In Italia i media scoprono soltanto adesso tutto l’orrore dei centri di detenzione in Libia e le violenze della sedicente Guarda costiera libica, argomenti tenuti nascosti durante la campagna di aggressione contro le Ong che operavano con azioni di salvataggio nel Mediterraneo. Intanto si ripropone uno scambio tra ius soli e accordi con la Libia. Malgrado tutto conosciamo benissimo i nomi di coloro che hanno fatto gli accordi con i libici. Le loro enormi responsabilità non si cancellano
Prima era stato il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, adesso arriva una dura presa di posizione da parte delle Nazioni Unite sulle conseguenze degli accordi che gli stati europei hanno concluso in forme diverse con le milizie libiche e con alcuni sindaci, loro evidente espressione. Tutti i media del mondo documentano da tempo la condizione anche schiavistica dei migranti detenuti nei centri di detenzione in Libia dove nessun governo legalmente costituito è in grado di garantire la vita e i diritti fondamentali delle persone arrestate a qualunque titolo dalle milizie e dalle forze di polizia affiliate ai clan locali.
In Italia i mezzi di informazione hanno scoperto soltanto adesso tutto l’orrore dei centri di detenzione in Libia, e da ultimo i comportamenti illegali della sedicente Guarda costiera libica, argomenti tenuti ben nascosti per mesi durante la campagna di aggressione contro le Organizzazioni non governative che operavano attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale.
La Guardia costiera libica, comandata dal “brigadiere” Qassem, ha espressamente confermato che i migranti “soccorsi” in mare dopo l’arrivo delle prime motovedette restituite dagli italiani sono stati riportati “nel centro di detenzione di Zawya”. Un recente Rapporto delle Nazioni Unite chiarisce quale situazione trovano i migranti ripresi in mare e sbarcati in quel porto. Anche se si tratta di contrabbando di carburante non sembra che i corsi di formazione della Guardia costiera libica abbiano prodotto la fine dei traffici che sono denunciati da anni, traffici che oltre i carburanti hanno come oggetto anche le persone che sono riprese in mare e trattenute nei centri di detenzione. E il centro di detenzione di Zawia è uno di quelli in cui, secondo le testimonianze dei migranti, si verificano gli abusi peggiori.
“The report names Zawia’s coast guard as active participants in fuel smuggling and names a Zawia militia and its leaders. It also names people smugglers and details the involvement of sophisticated international cross-border smuggling and finance rings in the smuggling process”.
Sono mesi che la sedicente Guardia costiera libica, che in realtà corrisponde alle città di Tripoli e Zawia, si arroga il diritto di scambiare la zona SAR (ricerca e salvataggio) che si è attribuita unilateralmente dopo gli accordi con il governo italiano, con una zona di assoluto controllo territoriale, di piena sovranità, nella quale potere interdire il passaggio inoffensivo di navi private che operano per attività di soccorso.
L’ultimo gravissimo episodio che è finito sui media di tutto il mondo, con una motovedetta libica che ha messo in moto le eliche con decine di persone in acqua, mentre era in corso un soccorso operato dalla nave Sea Watch III della omonima Ong, coordinata dalla Guardia costiera italiana, non è smentibile dalle fake news che sono state diffuse da Tripoli e da alcuni organi di informazione italiani, come il Giornale, in evidente collegamento con ambienti che garantiscono gli accordi italo-libici ed i rapporti economici sottostanti. Le immagini diffuse dalla Guardia costiera libica non si riferivano al soccorso operato da Sea Watch, ma ad un precedente abbordaggio di un gommone, in acque internazionali, sotto gli occhi di una nave della Marina militare italiana e della nave Aquarius della Ong SOS Mediterraneé. Episodi che si sono ripetuti in numerose occasioni, proprio per gli effetti degli accordi tra il governo italiano e la guardia costiera che fa riferimento al governo di Tripoli.
Certo l’Unione Europea ha le sue responsabilità, soprattutto per non avere garantito una politica estera comune, con continui tentativi della Francia di Macron di instaurare un rapporto preferenziale con il generale Haftar e le autorità di Tobruk, sostenuti dall’Egitto, piuttosto che con il governo Serraj sostenuto dalla comunità internazionale e dall’Italia. Ma le responsabilità degli accordi con i libici, e del loro pesante costo in termini di vite e di abusi inflitti ai migranti intrappolati in Libia o bloccati in mare, ricadono in maggior parte sul governo italiano che prima ha lanciato il Processo di Khartoum e poi con le due conferenze di Malta (novembre 2015 e febbraio 2017) si è battuto perché fosse approvato il Migration Compact proposto proprio da Gentiloni, Alfano, Minniti e Pinotti. Il “Migration compact” era contenuto in una lettera del premier Matteo Renzi inviata il 15 aprile 2107 ai presidenti di Commissione e Consiglio Ue, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk.
Adesso in vista della prossima campagna elettorale si ripropone uno scambio “impossibile” tra ius soli e accordi con la Libia, ma nessuno potrà cancellare dichiarazioni e documenti che segnano una responsabilità storica del governo italiano e dei suoi componenti più significativi. Nessuna alleanza è possibile con chi continua a difendere gli accordi con i libici e sostiene che hanno prodotto un risultato positivo. La riduzione di alcune decine di migliaia di arrivi non è nulla rispetto al riprodursi della clandestinità in Italia ed in Europa che deriva dalla mancata apertura di canali legali di ingresso (anche per lavoro) e dal numero esiguo di persone ammesse a fruire dei cosiddetti corridoi umanitari.
Certo occorre parlare di Europa. I campi di detenzione in Libia possono essere chiusi solo con un impegno coeso di tutta l’Unione Europea. Non si può parlare di Europa soltanto per scaricare responsabilità del nostro governo, ma per cominciare a capire come fare per contrastare l’ondata xenofoba e razzista che continua a montare. Una proposta in Europa si è fatta , da parte del Parlamento europeo ed è stata respinta. Non saranno gli accordi con i paesi terzi come la Libia, e prima la Turchia, a permettere una accoglienza più ordinata, una possibile convivenza e la risoluzione pacifica dei conflitti, sempre più estesi, nei paesi di transito. La società civile non cadrà in questa ennesima trappola.
Il 14 novembre 2017, l’Asgi ha impugnato davanti al Tribunale Amministrativo del Lazio il Decreto 4110/47 con il quale il ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale ha accordato al ministero dell’Interno un finanziamento di 2 milioni e mezzo di euro per la rimessa in efficienza di quattro motovedette, la fornitura di mezzi di ricambio e la formazione dell’equipaggio. Tutte attrezzature ed attività da destinare alle autorità libiche.
Sono anni che la società civile italiana denuncia il supporto economico e operativo offerto dall’Italia alla sedicente Guardia costiera libica. Vediamo se adesso ci saranno giudici in grado di rilevare le gravissime violazioni derivanti dagli accordi italo-libici e a sanzionare i responsabili.
Fulvio Vassallo Paleologo
da Comune-Info