Da oltre due decenni si assiste a una continua riproduzione di violenze razziste e persino assassinii da parte di agenti delle polizie[i]. Non è casuale che questi fatti siano particolarmente frequenti negli Stati Uniti ma anche nelle banlieues francesi, in Inghilterra e sebbene con meno frequenza anche in Italia, Spagna, Belgio e laddove la presenza di neri, ispanici, nordafricani e immigrati di diverse origini si configura come oggetto di violenza del dominio liberista neocoloniale.
Questa escalation delle violenze poliziesche è la conseguenza di un processo di militarizzazione della polizia statunitense che comincia come reazione ai movimenti per i diritti civili, poi, ancora di più nella strategia di counterinsurgency sviluppata negli anni 60 e 70 perneutralizzare il Black Power movement e continua con la Revolution in Military Affairs (RMA) lanciata nel periodo di Reagan[ii]. Questa “rivoluzione” è la traduzione di quella liberista che ha instaurato la conversione militare del poliziesco e quella poliziesca del militare, il continuum fra le guerre permanenti su scala mondiale e la guerra sicuritaria all’interno di ogni paese. Da allora c’è stata una gigantesca recrudescenza dell’azione repressiva delle polizie con modalità da guerra contro immigrati, marginali, manifestanti e in generale oppositori al trionfo liberista (da Seattle al G8 di Genova e poi ancora sino alle mobilitazioni contro i summit del G7 o G20 così come contro le grandi opere vedi in Italia casi TAV, TAP ecc.).
Alcuni osservatori e ricercatori hanno provato a spiegare la recrudescenza di violenze razziste negli Stati Uniti con la deriva che ha caratterizzato la cosiddetta guerra allo spaccio di droghe (tesi in parte alimentata anche da alcune serie tv fra le quali The Wire[iii]). Questa spiegazione appare assai parziale e in definitiva insoddisfacente anche perché non tutti i controlli di polizia connotati da razzismo e che hanno avuto esito mortale per i controllati sono connessi alla repressione dello spaccio. Anzi, in questa “categoria” dell’azione di polizia ci sono meno vittime perché lo scopo è soprattutto quello di tenere sotto controllo la diffusione delle droghe e anche perché diversi agenti finiscono per essere corrotti e complici di parte degli spacciatori se non addirittura fornitori di questi (sul totale detenuti in tutte le carceri statunitensi solo il 20% è accusato di reati per droga, nella maggioranza dei casi piccoli spacciatori recidivi).
Un’altra lettura è quella che interpreta la perpetuazione delle violenze razziste come ascesa del suprematismo bianco, ossia volontà dei bianchi di riaffermare il loro dominio senza limiti di alcuna sorta; insomma una sorta di radicalizzazione simmetrica rispetto a quella attribuita ai pseudo-islamisti o dovuta alla paura dei bianchi di soccombere difronte alla diffusione della presenza nera, ispanica e immigrata in generale. Non deve stupire che l’accanimento repressivo razzista sia comune sia a poliziotti bianchi sia a poliziotti neri o ispanici; infatti, gli operatori di polizia di origine “etnica” funzionano come una sorta di gurkha (i nepalesi usati dagli inglesi per massacrare le etnie più refrattarie alla colonizzazione, così come i nordafricani assoldati dalle truppe coloniali francesi in Senegal e in Algeria). In altre parole il poliziotto nero o ispanico finisce per interiorizzare totalmente l’ideologia, gli atteggiamenti e comportamenti dei bianchi, e vuol anche dimostrare a questi una solerzia razzista per dar prova della sua dedizione alla causa bianca e per meritare plauso e odia i soggetti classificati come devianti perché ha il loto stesso colore di pelle che disprezza appunto perché alienato.
