Il 4 maggio a Cassibile, una frazione di Siracusa, un bracciante stagionale marocchino ha subito un’aggressione razzista. Nulla di soprendente in un luogo dove i migranti sono sfruttati e senza diritti e devono restare invisibili. Ma c’è chi tenta di rompere l’isolamento.
Era solo questione di tempo. Alla fine è successo quello che tutti temevano. Il 4 maggio a Cassibile, una frazione di Siracusa che è anche diventata luogo di «mercato delle braccia» dove i caporali scelgono i braccianti della giornata da usare soprattutto nei campi di patate, un gruppo di italiani ha aggredito un lavoratore stagionale marocchino. L’uomo, trent’anni, ha subito l’aggressione razzista mentre stava camminando su via Nazionale, la strada principale di Cassibile. Insulti, calci e pugni. Poi altri abitanti di Cassibile, alla fine, hanno dato l’allarme e chiamato il 118, mentre gli aggressori fuggivano. La vittima è stata ricoverata all’ospedale Umberto primo di Siracusa, dove la sua situazione non è stata giudicata grave dai medici. E’ stato dimesso ieri. E’ la prima aggressione razzista registrata dall’inizio dell’anno, ma non è certo una novità a Cassibile, dove già nel 2006 era stato incendiato l’accampamento dove molti lavoratori migranti avevano trovato riparo.
«Questa agressione non arriva dal nulla, anzi, c’era da aspettarsela – spiega Alfonso Di Stefano, della rete antirazzista di Catania – Il primo maggio abbiamo organizzato una iniziativa per tentare di accendere i riflettori sul caso di Cassibile, il caporalato e lo sfruttamento dei braccianti agricoli immigrati. E ci siamo riusciti. Hanno partecipato circa trecento persone, almeno la metà dei quali erano migranti. C’era anche una folta delegazione della parocchia siracusana di Bosco Minniti, e padre Carlo D’Antoni ha partecipato alla serata. Hanno portato un piatto africano, il Fufu. Tra i migranti presenti, diversi avevano lavorato per tutto il giorno, ma nonostante il fatto che erano in piedi dalle quattro del mattino hanno cenato insieme a noi. Dopo la proeizione del documentario Terra [e]strema, c’è stato un dibattito molto partecipato alla presenza degli autori Enrico Montalbano e Angela Giardina: è intervenuto tra gli altri padre Carlo ma anche due braccianti senegalesi». Il «primo maggio migrante» è stato promosso da un Coordinamento alla quale aderiscono ad esempio la Rete antirazzista catanese, la parocchia siracusana di Bosco Minniti, la confederazione Cobas di Siracusa e Catania, l’Arci di Messina, i missionari comboniani di Palermo, l’associazione Siqillyàh e molte altre associazioni per tentare di costruire una campagna a difesa dei diritti dei migranti stagionali in Sicilia.
«In questo quadro – continua Alfonso – c’è tuttavia una nota dolente, che avevamo messo in conto, la scarsa partecipazione dei cassibilesi e dei siracusani. I siciliani presenti erano per lo più arrivati in pullman da Catania, nonostante fossimo nell’istituto comprensivo ‘Falcone Borsellino’ di Cassibile». Ovvero sulla piazza centrale del paese, la stessa che ogni mattina all’alba si riempie di migranti in cerca di lavoro e di caporali che vengono anche da lontano per trovare manodopera da sfruttare. «Ma ci siamo fatti sentire lo stesso – spiega Alfonso – abbiamo volantinato nel pomeriggio e poi fino a tarda sera sono risuonate le percussioni senegalesi. Resta il fatto che siamo molto allarmati per questa notizia».
Del resto, che i migranti servano ma debbano restare invisibili è un concetto «bipartisan» a Cassibile. Già a marzo il segretario del circolo locale del Pd, Orazio Musumeci, spiegava: «La tendopoli se la facciano le associazioni umanitarie a Siracusa, noi la gente a bivaccare qui non la vogliamo». Non per cattiveria, ci teneva a precisare Musumeci, ma perché «così si danneggia la nostra economia turistica: la gente non viene neanche a mangiare una pizza». Insisteva Musumeci, «non siamo razzisti». Poi all’inizio di aprile la tendopoli – installata su un terreno isolato e sul ciglio della statale – è stata aperta ma con solo centotrenta posti di fronte a oltre quattrocento lavoratori. E anche quest’anno, il protocollo siglato tra prefettura e produttori, che riguardava l’alloggio dei braccianti, è rimasto lettera morta.
