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Ad un anno di distanza l’archivio di Paolo Persichetti è ancora sotto sequestro

Paolo Persichetti, ex militante delle Br-Ucc, oggi storico e ricercatore, è accusato di diffondere documenti riservati della Commissione Moro II.«I miei archivi in mano alla polizia della Storia e al complottismo…» Ma se le perizie hanno smontato la tesi dei Pm perché il materiale delle sue ricerche rimane sotto sequestro?

di Daniele Zaccaria

Sono passati 12 mesi da quando la procura di Roma gli ha sequestrato archivi cartacei, computer, telefoni, tablet, pieni di email, foto, video in larga parte materiale privato di nessuna rilevanza che giace ancora nelle mani degli inquirenti. Paolo Persichetti, ex militante delle Br-Ucc, oggi apprezzato storico e ricercatore, avrebbe diffuso documenti riservati della Commisione Moro II allo scopo di favorire, non si sa in che modo, dei latitanti. Le indagini non hanno confermato nessuna delle accuse, al contrario le perizie dei file hanno escluso che si trattasse di materiale sottoposto a segreto, ma Persichetti non ha ancora avuto indietro i suoi file. Convincendosi che lo scopo del sequestro non sia accertare le accuse, ma ostacolare con ogni mezzo il suo lavoro storiografico sugli anni di piombo, la sua lotta incessante contro le dietrologie, contro le ricostruzioni fantasy e i cimplottismo sul sequestro Moro puntualmente smentite dai fatti ma che continuano a titillare ampi settori della politica, della magistratura e degli apparati di sicurezza dello Stato. Tesi ben illustrate nel suo ultimo, documentatissimo libro, La polizia della storia. La fabbrica delle fake news nell’affaire Moro, pubblicato da Derive e Approdi. «La polizia della Storia non è soltanto una metafora suggestiva, ma un fatto concreto: in Italia ci sono poliziotti che indagano in carne e ossa sugli archivi, che presidiano la memoria e decidono su cosa si possa o no fare della ricerca, è assurdo!».

Perché questo accanimento?

Credo che questo sia tutto un pretesto, il vero problema è che vogliono il mio archivio e tenerselo il più tempo possibile per bloccarmi e intralciare il mio lavoro di ricerca, magari nell’idea non restituirmelo mai più per neutralizzarmi del tutto. Non vedo altra ragione: dopo un anno sono crollate tutte le accuse, la perizia, ripeto, ha stabilito che non c’è nulla di rilevante, il teorema come si capiva fin dall’inizio, era del tutto infondato.

Cosa sosteneva il “teorema”?

Che io avessi trasmesso ad altre persone del materiale riservato della Commissione Moro II, in particolare la bozza della prima relazione annuale che non è un atto riservato nemmeno per i criteri interni della Commissione, ma un documento politico destinato ad essere pubblico che deve essere votato ed emendato. Siamo nel campo di interpretazioni infondate. La bozza è stata utilizzata come espediente per cercare nel mio archivio documenti davvero riservati ma non li hanno trovati perché semplicemente non ci sono, non li ho mai avuti e non ne ho accesso.

Quale sarebbe stata la finalità?

Siamo nel cuore del teorema : mi hanno accusato di favoreggiamento, ossia avrei svolto una sorta di attività di intelligence, appropriandomi di atti riservati e avrei condiviso il materiale con due latitanti, allo scopo di favorire la loro latitanza. Stiamo parlando di persone latitanti da oltre trent’anni, dai tempi in cui ero minorenne, peraltro uno di loro, Alvaro Lojacono ha già scontato la sua pena, mentre con l’altro, Alessio Casimirri non ho mai avuto contatti, non ci ho mai parlato. E infatti non è stata agomentata nei miei confronti nessuna ipotesi accusatoria, ma solo un generico favoreggiamento. La cosa surreale è che tutto nasce dalle “recensioni” della polizia di prevenzione (l’ex Ucigos n.d.r) che ha letto le bozze del mio libro, trovandole sospette.

In che senso “recensioni”?

Secondo funzionari della polizia di prevenzione, che svolgono sia attività di intelligence che di polizia giudiziaria nelle mie carte ci sarebbero tesi che non corrispondono agli esiti processuali. Inoltre sostengono che nelle mie mail sarebbero citati episodi e fatti che poi non ho inserito nel libro e questo giustificherebbe il presunto favoreggiamento. È ridicolo.

A quali fatti si riferiscono?

Alla via di fuga del commando brigatista che ha sequestrato Moro e al secondo furgone, che avrebbe dovuto entrare in scena nel caso le cose fossero andate male e di cui si occupò Lojacono, ma che non fu mai utilizzato. Se io scopro dei dettagli che non erano emersi nei processi ma lo faccio senza avere elementi tali da riempire una pagina di storia, a causa di testimonianze incongruenti e contrasti di memoria, è mia responsabilità di ricercatore non pubblicarli, è una questione di serietà. E stiamo parlando di un aspetto del tutto secondario di cui nessuno si è mai interessato fino ad ora. Coinvolgermi in questa vicenda fa parte della narrazione dietrologica sul caso Moro che circola da almeno trent’anni senza mai trovare riscontri nella realtà.