Un’altra possibile lettura vede nella diffusione della violenza razzista il supporto alla volontà di assoggettare il nero e in genere l’altro alla condizione di inferiorizzazione; ne consegue che la criminalizzazione razzista appare funzionale al neocolonialismo, notoriamente per ciò che riguarda la riduzione degli immigrati in condizioni di neo-schiavitù[iv]. Questo processo s’è palesemente configurato proprio a seguito dello sviluppo liberista che è anche e appunto massimizzazione del profitto attraverso la riduzione o l’annullamento di ogni sorta di diritto da parte del subalterno. Contro l’apparente paradosso questo liberismo che punta al “meno stato più mercato” rafforza invece lo stato e i suoi apparati militari e di polizia perché sono utili al dominio del privato (con le guerre permanenti che difendono gli interessi e la libertà di agire delle multinazionali e delle diverse lobby e con le guerre sicuritarie all’interno di ogni paese per imporre sia il disciplinamento sociale “postmoderno” sia la neo-schiavizzazione degli “altri” (compresa una parte di nazionali senza alcuna protezione -vedi braccianti o manovali ecc.). E’ qui che sta una delle principali spiegazioni dell’escalation delle violenze poliziesche sin dalla RMA. Nelle polizie di tutti i paesi e in particolare di quelli NATO è stato imposto un reclutamento riservato solo a giovani che hanno svolto il servizio militare in missioni di guerre permanenti; inoltre, tutte queste polizie sono state dotate di dispositivi, mezzi, risorse e addestramento che appunto è di tipo militare-poliziesco[v]. Un esempio di questo, sebbene non ancora del tutto “compiuto”, lo si è potuto osservare al G8 di Genova e ancora nelle modalità operative della polizia francese contro i gilets gialli. Si tratta qui di una modalità che è anche alquanto simile a quella in uso da parte israeliana contro i Palestinesi (per esempio fare tanti feriti anche gravi e ogni tanto ammazzarne qualcuno). Nel caso della polizia francese il riadattamento di quella che era la polizia coloniale in uso durante la guerra d’Algeria anche a Parigi ha portato alla proliferazione dei BAC (Brigade Anti Criminalité) che si sono scatenate nelle banlieues (vedi Rigouste[vi]). Come segnala Antonio Mazzeo[vii]:
“Le immagini di Minneapolis sono del tutto identiche a quelle che vengono registrate quotidianamente a Gerusalemme, West Bank, Gaza, Golan, Libano, ecc., dove impunemente operano le forze di polizia e i militari israeliani nel “contenimento” delle proteste e nella repressione di ogni forma di opposizione alla violenza strutturale del regime sionista di occupazione. La rassomiglianza dei corpi schiacciati sotto scarponi, pistole e mimetiche non è casuale, purtroppo. Si tratta infatti di tecniche d’intervento apprese negli stessi centri di “formazione” dagli stessi “addestratori”: le scuole di polizia e delle forze armate dello Stato d’Israele e le innumerevoli agenzie-aziende private sorte ovunque con investimenti e personale-veterano provenienti dal complesso militare-industriale israeliano… “La polizia nazionale, i militari e i servizi d’intelligence israeliani hanno addestrato la Polizia di Baltimora al controllo della folla, all’uso della forza e alla sorveglianza”, lo scriveva Amnesty International. “Gli ufficiali e gli agenti di polizia di Baltimora, insieme a centinaia di altri provenienti dalla Florida, dal New Jersey, dalla Pennsylvania, dalla California, dal Connecticut, da New York, dal Massachusetts, dal North Carolina, dalla Georgia, dallo Stato di Washington così come la polizia della capitale, si sono recati in Israele per attività addestrative. Migliaia di altri poliziotti sono stati addestrati da ufficiali israeliani negli Stati Uniti. Molti di questi viaggi sono stati finanziati con fondi pubblici mentre altri da privati. A partire del 2002, l’Anti-Defamation League, l’American Jewish Committee’s Project Interchange e il Jewish Institute for National Security Affairs hanno pagato la formazione in Israele e nei Territori occupati dei capi della polizia e dei sottoposti. Amnesty International, altre organizzazioni dei diritti umani e lo stesso Dipartimento di Stato hanno citato la polizia israeliana per aver eseguito esecuzioni extragiudiziarie e altri omicidi illegali, utilizzato trattamenti disumani e la tortura (anche contro bambini), soppresso la libertà di espressione ed associazione ed ecceduto nell’uso della forza contro pacifici manifestanti” (vedi in nota link alle fonti[viii]).
La cooperazione poliziesca con Israele per l’addestramento alla “gestione dell’ordine pubblico” di unità d’élite e di polizia coinvolge anche numerosi paesi latinoamericani fra i quali il Brasile, il Cile e la Colombia. L’Italia è anche essa uno storico partner politico-strategico d’Israele fra l’altro per i mini-droni e sofisticate tecnologie di videosorveglianza, di intelligence e informatiche, tutti prodotti nei distretti industriali e accademici israeliani. Fra Italia e Israele esiste un Accordo in materia di pubblica sicurezza, sottoscritto a Roma il 2 dicembre 2013 e ratificato dalle Camere con voto bipartisan il 19 maggio 2017; esso copre un ampio spettro di attività di interscambio e collaborazione tra le forze di polizia dei due stati. Da notare che questo accordo dovrebbe riguardare anche la lotta alla criminalità, aspetto assai imbarazzante visto che il capo del governo Netanyahu è sospettato anche in Francia di attività della mafia israeliana (vedi vari reportage di Médiapart[ix]).
