L’Europa, per la prima volta dal 1945, ha scelto di entrare in guerra
di Marco Arturi
Non è chiaro quanti se ne siano accorti, ma in questi giorni l’Europa ha fatto una scelta di campo definitiva: quella di rinunciare alla possibilità di essere attore di pace, anzi l’attore di pace per eccellenza. Al contrario, nell’ora più buia le autorità dell’Ue hanno scelto le esibizioni muscolari, il muro contro muro, la censura di guerra, la cobelligeranza. Perché una cosa è bene dirsela subito e dirsela chiaramente: per effetto degli atti dei nostri governi siamo entrati in guerra. Questo è quello che è accaduto e sarebbe bene che ne avessimo quantomeno la consapevolezza, a prescindere da come la si possa pensare sulle ragioni del conflitto: le sanzioni economiche e culturali e l’invio di armi e contingenti alle condizioni date questo e null’altro sono, atti di guerra.
La crisi russo-ucraina rappresentava un’occasione irripetibile, per quanto orribile, per costruire l’anomalia di un’unione di stati irriducibilmente votata alla pace, al dialogo, al confronto. Ce la siamo giocata grazie a un gruppo di governanti completamente asserviti agli interessi della grande finanza – Draghi ovviamente su tutti – all’atlantismo e al filoameiricanismo. E a una débâcle culturale che mina alle fondamenta i valori dei quali pretendiamo di essere portatori.
Il concetto che sta alla base di quel pensiero occidentale tanto decantato in questi giorni è quello del dubbio: invece ci siamo consegnati con entusiasmo alle certezze granitiche e al dogma. Non c’è Cartesio né Bacone né Kant che tenga: noi siamo il bene, gli altri sono il male. La complessità del mondo la capiremo poi, se ne avremo il tempo.
Spettava all’Unione europea – a chi, sennò? – il compito di promuovere e organizzare una conferenza di pace, di richiedere l’invio di una forza di interposizione dell’Onu, di imporre con qualsiasi mezzo il dialogo a entrambe le parti in causa. Sarebbe stato possibile e sarebbe spettato all’Ue per un sacco di ragioni che hanno a che fare con i molti errori commessi nel passato recente e con quella che dovrebbe essere la natura stessa del progetto europeo, il suo tratto distintivo. E per un’altra ragione di fondo che fingiamo di ignorare: sia gli ucraini che i russi sono europei.
Per tutti questi motivi ripudiare ogni ipotesi di coinvolgimento nel conflitto non sarebbe stata solo l’unica cosa da fare, sarebbe stata anche la più giusta.
Invece l’Unione che si vanta di avere cancellato la guerra dal 1945 a oggi è diventato un soggetto cobelligerante: gli atteggiamenti e le scelte di Macron, Scholz, Draghi e le parole durissime usate da Ursula von der Leyen lasciano pochi dubbi a riguardo.
Possiamo andare avanti così, senza dubbi e con la certezza di essere la culla della civiltà mentre alimentiamo il conflitto potenzialmente più pericoloso di tutti i tempi, mentre facciamo selezione all’ingresso delle nostre frontiere accogliendo i profughi a seconda del paese di provenienza, mentre fingiamo che Vlad the mad non stia lì anche per merito nostro proprio quando usa mezzi militari e sgancia bombe che gli abbiamo procurato noi dietro lauto compenso. Ma una cosa è certa: comunque vada, a questo punto del sogno europeo rimane ben poco.
Sarebbe bello poter nutrire un altro dubbio, quello relativo alla volontà dei cittadini: ma il martellamento mediatico fatto di opinioni a senso unico e di censure (il caso del corrispondente Rai Marc Innaro e quello del professore Paolo Nori alla Bicocca sono emblematici a riguardo) sta sortendo con ogni probabilità gli effetti desiderati e stimolando un interventismo che ha poco di razionale e molto di suicida. Credevamo che un pacifista che invoca l’invio di ulteriori armamenti fosse un ossimoro, ma ci sbagliavamo: adesso abbiamo più chiara la distinzione che operava Gino Strada quando diceva: “Io non sono un pacifista, io sono contro la guerra”.
L’Europa ha perso la sua occasione e questa non può essere una buona notizia per nessuno. L’ha fatto anche per conto e a danno dei suoi figli, ai quali sarà difficile spiegare perché nel dannato febbraio del 2022 abbiamo scelto, per la prima volta dal 1945, di entrare in guerra. Non basteranno neanche le censure, perché è stato proprio un grande autore russo, Anton Checov, a spiegarcelo: se in un romanzo compare una pistola, prima o poi bisogna che spari.
da Comune-Info