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“Accusati di solidarietà”, un rapporto sulla criminalizzazione

Border Violence Monitoring Network (BVMN) denuncia i casi di criminalizzazione in diversi paesi

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Premessa

Partendo col constatare che nell’ultimo decennio si sono sviluppati fenomeni tra loro connessi costituiti da una crescente militarizzazione delle frontiere dell’UE e da una gestione del fenomeno migratorio sempre più incentrata al respingimento delle persone migranti, il Rapporto «Accused of solidarity» 1 curato da Border Violence Monitoring Network (BVMN) 2, descrive e documenta il processo di “criminalizzazione” dei migranti e delle associazioni e operatori impegnati in questo campo.

L’aumento della criminalizzazione dei fenomeni migratori, strettamente connesso alla militarizzazione delle frontiere, ha infatti portato ad una conseguente azione di “criminalizzazione” anche delle organizzazioni e delle associazioni che si occupano di fornire supporto umanitario ai migranti (cosiddetta “migrazione secondaria“).

Si tratta di fenomeni che, da un punto di vista storico, hanno subito accelerazioni importanti a partire dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 e dai successivi attentati di Madrid (2004) e Londra (2005). Da questi momenti in poi si è avuta una crescente criminalizzazione dei fenomeni migratori e l’inizio di uno stato di eccezione nella gestione della questione migratoria. Alla richiesta di sicurezza e di protezione della società civile, ha fatto seguito la creazione di “continenti fortezza” con la previsione di politiche sempre più restrittive e sempre meno accoglienti. Così anche in Europa si è inaugurata una nuova stagione contraddistinta da pesanti limitazioni all’accesso al suo territorio. Il tutto è iniziato con il potenziamento dei meccanismi di identificazione interna ai singoli Stati, per poi passare all’utilizzo di strumenti di deterrenza per ridurre l’accesso al continente europeo, fino ad arrivare alla introduzione di sanzioni per coloro che aiutano i migranti a spostarsi verso l’Europa.

Forme di criminalizzazione

Parlare di criminalizzazione dei fenomeni migratori e delle attività di sostegno da parte delle organizzazioni umanitarie, vuol dire fare riferimento a quell’insieme di azioni che uno o più Stati (ma non solo) pongono in essere al fine di scoraggiare un determinato fenomeno o, comunque, per porre fine ad una determinata attività. Le azioni in questione sono le più svariate e operano su differenti livelli. Si passa da ostacoli burocratici a vere e proprie molestie e violenze da parte delle autorità. Passando attraverso una forte stigmatizzazione e delegittimazione dei “difensori” dei diritti umani e una delegittimazione della solidarietà mostrata e praticata a favore dei rifugiati.

Concretamente si è soliti distinguere tra due forme di criminalizzazione delle organizzazioni umanitarie: formale ed una informale.

La prima è quella che viene attuata attraverso metodi legali e consiste in processi e sanzioni amministrative e penali a carico delle organizzazioni umanitarie o dei volontari.

I casi di criminalizzazione formale sono spesso molto pubblicizzati o ricevono molta attenzione da parte del pubblico e dei media. Le accuse che più spesso vengono formalizzate sono di “facilitare l’attraversamento illegale delle frontiere” o “facilitare il soggiorno illegale o non documentato“, fino ad arrivare all’accusa di “traffico di migranti“.

La c.d. criminalizzazione informale invece si concretizza in atti di repressione, minacce, sorveglianza, intimidazione, interrogatori e disturbo o distruzione di servizi che forniscono assistenza umanitaria ai migranti, ecc.

Una forma di criminalizzazione informale esaminata nel Rapporto è quella che ha riguardato le azioni di controllo poste in essere dalle autorità di polizia nei confronti non soltanto dei migranti, ma anche dei volontari delle associazioni umanitarie. Già nel 2020, BVMN ha osservato un aumento dei controlli di identità dei propri volontari e dipendenti e perquisizioni di edifici associati alle organizzazioni membri da parte delle forze di polizia, come forma di intimidazione.

Conseguenze della criminalizzazione

La più diretta e immediata conseguenza di questa operazione di criminalizzazione della solidarietà è quella di rendere lo spazio della società civile più insicuro e di erodere drasticamente lo stato di diritto. Insicurezza e incertezza che determina un indebolimento della presenza in loco delle organizzazioni umanitarie e dei loro operatori.