Come segnala bene Mairav Zonszein il legame fra le pratiche delle polizie dei paesi NATO e l’addestramento israeliano conferma anche il carattere neocoloniale di tali pratiche[x].
Nella riedizione del suo libro sulla polizia negli Stati Uniti (Our Enemies in Blue), Kristian Williams mostra che “la brutalità della polizia non è un’anomalia, ma è incorporata nel significato stesso che hanno le forze dell’ordine negli Stati Uniti. Dagli schiavi di due secoli fa ai giovani disarmati di oggi che vengono fucilati per le strade, i peace keepers hanno sempre usato la forza per modellare il comportamento, reprimere il dissenso e difendere i potenti”[xi].
Secondo un altro ricercatore statunitense, Alex S. Vitale: “Il problema non sta nell’addestramento, nella diversificazione o nei metodi, sta nella natura della stessa polizia moderna. Le pratiche derivanti dalla pseudo-teoria delle “finestre rotte”, la militarizzazione delle forze dell’ordine e la drammatica espansione del ruolo della polizia negli ultimi quarant’anni hanno creato un mandato per gli ufficiali che deve essere abolito[xii]. In questo libro come in quello di Franklyn Zimring, di Kristian Williams e di Mattew Horace emerge una descrizione delle polizie statunitensi che ne fa dei corpi di abbrutiti, ignoranti, capaci solo di accanirsi sui deboli e marginali, ma anche ben reverenti nei confronti delle persone considerate perbene e dei loro illegalismi. Insomma delle polizie che anziché assicurare tutela ai più deboli li perseguita in nome di un ordine economico e sociale che è quello liberista statunitense[xiii].
Qualified immunity cioè la garanzia dell’impunità del libero arbitrio poliziesco
Un aspetto emblematico riguarda la cosiddetta “immunità qualificata” concessa alle forze di polizia nel 1967 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti[xiv]. In base a questa norma la polizia non può essere perseguita se dimostra “buona fede” nel violare un diritto garantito. Quindici anni dopo, la Corte Suprema decise che spetta alla vittima dimostrare le violazioni della polizia. Ovviamente tale possibilità è spesso inesistente tranne nei rari casi recenti in cui qualche testimone riesca a filmare la scena come è successo per l’assassinio di George Floyd e in qualche altro caso. Ma nella stragrande maggioranza dei casi non ci sono testimoni o se ci sono non riescono a raccogliere prove anche perché spesso minacciati da agenti di polizia o per paura di ritorsioni da parte di questi (vedi i racconti degli autori prima citati). Anche laddove non c’è l’“immunità qualificata”, l’impunità delle polizie è di fatto garantita per la stessa asimmetria totale che c’è fra la vittima e le polizie rispetto al procedimento giudiziario[xv] (si pensi ai diversi casi noti in Italia come in Francia e altrove[xvi]). E l’impunità favorisce lo scivolamento della discrezionalità verso il libero arbitrio e persino la tortura e l’assassinio.
Dalla culla alla prigione. L’aumento vertiginoso della criminalizzazione e immancabilmente degli abusi.