La polizia municipale, che sta seguendo il caso, avrebbe identificato i responsabili del pestaggio razzista, grazie alla testimonianza del bracciante marocchino.
Era solo questione di tempo. Alla fine è successo quello che tutti temevano. Il 4 maggio a Cassibile, una frazione di Siracusa che è anche diventata luogo di «mercato delle braccia» dove i caporali scelgono i braccianti della giornata da usare soprattutto nei campi di patate, un gruppo di italiani ha aggredito un lavoratore stagionale marocchino. L’uomo, trent’anni, ha subito l’aggressione razzista mentre stava camminando su via Nazionale, la strada principale di Cassibile. Insulti, calci e pugni. Poi altri abitanti di Cassibile, alla fine, hanno dato l’allarme e chiamato il 118, mentre gli aggressori fuggivano. La vittima è stata ricoverata all’ospedale Umberto primo di Siracusa, dove la sua situazione non è stata giudicata grave dai medici. E’ stato dimesso ieri. E’ la prima aggressione razzista registrata dall’inizio dell’anno, ma non è certo una novità a Cassibile, dove già nel 2006 era stato incendiato l’accampamento dove molti lavoratori migranti avevano trovato riparo.
«Questa agressione non arriva dal nulla, anzi, c’era da aspettarsela – spiega Alfonso Di Stefano, della rete antirazzista di Catania – Il primo maggio abbiamo organizzato una iniziativa per tentare di accendere i riflettori sul caso di Cassibile, il caporalato e lo sfruttamento dei braccianti agricoli immigrati. E ci siamo riusciti. Hanno partecipato circa trecento persone, almeno la metà dei quali erano migranti. C’era anche una folta delegazione della parocchia siracusana di Bosco Minniti, e padre Carlo D’Antoni ha partecipato alla serata. Hanno portato un piatto africano, il Fufu. Tra i migranti presenti, diversi avevano lavorato per tutto il giorno, ma nonostante il fatto che erano in piedi dalle quattro del mattino hanno cenato insieme a noi. Dopo la proeizione del documentario Terra [e]strema, c’è stato un dibattito molto partecipato alla presenza degli autori Enrico Montalbano e Angela Giardina: è intervenuto tra gli altri padre Carlo ma anche due braccianti senegalesi». Il «primo maggio migrante» è stato promosso da un Coordinamento alla quale aderiscono ad esempio la Rete antirazzista catanese, la parocchia siracusana di Bosco Minniti, la confederazione Cobas di Siracusa e Catania, l’Arci di Messina, i missionari comboniani di Palermo, l’associazione Siqillyàh e molte altre associazioni per tentare di costruire una campagna a difesa dei diritti dei migranti stagionali in Sicilia.
«In questo quadro – continua Alfonso – c’è tuttavia una nota dolente, che avevamo messo in conto, la scarsa partecipazione dei cassibilesi e dei siracusani. I siciliani presenti erano per lo più arrivati in pullman da Catania, nonostante fossimo nell’istituto comprensivo ‘Falcone Borsellino’ di Cassibile». Ovvero sulla piazza centrale del paese, la stessa che ogni mattina all’alba si riempie di migranti in cerca di lavoro e di caporali che vengono anche da lontano per trovare manodopera da sfruttare. «Ma ci siamo fatti sentire lo stesso – spiega Alfonso – abbiamo volantinato nel pomeriggio e poi fino a tarda sera sono risuonate le percussioni senegalesi. Resta il fatto che siamo molto allarmati per questa notizia».
Del resto, che i migranti servano ma debbano restare invisibili è un concetto «bipartisan» a Cassibile. Già a marzo il segretario del circolo locale del Pd, Orazio Musumeci, spiegava: «La tendopoli se la facciano le associazioni umanitarie a Siracusa, noi la gente a bivaccare qui non la vogliamo». Non per cattiveria, ci teneva a precisare Musumeci, ma perché «così si danneggia la nostra economia turistica: la gente non viene neanche a mangiare una pizza». Insisteva Musumeci, «non siamo razzisti». Poi all’inizio di aprile la tendopoli – installata su un terreno isolato e sul ciglio della statale – è stata aperta ma con solo centotrenta posti di fronte a oltre quattrocento lavoratori. E anche quest’anno, il protocollo siglato tra prefettura e produttori, che riguardava l’alloggio dei braccianti, è rimasto lettera morta.
La polizia municipale, che sta seguendo il caso, avrebbe identificato i responsabili del pestaggio razzista, grazie alla testimonianza del bracciante marocchino.
fonte: carta.org
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