Infatti, come si evidenzia nel Rapporto di BVMN, in diversi casi, la maggiore criminalizzazione ha portato a una riduzione o all’interruzione delle attività di supporto umanitario, il che ha avuto un grave impatto sulla capacità delle organizzazioni umanitarie di monitorare le violazioni dei diritti umani. In molti casi invece si è determinato una riduzione delle possibilità di accesso a finanziamenti da parte delle organizzazioni umanitarie. Si tratta di una questione di non poco conto se si considera che, anche le associazioni che operano prevalentemente attraverso volontari, comunque necessitano di una certa quantità di finanziamenti per mantenere in esecuzione le loro operazioni.

Ma non solo.

La criminalizzazione limita inoltre l’accesso delle organizzazioni umanitarie ai processi decisionali politici e alla partecipazione e, pertanto, «riduce la capacità della società civile di promuovere in modo efficace e indipendente i diritti fondamentali dei rifugiati e degli altri migranti e di difendere i valori fondanti dell’UE, come lo stato di diritto, la democrazia e i diritti fondamentali» 3. Sono numerosi i casi documentati in cui è stata negata la partecipazione di BVMN e dei suoi membri a riunioni organizzate dalle istituzioni nazionali. Il tutto per mere ragioni politiche.
Infine, a causa di attacchi e molestie e al fine di garantire la sicurezza di volontari, dipendenti e persone in movimento che accedono ai servizi vitali, alcuni siti sono stati abbandonati 4.

Conclusioni

Elencando e contestualizzando gli episodi di criminalizzazione delle organizzazioni membri della BVMN e dei loro membri, il rapporto analizzato evidenzia il deterioramento della situazione per le organizzazioni umanitarie che lavorano a sostegno dei migranti e monitorano le violazioni dei diritti umani nell’UE e alle sue frontiere esterne. È evidente allora che, senza alcuna pretesa di essere esaustivo, il rapporto però evidenzia alcune tendenze estremamente rilevanti all’interno di un ambiente sempre più deteriorato per le organizzazioni umanitarie che lavorano in questo campo.

In ogni caso, l’ambiente “ostile” descritto, in cui sono chiamati ad operare i dipendenti e i volontari delle diverse organizzazioni umanitarie, riflette solo una piccola parte del più ampio fenomeno di criminalizzazione a cui sono sottoposti i migranti. Una criminalizzazione che purtroppo si sta estendendo e sta diventando sempre più “raffinata” perché attuata con metodi e strumenti formalmente legali. È chiaro che a fronte di tutto ciò, si rende necessario un più attento e incisivo monitoraggio di quanto accade e un forte e accorato richiamo al rispetto dei diritti umani da parte delle organizzazioni internazionali e dei singoli Stati.

  1. Criminalisation Report: Accused of Solidarity, BVMN (maggio 2022)
  2. BVMN è una rete indipendente di OSC e associazioni che monitorano le violazioni dei diritti umani alle frontiere esterne dell’UE e si battono per fermare la violenza esercitata contro le persone in movimento
  3. Vosyliūtė & Conte, 2018, p. 5
  4. In Serbia, l’organizzazione partner No Name Kitchen ha abbandonato alcuni siti di distribuzione a causa dell’aumento della pressione della polizia e della quantità di molestie online e offline da parte dei membri della comunità locale. La stessa situazione si è verificata per NNK in Bosnia ed Erzegovina. A causa dei controlli della polizia nel loro sito di distribuzione e della confisca dei passaporti dei volontari, sono stati costretti a spostare i loro siti di distribuzione. Di conseguenza, un numero molto minore di migranti ha potuto raggiungere i siti di distribuzione e quindi accedere all’assistenza umanitaria di vitale importanza.

da Meltingpot

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A Riace contro la criminalizzazione della solidarietà

Una delegazione di europarlamentari, Ong e attivisti in una due giorni in sostegno a Mimmo Lucano e al modello di accoglienza.

di Alice Pistolesi 

Dal Parlamento Europeo a Riace contro la criminalizzazione della solidarietà. Tre europarlamentari sono arrivati nel piccolo borgo calabrese alla vigilia del processo di appello all’ex sindaco Mimmo Lucano, condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi di carcere con una serie di accuse legate alla gestione dei progetti di accoglienza dei richiedenti asilo. A sostenere il ‘modello’ Riace una delegazione, composta da Rosa D’Amato e Damien Careme del gruppo Greens-Efa e da Cornelia Ernst di Left, oltre ad attivisti e rappresentanti di varie Ong.

Nell’occasione Damien Careme ha presentato un dossier, realizzato dal gruppo parlamentare dei Verdi, che fa il punto sui casi di criminalizzazione della solidarietà tra gennaio 2021 e marzo 2022.