La proliferazione gigantesca delle brutalità della polizia corrisponde all’aumento vertiginoso della criminalizzazione persino dei bambini che si registra proprio dal 1990 negli Stati Uniti e praticamente in tutti i paesi del mondo[xvii]. Il sistema giudiziario americano tiene in carcere quasi 2,3 milioni di persone in 1.833 prigioni statali, 110 carceri federali, 1.772 strutture di correzione minorile, 3.134 carceri locali, 218 strutture di detenzione per immigrazione e 80 carceri di nativi, nonché in prigioni militari, centri di impegno civile, stato ospedali psichiatrici e prigioni nei territori degli Stati Uniti[xviii]. Negli anni Novanta si è arrivati a oltrepassare i 15 milioni di arresti in un solo anno[xix]; nonostante il calo corrispondente anche alla netta diminuzione di reati presunti o effettivi, nel 2020 si hanno ancora 10,3 milioni di arresti, oltre 7 milioni di persone soggette a misure detentive (anche domiciliari) di cui 2,3 milioni incarcerati (1.291.000 nelle carceri dei singoli Stati, 631.000 nelle carceri locali, 226.000 nelle carceri federali[xx]). Nella classifica degli Stati dell’OCSE in base al tasso di incarcerati (vedi in nota link alla lista completa[xxi]) gli Stati Uniti sono nettamente in testa con 655 detenuti per 100 mila abitanti, seguono la Turchia (344), Israele (234) ecc. l’Italia ha un tasso di quasi 100, il Regno Unito 135, la Francia 104 e la Germania 77. Com’è noto il tasso di carcerizzazione dei neri è circa 7 volte superiore a quello dei bianchi e quello degli ispanici 4 volte (vedi anche Razzismo democratico).
Nella stragrande maggioranza dei casi gli arresti sono dovuti a infrazioni o reati di dubbio rilievo penale (per esempio guida senza patente, eccesso di velocità o comportamento non adeguato alla morale, al decoro e all’igiene così come sono intesi dai benpensanti oppure a solo piccoli tentativi di furto da parte di homeless o giovani marginali).
Negli Usa 230mila bambini sotto i 12 anni sono stati arrestati fra il 2013 e il 2017, fra essi quasi 30mila bambini al di sotto dei 10 anni. Secondo le statistiche annuali sulla criminalità per l’anno 2018 pubblicate dall’FBI, limitate a solo 28 tipi di reato, l’arresto dei minori sarebbe diminuito dell’11% dal 2017, ma il numero di arresti di persone di età inferiore ai 18 anni è ancora di 718.962 bambini e giovani. Questo numero comprende 3.500 bambini di età inferiore a 10 anni, oltre 38.000 bambini di età compresa tra 10 e 12 anni e oltre 355.000 ragazzi di età compresa tra 13 e 16 anni[xxii]. Ma secondo una pagina del 2010 del sito del governo (vedi link in nota[xxiii]) “durante un singolo anno, si stimano a 2,1 milioni i giovani sotto i 18 anni arrestati negli Stati Uniti”, insomma una criminalizzazione di bambini e giovani rivelatrice della democrazia statunitense che con l’amministrazione Clinton accentuò la repressione razzista. Infatti, si legge sul sito: “i giovani appartenenti a minoranze sono sovra-rappresentati all’interno e trattati in modo diverso dal sistema di giustizia minorile rispetto ai loro pari bianchi e hanno maggiori probabilità di essere detenuti rispetto ai bianchi non ispanici”. In particolare: “i giovani afroamericani hanno i più alti tassi di coinvolgimento rispetto ad altri gruppi razziali, sono il 16 percento di tutti i giovani della popolazione generale, ma il 30 percento dei rinviati a giudizio fra i minori, il 38 percento dei giovani in residenza, e il 58% dei giovani nelle carceri di stato degli adulti” (ibidem).
Particolarmente scioccanti gli arresti nelle scuole che peraltro nella maggior parte dei casi riguardano reazioni di bambini con difficoltà. Nel 2018 un funzionario delle risorse scolastiche ha ammanettato un ragazzo autistico di 10 anni bloccandolo a terra perché s’era nascosto in un armadietto. Un bambino di 7 anni in pianto è stato ammanettato per essersi rifiutato di recarsi nell’ufficio del preside. Numerosi sono i casi di bambini sedati con psicofarmaci. Spesso i genitori non sono neanche avvisati. Le notizie dei media sugli abusi di poliziotti inflitti ai bambini piccoli sono infinite. Va da sé che la maggioranza dei bambini e giovani vittime di questa violenza sono neri e ispanici. In altre parole è sin da piccoli che la polizia mostra loro cosa sarà la loro sorte da grandi.
