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Almeno quaranta combattenti curdi assassinati dai gas asfissianti utilizzati dalla Turchia nel 2021

Anche se talvolta viene spontaneo porsela, qualsiasi domanda, qualsiasi perplessità (del genere: ma ne varrà davvero la pena? Come possono sperare di sconfiggere un tale avversario…?) sarebbe fuori luogo.

Nella resistenza curda – almeno per chi possiede un minimo di memoria storica – sopravvive e si alimenta quella che un filosofo francese, parlando della lotta di liberazione del popolo algerino, definì “dignità umana”. Quella residua almeno.

Possiamo simpatizzare o dissentire, per esempio, dal progetto del Confederalismo democratico. Possiamo mantenere qualche riserva sulle strategie e alleanze adottate in Rojava.

Ma possiamo soltanto inchinarci di fronte al sacrificio dei militanti curdi che, difendendo il loro popolo, la loro Terra, in realtà difendono l’Umanità. Quella delle vittime, degli oppressi e sfruttati. Le minoranze, gli esclusi, le donne, i proletari, i popoli indigeni…

Contro i curdi – e contro quello che rappresentano – anche quest’anno la Turchia non ha esitato a scatenare la guerra chimica. Per quanto ufficialmente proibita dalle Convenzioni internazionali a cui, se pur in teoria, perfino Ankara aderisce.

Almeno quaranta guerrigliere e guerriglieri curdi sono rimasti uccisi in tali vili attacchi – autentici crimini di guerra – nelle zone di Gare, Zap, Metîna e Avaşîn.

L’invasione turca del Bashur, nelle “zone di difesa di Medya”,cominciava il 24 aprile 2021. Probabilmente la più estesa, intensa e brutale tra le operazioni transfrontaliere dell’esercito turco nel Kurdistan iracheno, ma non certo la prima.

E anche questa volta, da subito, aveva incontrato una strenua Resistenza.

La Resistenza di Şehîd-Munzur

Già nella notte del 23 aprile era apparso evidente che uno dei principali obiettivi delle truppe turche era il monte Şehîd-Munzur che si innalza in posizione strategica nella regione di Manreşo di Avaşîn. La strenua resistenza, di oltre dieci giorni, incontrata dagli invasori nellazona di Manreso aveva presto vanificato il progetto turco di completare in breve tempo l’operazione contro Zap, Avaşîn e Metîna (nonostante le postazioni curde venissero sottoposte a intensi bombardamenti, sia da terra che dall’aria). Come ritorsione i soldati turchi non si fecero scrupolo di utilizzare mezzi indegni. Stando all’esterno dei tunnel, dove si guardavano bene dall’entrare, gridavano di arrendersi perché “non vi succederà niente”. Ma ricevendo in risposta soltanto le pallottole e le granate dei guerriglieri. E a questo punto (come documentarono le immagini girate dalle HPG) i turchi utilizzavano i gas tossici e asfissianti.

Purtroppo il prezzo pagato dai partigiani curdi era stato alto. Tra i caduti, provenienti da ogni angolo del Kurdistan, il comandante Serhat Giravî (Kamuran Alpsar) e i guerriglieri Inen Ruken Zagros (Seer Bingöl), Sarya Diyar (Bişeng Hezer), Canfeda Hesekê (Şehbaz İzzettin Seydo), Xebat Aso (Ubeyt Mevludi), Zafer Tolhildan (Muhammed Abdulkadir Hüseyin) e Kamuran Amed (Mustafa Şimşek / Amed).

Stando alle notizie fornite dalle agenzie curde, questo gruppo in particolare avrebbe resistito, combattendo nei tunnel già invasi dai gas, per altri tre giorni.

La resistenza di Zendûra e Aris Faris

Altra strenua resistenza quella incontrata dai turchi nella notte del 24 aprile sul fronte di Metîna.

Inoltre HPG e YJA, al comando di Rêber Zana (Ilhan Tokdemir), mantennero le posizioni dall’11 al 13 giugno sul monte Zendûra dove morirono sei guerriglieri. E per almeno cinque di loro il decesso era dovuto sicuramente ai gas asfissianti.

Un mese prima, tra il 6 e l’8 maggio, furiosi combattimenti – con notevoli perdite da parte turca nonostante la sproporzione delle forze in campo – e attacchi con armi chimiche (da parte dell’esercito di Ankara ovviamente) avvennero nella zona di Aris Faris (regione di Avaşîn). Cinque guerriglieri che avevano deciso di continuare a combattere all’interno dei tunnel erano morti asfissiati: Amara Cûdî (Cihan Kapar), Diyana Maria (Dîcle Omer Ahmet), Jîn Yılmaz (Bahar Nas), Rûbar Marufî (Şervan Özkan) e Sarya Çiya (Sarya Mahmut)

La Resistenza di Girê Sor

A Girê Sor, il 7 luglio era morto Baz Gever (Fırat Şahin), altra vittima della guerra chimica. Qui, non riuscendo a infrangere le linee curde (nonostante la superiorità numerica e tecnologica), il 3 settembre i turchi fecero uso nuovamente dei gas causando la morte di altri tre guerriglieri. Botan Özgür (Celal Özcan), Zinarîn Welat (Rama Şemdîn) e Delal Qamişlo (Hîva Mamo) sono stati ricordati dalle HPG in un comunicato per la loro “epica resistenza”.

Altro attacco chimico, sempre a Girê Sor, il 15 settembre con tragiche conseguenze per altri tre guerriglieri: Argeş Botan (Hasan Emcür), Özgür Bagok (Fatma Balica) e Serhildan Mordem (Serdar Dinç).

La Resistenza di Werxelê

A entrare nella Storia, oltre alla resistenza curda in Girê Sor, quella di Werxelê. Dopo mesi di fallimentari attacchi aerei, i turchi avevano fatto ricorso a tonnellate di TNT sganciate dagli elicotteri e fatte poi brillare all’imbocco dei tunnel. Ma non essendo riusciti a sloggiare i guerriglieri nemmeno così, si erano nuovamente rivolti ai gas asfissianti. Pare di “nuova generazione”. Con effetti devastanti, secondo le HPG, su ogni essere vivente della zona colpita.

Risale al 5 ottobre la morte sul fronte di Werxelê, per asfissia o intossicazione dai gas, di altri cinque combattenti per la libertà curdi:

Cumali Çorum (Zeynel Erocağı), Çavrê Kamuran (Süheyla Kırmızıtaş), Dilvîn Dalaho (Rêzan Deraferîn), Amara Cûdî (Rojîn Ramazan) e Mahir Kop (Çetin Çelik).

Riassumendo.

I militanti curdi uccisi dai gas asfissianti in Bashur (Kurdistan entro i confini iracheni) nel 2021 appartenevano alle Forze di Difesa Popolare (HPG – Hêzên Parastina Gel,) e alle Unità di Difesa delle Donne Libere (YJA Star- Yekîtiya Jinên Azad Star).

Sei di loro hanno perso la vita in febbraio nel corso del tentativo (sostanzialmente fallito) di invasione di Gare.

Gli altri 34 durante la guerra durata oltre sei mesi nelle regioni di Zap, Avaşîn e Metîna.

Gianni Sartori