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Ancora provocazioni contro i No Tav: buste e proiettili

Come prima di Genova 2001, come sempre contro il crescere dei movimenti di lotta, puntuale come una cancrena arriva la provocazione dei servizi in vista di una grande mobilitazione di massa.

Se da una parte Paolo Ferrero, segretario del Prc, denuncia un’infiltrazione dei servizi nel partito – all’evidente scopo di dissolverne le residue capacità organizzative – dall’altra si procede spedendo “buste contenenti proiettili” a un terzetto di sindacalisti non particolarmente combattivi (i segretari regionali degli edili piemontesi aderenti a Cgil, Cisl e Uil), che alcuni giorni fa – ma nessuno se ne era accorto – avevano espresso apprezzamento per l’avanzare dei lavori in Valle, che avrebbero secondo loro “creato occupazione”. Stupidaggini, come ognun sa, ma che vengono dette quotidianamente da molti esponenti dei vari settori che nel “fare il buco” trovano un vantaggio immediato, senza nemmeno porsi il problema dell’utilità “per il Paese”. Nulla di rilevante, insomma.
Ma “qualcuno” ha pensato bene di usare questi tre sconosciuti per metter su un nuovo episodio della telenovela “terrorismo in Val Susa”. E non si può dimenticare la coincidenza di questo tentativo con l’arrivo sui cantieri di un ministro dell’interno venuto a fare la voce grossa contro il movimento mentre a Roma il suo “fuhrer” gli ordinava di dimettersi e far cadere il governo.
Le tre buste con proiettili sono state bloccate e sequestrate dai carabinieri al centro di smistamento delle Poste, in via Reiss Romoli.

All’interno delle buste, un proiettile calibro 7.65 e una lettera considerata “minacciosa”. Appena un paio di frasi prese a casaccio dall’immaginario discorsivo dell’altro millennio: “No Tav No valico, alzare il tiro: pagherete caro pagherete tutto”. Come si può notare, nell’ordine. la “firma” su cui si vuole scatenare la repressione, la frase che ha fatto il giro dei giornali nei giorni scorsi (a proprosito della fantomatica “lettera delle Br ai No Tav”) e un caro vecchio slogan degli anni ’70. Non proprio uno sforzo letterario di grande respiro. Si vede che vanno al risparmio, c’è grossa crisi…

Per avere un esempio della campagna di mostrificazione del movimento, basta dare un’occhiata a Repubblica di due giorni fa:
No Tav, le mani dei violenti sul movimento: due gruppi estremisti si contendono la valle
Anarchici contro autonomi: le opposte strategie dietro l’escalation di attentati. Da una parte lo spontaneismo, dall’altra l’organizzazione e la pianificazione
La discussione è pubblica. Attraversa i siti e le culture dell’area radicale italiana. È la discussione sulle forme di lotta, su quanto ci si possa spingere oltre la legalità. Un discussione che è anche competizione tra i gruppi estremi: vince chi, tra area anarchica e area autonoma, riesce ad esprimere la linea più radicale. È stata quella discussione a stuzzicare le invidie di chi ha fallito il suo progetto di insurrezione armata, come Vincenzo Davanzo e Vincenzo Sisi e oggi invita i NoTav a “compiere un salto in avanti politico organizzativo”. Ma sono gli esiti di quella discussione tra ali estreme, ben più dei proclami di terroristi falliti, a preoccupare chi sta conducendo le indagini sugli assalti al cantiere in valle e sta cercando di prevenire una nuova esclation di attentati.

Da subito, a differenza di altre volte, i leader del movimento hanno preso le distanze dai proclami di Sisi e Davanzo. Arrivando addirittura a ipotizzare che si sia trattato di “una provocazione”, come paventano i parlamentari di Grillo. E però i due esponenti delle “nuove Br”, avevano da tempo un occhio di riguardo per la valle. Già nel maggio 2012 avevano affermato che “il movimento italiano più avanzato, che ha conquistato un carattere di avanguardia di massa è ovviamente il No Tav”.

Un movimento nel quale, spiegavano Sisi e Davanzo, i movimenti anarchici e “anarco-comunisti” avevano dimostrato “la capacità di inserirsi e diventare fermenti attivi”.

Più del delirio di immaginare una evoluzione armata della lotta in Valle, colpisce questo giudizio sui “fermenti attivi” di anarchici e area autonoma. Le due matrici sembrano infatti sempre più egemoni tra i No Tav e sembrano in grado di imporre le loro parole d’ordine. Quella dell’estate del 2013 doveva essere, ed è stata, “sabotaggio”. La parola scandalo, al centro delle polemiche, rivendicata da Erri De Luca, era già indicazione, il 3 luglio scorso su “Lavanda”, la pubblicazione dell’area anarco-ecologica valsusina. Più che un’analisi, un programma operativo sull’attacco al cantiere: “La roccia protegge quanto una maschera antigas. I fari proiettano ombre dove trovare riparo mentre illuminano gli automezzi da attaccare. Ogni guard rail contiene in sé una barricata.. con la giusta mira le pietre qualsiasi diventano pepite d’oro”. Perché “se condotte sotto l’egida della legalità, le lotte non avanzano di un passo”. Si tratta dunque di “superare il guado” della legalità. Fino a immaginare, anche qui, un “salto di qualità”: “L’assunzione collettiva della pratica del sabotaggio”. Nel mirino è “la logistica del Tav: ditte, forniture, banche, truppe di occupazione, alberghi”.

È esattamente ciò che è accaduto nei mesi successivi. Incendi ai cantieri e alle sedi delle società che lavorano per la galleria, intimidazioni ai lavoratori di Chiomonte. Superare il “guado” della legalità serve anche a sconfiggere la concorrenza dei 5stelle: “Non facciamoci illusioni su eventuali sponde parlamentari. Non ci sono né palchi per grandi attori, né posti a sedere per spettatori”. Ma su come praticare il sabotaggio le opinioni sono diverse. Perché all’ala anarchica si oppone tradizionalmente quella autonoma di tradizione leninista, tipica dei centri sociali, che combatte lo spontaneismo e l’individualismo anarchici. Nella notte del 30 agosto scorso vengono incendiati i capannoni della Geomont, una delle ditte che lavorano a Chiomonte. In quei giorni “Notav.info”, sito di area autonoma, sembra prendere le distanze: “Sappiamo che il movimento No Tav non ha appiccato il fuoco”. Segue l’insinuazione che dietro l’incendio ci sia una torbida storia di assicurazioni. Immediata la reazione anarchica: “E se qualcuno avesse deciso di attaccare la ditta per la sua partecipazione alla devastazione della Val di Susa? Persino i bambini sanno chi è stato davvero a dare fuoco alla Geomont”. Più che una polemica, una rivendicazione.

Non colpisce tanto il livello dello scontro, quanto il fatto che siano queste le componenti egemoni nel movimento. Al punto che anche il leader riconosciuto dei Comitati No Tav di valle, Alberto Perino, che si definisce “ghandiano”, sente la necessità di coprire pubblicamente il sabotaggio: “Certe volte i generatori e i camion si vergognano del lavoro che stanno facendo e si danno fuoco come i bonzi”.

È a queste suggestioni di “superamento del guado” della legalità, a questo brodo di coltura, che si rivolgono gli appelli degli ultimi rimasugli del partito armato. Certamente non avranno successo. Ma a preoccupare sono il quadro che si è andato disegnando in questi mesi nella valle e la competizione tra aree estreme. Dopo l’estate del sabotaggio, quale sarà il prossimo “salto di qualità”?