Questo aumento della criminalizzazione molto spesso razzialmente connotata è un fenomeno comune a tutti i paesi (vedi Razzismo democratico) con periodi di maggiore o minore recrudescenza che approda negli assassinii da parte di operatori delle polizie. Negli ultimi anni è evidente che la Francia sia diventata il paese con la polizia più violenta d’Europa[xxiv] sia nei confronti dei gilets gialli sia nei confronti di manifestazioni sindacali e soprattutto nei confronti dei giovani delle banlieues in particolare neri. Non stupisce quindi che le più grandi manifestazioni a fianco degli antifa e dei militanti del Black Lives Matter statunitensi si siano avute a Parigi e Londra. E’ peraltro in questi paesi che la pandemia ha provocato molte più vittime proprio fra la popolazione nera ed “etnica”. Esplode così la rivolta contro delle polizie che spesso si configurano come il braccio armato di un dominio liberista che ha rilanciato il neocolonialismo e quindi una violenza razzista che come osservano alcune autrici attente all’intersezionalità si confonde anche con quella fascista e sessista (vedi in particolare Gines Belle e Maboula Soumahoro[xxv]). Appare allora sconcertante la pretesa liberal di considerare gli Stati Uniti il paese del compimento della democrazia anziché dell’eterogenesi di questa, questione che la stessa H. Arendt rifiutava di capire[xxvi].
Salvatore Palidda
PS:
Nel corso del movimento che s’è sviluppato negli Stati Unito dopo l’assassinio di Floyd è emerso un dibattito molto vivace in corso negli Stati Uniti fra le diverse componenti del movimento Black Lives Matter e altri di diverse comunità locali sugli obiettivi e percorsi per cambiare la polizia, ridimensionarla, controllarla o per abolirla: vedi qui alcuni articoli assai interessanti; sebbene il movimento sia importante anche in Francia e nel Regno Unito questo tipo di dibattito in Europa sembra oggi inimmaginabile.
– Power Over the Police di Olúfẹ́mi O. Táíwò ▪ June 12, 2020 :https://www.dissentmagazine.org/online_articles/power-over-the-police?utm_source=Dissent+Newsletter&utm_campaign=490d06bac4-EMAIL_CAMPAIGN_The_First_Democratic_Debates_COPY_0&utm_medium=email&utm_term=0_a1e9be80de-490d06bac4-101858653
– The Best Way to “Reform” the Police Is to Defund the Police, An interview with Alex S. Vitale by Meagan Day 7 Giugno 2020: https://www.jacobinmag.com/2020/06/defund-police-reform-alex-vitale
– Protesters’ Demands in Response to Police Brutality Have Come a Long Way Since the 1992 LA Rebellion, By Tamara K. Nopper: https://jacobinmag.com/2020/06/police-brutality-protests-demands-1992-defund;
– Peut-on abolir la police ? La question fait débat aux États-Unis by Gwenola Ricordeau : https://theconversation.com/peut-on-abolir-la-police-la-question-fa
[i] Sulla storia di oltre 400 anni di razzismo e schiavizzazione vedi qui l’intervista di Noam Chomsky : https://ilmanifesto.it/noam-chomsky-lamerica-fondata-sulla-schiavitu-i-neri-repressi-da-400-anni/. Fra altri vedi anche “No justice no peace. George Floyd e la rivolta sociale: gli Stati Uniti al Redde Rationem?”di Elisabetta Grande:http://temi.repubblica.it/micromega-online/no-justice-no-peace-george-floyd-e-la-rivolta-sociale-gli-stati-uniti-al-redde-rationem/
[ii] Vedi Conflict, Security and the Reshaping of Society: The Civilisation of War, London: Routledge, 2010, scaricabile gratis qui: http://www.oapen.org/search?identifier=391032; ivi in particolare capitol di Alain Joxe
[iii] https://it.wikipedia.org/wiki/The_Wire_(serie_televisiva)
[iv] Vedi Douglas A. Blackmon, Slavery by other name. The Re-Enslavement of Black Americans from the Civil War to World War II, Anchor Books, 2008, citato anche da Noam Chomsky (https://ilmanifesto.it/noam-chomsky-lamerica-fondata-sulla-schiavitu-i-neri-repressi-da-400-anni/). Sulla condizione economica dei neri prima e dopo la pandemia e sulla storia dell’inferiorizzazione razzista in particolare nel Minnesota vedi : https://frontierenews.it/2020/06/floyd-minneapolis-e-noi-i-numeri-di-una-sconfitta-collettiva/; Vedi anche Razzismo democratico: Agenzia X, 2009, scaricabile gratis qui: http://www.agenziax.it/wp-content/uploads/2013/03/razzismo-democratico.pdf
[v] “Polizie, sicurezza e insicurezze ignorate, in particolare in Italia”, Revista Crítica Penal y Poder 2017, n. 13, Ottobre, pp.233-259, http://revistes.ub.edu/index.php/CriticaPenalPoder/article/download/20385/22504
[vi] M. Rigouste, La domination policière. Une violence industrielle, La Fabrique, 2012.
