Amsterdam: Continuano le proteste a sostegno della palestina. Scontri con la polizia
Sono andate avanti tutto il weekend le proteste studentesche pro-Palestina, iniziate una settimana fa nella capitale dei Paesi Bassi. Scontri tra polizia e manifestanti
di Alessandro De Pascale da il manifesto
Sono andate avanti tutto il weekend le proteste studentesche pro-Palestina, iniziate una settimana fa nella capitale dei Paesi Bassi. Alle undici di ieri mattina, studenti, docenti e dipendenti del campus Roeterseiland dell’Universiteit van Amsterdam (UvA), la principale dei tre atenei cittadini, situato in pieno centro, hanno manifestato durante quello che hanno chiamato lo “sciopero nazionale”.Una protesta indetta contro i violenti sgomberi degli accampamenti universitari pro-Palestina della scorsa settimana.
La richiesta rivolta alle Università è sempre la stessa: “Smettere di collaborare con aziende e istituzioni che facilitano la violenza, il genocidio, l’apartheid e la violenza coloniale in Palestina e nella Striscia di Gaza”. Oltre che rescindere i contratti con le aziende che ne beneficiano.
“Istanze quasi impossibili da discutere”, secondo il Rettore Peter-Paul Verbeek. Il quale ribadendo che “non si può pernottare all’università”, ha chiesto l’intervento dell’amministrazione cittadina e quindi di procura e forze dell’ordine. Sul piatto anche il clima di insicurezza che si sarebbe generato per gli studenti ebrei dell’ateneo. Intanto, nell’atrio del campus Roeterseiland dell’Universiteit van Amsterdam (UvA), i manifestanti portavano via di tutto.
Armadi, tavoli, sedie e fioriere della mensa formavano barricate per impedire l’ingresso alla polizia. Verso le 15, con le ruspe, le forze dell’ordine in assetto antisommossa (Me) rimuovono le prime barricate. Nel weekend si erano visti manifestanti che si tuffavano nel canale adiacente per non farsi fermare. Oppure una ventina di loro che attraversano il canale su una barca, la quale a metà del percorso si ribalta facendo finire tutti in acqua. Dopo qualche bracciata a nuoto, dall’altra sponda vengono aiutati a risalire dai loro compagni. Inizia la trattativa. Da un lato i manifestanti a volto coperto, dall’altro le forze dell’ordine agli ordini del questore Janny Knol.
La proposta delle autorità è “abbandonate l’edificio volontariamente e vi lasceremo andare, stavolta senza effettuare fermi”. L’aria, anche per noi giornalisti, diventa pesante. Sulle telecamere vengono lanciate bandiere per oscurare gli obiettivi. Una barricata di due metri formata da divani, secchi della spazzatura e tavoli blocca l’ingresso principale. Lo stesso avviene alle uscite di emergenza. Adesivi coprono le telecamere della videosorveglianza interna. Nell’atrio la protesta va avanti, mentre in biblioteca c’è chi intanto prova a studiare.
Fuori, sul Weteringschan, le camionette con gli agenti della Me. Un portavoce della polizia ribadisce che l’antisommossa, reparti che nei giorni precedenti avevano sgomberato con la mano pensante gli occupanti, stavolta non entrerà. Sulle scale, sui balconi, dalle finestre, bandiere palestinesi e scritte “fuori la polizia dall’università”; “stop genocidio”; “Palestina libera”. Poco prima delle 16, la polizia entra nell’edificio in maniera pacifica per chiedere ai manifestanti di lasciare volontariamente l’ateneo. La definiscono “polizia di pace”, quella che alla fine accompagna all’uscita i dimostranti. Che si spostano nell’adiacente Oosterpark.
La sala del campus resta così vuota di persone, ma piena di mobili accatastati. Secondo l’università i danni ammontano ad 1,5 milioni di euro. Per i manifestanti la protesta andrà avanti ad oltranza. “Continueremo finché avremo un dialogo serio con l’università, fino a quando non ci priveranno del nostro diritto di protestare e negoziare” dice una ragazza a Il manifesto. La protesta intanto si è già estesa: occupazioni e sit-in anche a Eindhoven, Nijmegen, Maastricht e Groningen. Per il ministro dell’Istruzione Robbert Dijkgraaf, alla protesta hanno partecipato “rivoltosi professionisti”. Il titolare del dicastero ha poi aggiunto che non si sarebbe mai dovuta intavolare una trattativa con persone a volto coperto.
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