Abusi e maltrattamenti sui minori palestinesi nel sistema di detenzione militare israeliano
L’arresto e la detenzione nelle carceri israeliane è un’esperienza che riguarda ogni anno tra i 500 e i mille bambini e ragazzi palestinesi. Il principale crimine presunto è il lancio di pietre. Save the children ha intervistato oltre 220 ex “trattenuti” da uno a 18 mesi. Alla maggior parte sono stati negati acqua, cibo, assistenza legale e sonno
di Manuela Valsecchi
“Ci si sente come se tutti i sogni che si avevano prima dell’arresto fossero passati e cerchi di raggiungerli ma non ci riesci. Quello che avevi in mente prima non sembra più realizzabile. È come se questa esperienza ti privasse del tuo tempo e del tuo futuro”.
La storia di Jamal, ragazzo palestinese arrestato a 15 anni dall’esercito israeliano, è stata raccolta dalla Ong Save the children nel rapporto “Injustice”, una ricerca sull’esperienza dei minori palestinesi nel sistema di detenzione militare israeliano condotta per aggiornare un primo lavoro di tre anni fa e pubblicata nel luglio 2023.
Non è infatti un tema nuovo: “Il maltrattamento dei minori che entrano in contatto con il sistema di detenzione militare sembra essere diffuso, sistematico e istituzionalizzato durante tutto il processo, dal momento dell’arresto fino al procedimento giudiziario e all’eventuale condanna”, si leggeva già in una pubblicazione dell’Unicef del 2013 (“Children in Israeli military detention: observations and recommendations”).
In dieci anni la situazione non è cambiata, anzi. Tra i 500 e i 1.000 minori palestinesi continuano ad essere arrestati dall’esercito israeliano ogni anno, principalmente con l’accusa -ma basta il sospetto- di lancio di pietre, un crimine che può portare a una condanna di 20 anni di reclusione. Una prassi che viola i loro diritti e ha conseguenze profonde sulla loro salute fisica e mentale, sulla loro vita sociale, sulla loro istruzione e sul loro futuro.
I bambini e i ragazzi palestinesi sono gli unici al mondo a essere sistematicamente perseguiti da tribunali militari che non rispettano gli standard internazionali in tema di giustizia minorile e che non garantiscono un processo giusto. Negli ultimi 20 anni si stima che 10mila minori palestinesi siano transitati dal sistema di detenzione militare israeliano, un’esperienza che segna qualcosa come il 40% della popolazione maschile che vive nei Territori occupati.
Per dare un quadro aggiornato della situazione, Save the children ha condotto una ricerca sul campo tra febbraio e marzo di quest’anno coinvolgendo in interviste e focus group 228 bambini e ragazzi che sono stati detenuti dall’esercito di Tel Aviv quando avevano tra i 12 e i 17 anni, il 97% di loro è di sesso maschile e il 71% era stato rilasciato nell’ultimo anno. I dati raccolti sono allarmanti per ogni fase della detenzione.
Ben oltre la metà degli arresti è avvenuto di notte (il 45% oltre mezzanotte), attraverso un’irruzione -con distruzione di porte o finestre- senza che fosse fornita una motivazione e nella maggior parte dei casi si è trattato di episodi violenti. I minori intervistati raccontano di essere stati picchiati con calci, pugni, schiaffi (73%), alcuni di loro (47%) anche con bastoni o armi, compreso il calcio della pistola; dicono di essere stati ammanettati (85%), bendati (77%) e perquisiti (45%).
Anche l’interrogatorio è un momento molto traumatizzante: “Dopo l’interrogatorio, ne sono uscito completamente diverso. Ero legato a una sedia di ferro, con le mani dietro la schiena. Le percosse sembravano non finire mai. Ero bendato, quindi non potevo vedere il bastone con cui mi picchiavano, né quando sarebbe arrivato il colpo successivo. Non sapevo nemmeno distinguere la notte dal giorno” ha raccontato Hisham, detenuto all’età di 14 anni. Un aspetto, questo, decisivo perché la stragrande maggioranza delle condanne nel sistema di detenzione militare si basa su dichiarazioni rilasciate durante l’interrogatorio, anche se ottenute attraverso palesi violazioni dei diritti del minore, come quelle documentate nel rapporto: negazione di acqua e cibo, privazione del sonno, minaccia di danni fisici o di ripercussioni sulle famiglie, costrizione in posizioni di stress, isolamento.