[vii] Vedi “Da Minneapolis alle piazza italiane, la longa manus della polizia d’Israele”, di Antonio Mazzeo: https://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2020/06/da-minneapolis-alle-piazza-italiane-la.html
[viii] Corte di giustizia Usa che ha originato l’intervento di Amnesty: https://www.justice.gov/opa/pr/justice-department-announces-findings-investigation-baltimore-police-department e qui testo Amnesty: https://www.amnestyusa.org/with-whom-are-many-u-s-police-departments-training-with-a-chronic-human-rights-violator-israel/
[ix] https://www.mediapart.fr/journal/international/060616/mafia-du-c02-le-suspect-francais-qui-menace-netanyahou?onglet=full
[x] Vedi “Gli Stati Uniti, come Israele, esercitano la violenza di una potenza occupante”diMairav Zonszein (tratto da: rete Italiana ISM): http://www.bocchescucite.org/gli-stati-uniti-come-israele-esercitano-la-violenza-di-una-potenza-occupante/
[xi] Kristian Williams, Our Enemies in Blue, AK Press, 2015 (1° ed. 2004)
[xii] A.S. Vitale, The end of policing, Verso, 2017, l’autore mostra come la polizia persegue solo comportamenti o condotte considerate non conformi a quelli dei benpensanti, a piccole infrazioni e piccoli reati, mentre chiude gli occhi rispetto agli illegalismi dei ricchi
[xiii] Per una descrizione delle pratiche violente delle polizie si veda fra altri: Franklyn Zimring, When Police Kill, Harvard University Press, 2017; Jeff Pegues, Black and Blue: Inside the Divide between the Police and Black America, Prometheus Books, 2017; Mattew Horace & Ron Harris, The Black and the Blue: A Cop Reveals the Crimes, Racism, and Injustice in America’s Law Enforcement, Hachette Books, 2018
[xiv] https://www.npr.org/2020/06/08/870165744/supreme-court-weighs-qualified-immunity-for-police-accused-of-misconduct?t=1591709590144; aspetto segnalato anche da Danilo Tosarelli.
[xv] https://www.aclu.org/sites/default/files/field_document/rfk_iachr_hearing_written_submission_rfkhr_final.pdf
[xvi] Vedi S. Santorso & C. Peroni (curatori) Per uno stato che non tortura, Mimesis, 2015
[xvii] https://www.prisonpolicy.org/reports/pie2020.html; fra altri vedi J. Simon, Il governo della paura. Guerra alla criminalità e democrazia in America, Cortina, 2008; De Giorgi, A. & Fleury-Steiner, Ben (eds.) (2017) Neoliberal Confinements: Social Suffering in the Shadows of the Carceral State. (special issue of Social Justice: A Journal of Crime, Conflict & World Order); De Giorgi, A. 2017, “Five Theses on Mass Incarceration”, Social Justice: A Journal of Crime, Conflict & World Order 42(2): 5-30;
[xviii] Wendy Sawyer & Peter Wagner, “Mass Incarceration: The Whole Pie 2020”: https://www.prisonpolicy.org/reports/pie2020.html
[xix] https://www.statista.com/statistics/191261/number-of-arrests-for-all-offenses-in-the-us-since-1990/
[xx] https://www.prisonpolicy.org/reports/pie2020.html
[xxi] https://www.statista.com/statistics/300986/incarceration-rates-in-oecd-countries/
[xxii] https://www.wsws.org/en/articles/2019/10/01/poli-o01.html
[xxiii] https://youth.gov/youth-topics/juvenile-justice/youth-involved-juvenile-justice-system
[xxiv] https://www.osservatoriorepressione.info/perche-la-polizia-francese-diventata-la-piu-violenta-europa-occidentale/
[xxv] Gines Belle, Hannah Arendt and the Negro Question, Indiana University Press, 2014; Maboula Soumahoro, Le Triangle et l’Hexagone. Réflexions sur une identité noire, La Découverte, 2020 e anche la sua eccezionale intervista qui: https://ehko.info/la-race-structure-tout-interview-de-maboula-soumahoro/
[xxvi] “L’eterna “Negro Question” che anche Hannah Arendt non aveva capito”, in Historia Magistra, giugno 2020
articolo pubblicato anche su la fionda e in francese su Mediapart