È molto difficile fare lavoro storiografico in queste condizioni?

Il problema principale è che c’è una sovrapposizione tra l’indagine della procura e le vecchie e mai dimostrate tesi dietrologiche e cospirazioniste sull’affaire Moro, trovo questo aspetto sconcertante. Soprattutto da quando, con le direttive Prodi e Renzi, sono stati resi pubblici gli archivi, un tempo monopolio della magistratura e dei consulenti delle commissioni, tutti personaggi littizzati. È finita l’epoca in cui i documenti venivano citati a rovescio o a metà o con le sequenze sbagliate, oggi i ricercatori possono verificare tutto e questo ha prodotto un nuovo lavoro storiografico che smonta le narrazioni costruite fino ad oggi e questo fatto evidentemente dà fastidio. Al punto da creare il cortocircuito di cui parlavo.

E sembra ancora più difficile farlo sugli anni di piombo, ancora oggi un campo minato.

Se oggi qualcuno compie un lavoro di ricerca e di memorialistica sul ventennio fascista viene considerato uno storico, se invece lo fai sugli anni 70, sul terrorismo, si parla di attività di propaganda se non addirittura peggio. Ho sentito persinol’incredibile definizione di “banda armata storiografica”.

C’è però anche un elemento personale, che riguarda la biografia dell’autore.

Certo, questo ahimé è un aspetto centrale: in sostanza non mi viene riconosciuto il fatto di aver scontato la pena e il diritto di poter svolgere ricerca storica su quegli anni. La conseguenza è che i miei studi non vengono considerati come una libera e disinteressata attività intellettuale, ma sarebbero un’ambigua opera di proselitismo, di favoreggiamento, di mantenimento di non si sa quali legami e quali vincoli associativi. Non avendo argomenti e non potendomi contestare sul merito subisco un attacco e una delegittimazione totale del mio lavoro di storico e della mia stessa persona. Non dovrei essere io a dirlo, ma trovo incredibile che in Italia non si parli di questa vicenda, di questa censura odiosa, del fatto che la polizia sequestri impunemente degli archivi e, pur non trovandoci dentro nulla, continui a tenerli sotto sequestro.

da il dubbio

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Moro, l’archivio sotto un dominio pieno e incontrollato

di Frank Cimini

Oggi un anno. Un anno fa il sequestro. Il sequestrato si trova sotto un dominio pieno e incontrollato. Parafrasiamo quanto scrisse Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse perché a essere sequestrato l’8 giugno del 2021 fu l’archivio del ricercatore Paolo Persichetti sulla base di presunte molto presunte violazioni di segreti. Che infatti sono state escluse dal perito nominato dal giudice secondo il quale nell’archivio del ricercatore indipendente non c’erano atti coperti da segreto della commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro.

Ma nonostante ciò l’archivio non è stato dissequestrato. Sono state resitituite solo due pendrive che tra l’altro non c’entravano nulla con Persichetti.
L’archivio come dicevamo resta sotto il dominio di un’operazione di propaganda politica targata Magistratura Democratica, la corrente “di sinistra” alla quale appartengono sia il pm Eugenio Albamonte sia il gip Valerio Savio. L’indagine insomma continua, è senza confini, sempre a caccia di improbabili complici di misteri inesistenti relativi a servizi segreti di mezzo mondo che sarebbero stati dietro le Br per i fatti di via Fani.

È una storia assurda che si spiega solo con la politica, attività a cui la magistratura italiana da tempo immemore dedica molto tempo e tantissime energie.

L’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo era caduta praticamente subito. Del resto parliamo di una indagine nata a Milano su presunti favoreggiatori della latitanza di Cesare Battisti, archiviata senza neanche perquisire Persichetti come aveva chiesto la polizia. Il fascicolo è stato preso in carico a Roma dalla procura già nota per aver preso il Dna dei condannati per la strage di via Fani e altre persone a oltre 40 anni dagli accadimenti.

Paradossalmente la ricerca storica indipendente pur avendo raggiunte le stesse conclusioni di cinque processi (dietro le Br c’erano solo le Br) viene criminalizzata. Siamo nel paese dove la Fondazione Flamigni che da decenni spaccia bufale dietrologiche sul caso Moro riceve finanziamenti pubblici. Dove il presidente della Repubblica ripete ossessivamente di ricercare la verità come se non avesse in qualità di capo del Csm il dovere di prendere atto degli esiti processuali.

La caccia alle streghe continua. Il sequestro dell’archivio tra l’altro impedisce l’uscita del secondo volume della storia delle Br “Dalle fabbriche alla campagna di primavera” di cui Persichetti è coautore insieme a Marco Clementi e Elisa Santalena. Una sorta di censura preventiva. È tutto nel silenzio dei mezzi di informazione che di questa “strana” indagine non hanno mai sostanzialmente scritto al di là di qualche lodevole eccezione.

da giustiziami