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Agrigento: ancora carcere per i 7 tunisini. Tre udienze non bastano per scagionarli

I pescatori avevano salvato 44 migranti. Adesso sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
«Io sono un capitano, di quelli che erano con me, di quelli che abbiamo salvato; la responsabilità è solo mia. Quello che ha parlato con “Lampedusa Radio” sono solo io. […] Ho chiesto aiuto a tutti. Ho chiesto aiuto per tutti». Zenzeri Abdalbasset, comandante del motopeschereccio tunisino “Morthada” ha ricostruito con sintesi efficace quanto accaduto alla sua imbarcazione l’8 agosto scorso. Lui, insieme al suo equipaggio e di un altro natante, El Hedi – 7 persone in tutto – sono ancora detenuti in attesa di giudizio, accusati di aver favorito per ragioni di lucro l’immigrazione clandestina di 44 cittadini migranti intercettati a 40 miglia a sud di Lampedusa.Tre udienze non sono bastate a smontare il ferruginoso castello accusatorio, molti testi a difesa non sono stati neanche ammessi a testimoniare e neanche la presenza in aula dell’ambasciatore tunisino in Italia ha potuto portare alla scarcerazione dei pescatori.Pescatori “responsabili” di aver tratto in salvo 44 persone in pericolo di vita, aggrappate ad un gommone oramai sgonfio. Una donna in avanzato stato di gravidanza, un bimbo piccolo, altri in gravi condizioni di disidratazione, come appurato da visite mediche effettuate a bordo, nulla da fare. I due motopescherecci, scortati da motovedette, erano state accompagnate verso le acque territoriali italiane. Diverse le versioni fornite dai militari rispetto a quelle rilasciate da soccorsi e soccorritori. Sembra che ad un certo punto, a poche miglia dalla costa di Lampedusa e già in acque territoriali italiane, dopo difficoltà di comunicazione anche linguistica, gli italiani abbiano fatto agli equipaggi tunisini il segno delle manette, come a voler dire se entrate e non tornate indietro vi arrestiamo. Dai pescherecci hanno scelto di attraccare ugualmente a Lampedusa, da allora gli equipaggi sono sotto processo. La richiesta di derubricazione del reato – facendo cadere dolo e profitto – per cui sono imputati i 7 marinai, è stata presentata all’ultima udienza, il 1 settembre scorso, anche dalla Procura. La derubricazione avrebbe consentito di procedere alla scarcerazione dei sette – tutti incensurati – o quantomeno all’assegnazione agli arresti domiciliari. Niente da fare, il tribunale vuole procedere ad ulteriori accertamenti. E’ chiaro a tutti che i marinai sono pescatori che hanno rispettato le leggi del mare e non scafisti, in un ora e mezza l’istanza di scarcerazione è rigettata – per il rischio di fuga degli imputati – e la derubricazione potrà casomai avvenire in altra fase del dibattimento. Non bastano le garanzie offerte dall’ambasciatore di uno stato sovrano con cui l’Italia ha da tempo stipulato accordi bilaterali in materia di controllo dell’immigrazione. I 7 resteranno in carcere almeno fino alla prossima udienza, fissata per il 20 settembre prossimo. Si stracciano così tutte le convenzioni internazionali e già si vedono i primi risultati. Nonostante agosto abbia segnato il macabro record delle morti in mare nel Canale di Sicilia, in più di un caso è già capitato di sentire di pescherecci che hanno risposto a SOS, magari fornito acqua ma non se la siano sentita di soccorrere direttamente persone a rischio di naufragio. C’è anche chi parla, fra coloro che sono sbarcati a Lampedusa, di navi che fanno finta di nulla, perché soccorrere diviene un reato. Il 7 agosto prossimo, alle ore 11, presso la prefettura di Agrigento, il mondo composito dell’antirazzismo siciliano ha organizzato un sit in per chiedere la liberazione dei pescatori, il rispetto delle convenzioni internazionali che regolano il salvataggio in mare dei naufraghi, il potenziamento degli interventi di soccorso dei migranti in fuga verso l’Europa e il pieno riconoscimento del diritto d’asilo, l’abolizione della Bossi Fini – come da programma dell’Unione – e del decreto ministeriale del 14 luglio 2003 che ha dato la stura ad interpretazioni e a discrezionalità per quanto riguarda l’intervento in mare e, infine, la richiesta della cessazione immediata delle operazioni gestite dall’agenzia Frontex, vero e proprio strumento politico di morte e repressione. Oltre a manifestazione e oltre le iniziative politiche urgenti da prendere in materia, tanto in sede italiana quanto europea – l’europarlamentare Giusto Catania segue direttamente la vicenda – viene da interrogarsi su quanto, le forme di dissuasione al soccorso in mare, facciano parte di una scelta politica che ben si coniuga con il securitarismo nelle metropoli. Un ennesimo brutto segnale per un centro sinistra al governo.