Anche il diritto a parlare con un avvocato può essere esercitato solo alla fine dell’interrogatorio e non è prevista nemmeno la presenza di un genitore o di un interprete che possa tradurre la documentazione in ebraico che di solito viene fatta firmare ad un certo punto del “colloquio”.
Il trasferimento da un centro di detenzione all’altro o dalla prigione al tribunale a bordo del “Bosta”, l’autobus dei detenuti, è considerato da alcuni degli intervistati uno degli aspetti più traumatici della detenzione: i minori hanno riportato di essere stati ammassati nell’autobus, in piedi per tutto il tragitto, con mani e piedi ammanettati, senza cibo o acqua, né accesso ai servizi igienici, per 12 o più ore. La gamma di abusi fisici e psicologici si riproduce anche durante il tempo passato in prigione con percosse, perquisizioni, minacce, isolamento, negazione di cibo, acqua, cure mediche, privazione del sonno. Sono aumentate anche le denunce di violenze e abusi di natura sessuale che alcuni degli intervistati hanno descritto come “tocchi nelle parti intime” e “colpi sui genitali”: il 69% di loro ha riferito di essere stato spogliato durante la detenzione, “una forma di abuso sessuale e una tattica di umiliazione” spiegano i curatori del rapporto, ricordando che “la Convenzione sui diritti dell’uomo delle Nazioni unite prevede che nessun bambino privato di libertà possa essere sottoposto a tortura o ad altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti”. Anche il contatto con il mondo esterno dovrebbe essere tutelato nel caso di minori detenuti, invece a oltre la metà dei bambini e dei ragazzi che hanno preso parte all’indagine è stato impedito di vedere le proprie famiglie mentre erano in carcere.
Non stupisce dunque il forte disagio psicofisico manifestato dopo il rilascio che si traduce in disturbi del sonno o insonnia (73% del campione), incubi (53%), rabbia (62%), sfinimento (50%), mal di testa e vertigini (57%), perdita dell’appetito (39%), attacchi di panico o difficoltà a respirare (35%), dolori muscolari (42%), brividi (22%).
“Il sistema di detenzione ha un impatto distruttivo sul benessere a lungo termine dei minori. Cambiamenti comportamentali come il sentirsi arrabbiati per la maggior parte del tempo, la scarsa o nulla volontà di comunicare con gli altri, la maggiore tendenza a passare il tempo da soli o l’eccessivo attaccamento alla madre hanno avuto un impatto sulla vita quotidiana e sul benessere emotivo”, chiariscono gli esperti di Save the children. E le conseguenze avranno un impatto per tutta la loro vita: basti pensare che almeno un terzo dei ragazzi intervistati ha abbandonato la scuola dopo il rilascio e molti di quelli che vi hanno fatto ritorno sono stati costretti a cambiare percorso di studi o a ridimensionare le loro aspirazioni. Anche i rapporti sociali e i legami famigliari di questi minori subiranno delle ripercussioni: non solo per l’ovvia lontananza dalle opportunità di formazione o dalle attività tipiche del tempo libero patita in carcere, ma anche per l’accusa di essere una spia che alcuni di essi si sentono rivolgere dopo essere stati rilasciati e il conseguente stigma che questo comporta su di loro e le rispettive famiglie.
Questo si traduce in bambini e ragazzi che non si sentono sicuri fuori da casa, che evitano interazioni con persone che non conoscono, che hanno difficoltà a esprimere i propri sentimenti. “Con il giusto supporto i minori possono trovare la fiducia in se stessi per poter utilizzare la loro capacità di recupero e iniziare a elaborare il grave disagio emotivo che hanno vissuto” concludono i ricercatori di Save the children, sottolineando ancora una volta che “l’arresto militare, la detenzione e il procedimento giudiziario dei bambini e dei ragazzi palestinesi è un problema importante e di lunga data per i diritti umani. Gli ultimi risultati di questa ricerca seguono una tendenza profondamente preoccupante nell’ultimo decennio e confermano il peggio”.
La richiesta avanzata dalla Ong è quella di “una moratoria immediata sull’arresto, la detenzione e il processo dei minori da parte delle autorità militari israeliane. Nessun bambino dovrebbe entrare in contatto con il sistema di detenzione abusivo, fino a quando non saranno attuate riforme sostanziali”.
da Altreconomia
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