fine pena"
E dire che prima dell’indulto – meglio, prima delle polemiche furibonde successive l’indulto – l’idea di abolire l’ergastolo era tutt’altro che tabù. Giuliano Pisapia lo aveva anche inserito nel progetto di riscrittura del nuovo codice penale. E Clemente Mastella, il guardasigilli, si era detto «possibilista». Ma poi, una volta approvato l’indulto, più nulla. Anzi, di lì in poi il dibattito politico intorno alla giustizia ha subito una virata giustizialista senza precedenti: certezza della pena, sicurezza e galera sono infatti diventate le parole d’ordine della politica e dei media nostrani.E loro, gli oltre mille detenuti condannati all’ergastolo, di fronte a questo vuoto, non hanno potuto far altro che proclamare uno sciopero della fame. Settecentocinquantacinque “fine pena” non mangiano da ieri. Quaranta hanno annunciato uno sciopero ad oltranza, «non abbiamo nulla perdere – hanno fatto sapere – nulla da perdere se non le nostre catene».Sono 50 gli istituti di pena coinvolti e 10mila persone tra familiari e associazioni appoggiano l’iniziativa. Tra loro anche Francesco Caruso, di rifondazione, che partecipa personalmente allo sciopero della fame dal carcere di Catanzaro: «Si tratta di una mobilitazione senza precedenti, in quanto vede coinvolti la maggior parte degli ergastolani attualmente detenuti. Lo sciopero della fame – ha continuato Caruso – si pone l’obiettivo di riaprire la battaglia per l’abolizione dell’ergastolo, una campagna che rischia di finire stritolata nel clima securitario di questi ultimi mesi, e per questo motivo gli ergastolani hanno scelto di mobilitarsi in prima persona, senza aspettare o delegare i tempi della politica: non è un caso che le proposte di legge sull’abolizione dell’ergastolo, che mirano a tramutare l’ergastolo in 30 anni di carcere, ancora non vengono calendarizzate in Parlamento e per questo motivo alcuni ergastolani hanno scelto di procedere allo sciopero ad oltranza fino alle estreme conseguenze per accendere i riflettori sulla loro condizione, dilazionata nel tempo, di “condannati a morte”». «Ci sono state – conclude il parlamentare di rifondazione – e ci saranno inoltre presidi e manifestazioni all’esterno delle carceri affinché la protesta degli ergastolani riesca ad avere visibilità e voce oltre le mura e le sbarre delle carceri nelle quali rischia di restare relegata, nell’indifferenza generale della società e della politica. Si va dal presidio di lotta dei centri sociali calabresi fuori del carcere di Catanzaro alla veglia di preghiera indetta all’esterno del carcere di Spoleto dalla Comunità Papa Giovanni XXIII di cui Don Oreste Benzi è stato il fondatore». Vittorio Antonini, detenuto e vicepresidente dell’associazione Papillon Rebibbia, aderisce alla richiesta di abolizione ma con alcuni distinguo: «Noi sosteniamo la battaglia degli ergastolani, ma per ottenere la riduzione secca dell’ergastolo a 30 anni. Devo dire – ha aggiunto – che non ci piacciano affatto le proposte di legge che prevedono l’abolizione dell’ergastolo che lo ricondurrebbero a pene variabili tra i 32 ai 38 anni. In alternativa crediamo che bisognerebbe almeno arrivare all’applicazione delle leggi oggi vigenti: penso alla condizionale da assegnare a tutti gli ergastolani che abbiano raggiunto il limite minimo che oggi è di 26 anni, tranne che nei casi in cui sia manifestamente provato il legame con la criminalità organizzata».
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