In poco più di un anno si rileva che 89 persone sono state perseguite in tutta Europa. Tra questi 18 devono affrontare nuove accuse, mente gli altri sono oggetto di procedimenti in corso da anni. Quattro sono migranti. Nell’88% dei casi le accuse sono di favoreggiamento dell’ingresso, del transito o del soggiorno di migranti. A questi casi si sommano poi le quasi 300 persone che tra agosto e settembre 2021 sono state arrestate per aver aiutato i migranti che attraversavano le frontiere tra Bielorussia e Polonia. Situazione peggiorata con la pandemia da Covid-19, quando le misure di emergenza “sono state utilizzate per limitare l’accesso alle strutture di accoglienza e ai centri di detenzione, per imporre sanzioni pecuniarie alle organizzazioni che prestavano servizi durante il lockdown e per limitare il diritto alla libertà di riunione”.

Sulle violazioni che avvengono sulle frontiere della Fortezza Europa Cornelia Ernst del gruppo Left ha riproposto il Libro nero sui respingimenti: due volumi di 1.500 pagine che documentano, tramite i dati del Border Violence Monitoring Network, la violenza subita da oltre 12mila persone per mano delle autorità alle frontiere esterne dell’Unione Europa.

La criminalizzazione di chi aiuta non si ferma solo a chi aiuta i migranti. “Il problema – ha detto Laura Renzi di Amnesty International – è più ampio in Europa. Sono in aumento anche le vessazioni contro chi difende diritti Lgbt o contro chi si batte per questioni ambientali. In cinque anni è aumentato esponenzialmente l’incitamento dell’odio on line e le querele ‘temerarie’ o Slap (Strategic Lawsuit Against Public Participation) che mirano a censurare, intimidire e mettere a tacere voci critiche mediante azioni giudiziarie. Modalità che vengono sempre più spesso utilizzate anche contro i giornalisti”.

Target del fenomeno di criminalizzazione sono state anche le stesse Ong. “Abbiamo assistito – racconta Viviana Di Bartolo di Sos Mediteranee, soccorritrice da cinque anni sulle navi di salvataggio – a una escalation della criminalizzazione. La strategia europea è andata in due direzioni: da una parte esternalizzare il confine marittimo dando autorità a Paesi terzi come Libia, Marocco e Turchia, dall’altra perseguire chi fa soccorso. Noi siamo passati da ‘angeli del mare’ a ‘taxi del mare’, quando in realtà la nostra attività è rimasta sempre la stessa”. “Le Ong – continua Corrado Mandreoli, vice presidente della Ong Resq – non si occupano solo di salvataggi, ma sono occhi attenti a quello che succede ed è proprio questo quello che preoccupa di più. Anche adesso siamo qui per mantenere i riflettori accesi, perché se Mimmo Lucano viene condannato sarà una sconfitta per tutti”.

La vicenda giudiziaria che vede coinvolto Mimmo Lucano ha pesato su tutto il modello Riace. Con la fine dei progetti Sprar molti beneficiari hanno lasciato il borgo, che si è nuovamente spopolato. Nonostante la mancanza di fondi, però, Riace continua a essere “meta di un’accoglienza spontanea”. “Le persone – raccontano alcuni volontari del borgo – arrivano tramite passaparola. Alcuni hanno finito i progetti di accoglienza e non sanno dove andare, mentre da qualche giorno sono arrivate alcune famiglie afghane tramite una Ong. Noi cerchiamo di aprire le porte del nostro villaggio globale e forniamo assistenza e sostegno”.

Dal 1998, con l’arrivo delle prime famiglie curde, Riace non ha mai smesso di essere un paese accogliente e ha suscitato negli anni grande attenzione e curiosità. “Ci si chiedeva – racconta Mimmo Lucano, che è stato sindaco dal 2004 al 2018 – come faceva un posto in cui non c’è lavoro, ci sono fortissime infiltrazioni mafiose a essere passato da luogo di emigrazione a paese di immigrazione. Quello che abbiamo messo in piedi è stato fatto in maniera spontanea, perseguendo gli ideali di fratellanza, solidarietà e accoglienza in cui ho sempre creduto”.

Anche adesso, pur con tutte le difficoltà, il Villaggio Globale, ovvero la zona di Riace in cui le case di chi è emigrato vengono affittate tramite un’associazione alle famiglie rifugiate, resta aperto. Così come continuano i laboratori, le attività e il lavoro dell’ambulatorio medico. Per sostenere il progetto Riace in varie città italiane si sono costituiti i ‘Comitati 11 giugno’ (data dell’inizio del processo a Mimmo Lucano) che stanno tramite sottoscrizioni sostenendo il modello di accoglienza che ruota attorno a Riace. C’è chi si occupa di pagare le bollette alle abitazioni del villaggio globale, chi realizza cene e raccolte fondi. Un’umanità che continua a credere in quello che Riace è stato e vuole continuare a essere.

da