«Spesso negli anni è capitato di giocare di fantasia, provando a immaginare come e quando sarebbe giunto lo sgombero dell’Asilo. Quanta polizia avrebbe invaso il quartiere quanto avrebbero retto le barricate, quanto avrebbe resistito chi fosse riuscito a raggiungere il tetto, se fosse coinciso con un’operazione repressiva, quale sarebbe stata la risposta fuori.
Oggi a distanza di due settimane, tante domande hanno avuto risposta. Ma ancora non riusciamo a farcene una ragione. Sarà perché ci hanno portato via, uno dopo l’altro, prima alle Vallette in isolamento poi nella sezione speciale del carcere di Ferrara. Colpiti da un’inchiesta che ci descrive una setta interna e nascosta alla più ampia compagine di chi negli anni si è organizzato all’Asilo. Un’ordinanza che ha schifosamente selezionato e travisato pezzi di conversazione intime, politiche e amicali, al fine di avvalorare la tesi inquisitoria. Una ricostruzione che in nessun modo può cogliere la varietà di tensioni, idee e slanci ribelli che a partire da quel posto si sono scatenati nel mondo intorno.
Sarà perché non abbiamo visto blindati e celerini chiudere per oltre una settimana interi pezzi di quartiere, allontanando chiunque non abitasse in zona o non potesse dimostrarlo per isolare completamente l’oramai ex-covo di sovversivi. Sarà perché non abbiamo sentito gli operai al lavoro giorno e notte per rendere la struttura inaccessibile, ma soprattutto inutilizzabile.
Sarà che in fondo non ci interessa. Gli ultimi giorni, qui dentro, non sono trascorsi nella nostalgia dei tanti ricordi e momenti vissuti all’interno, di cosa abbia significato per ciascuno di noi, delle lotte che vi si sono affacciate e che lo hanno attraversato negli anni, ma nel rimpianto di non essere stati con voi in questi giorni là fuori: lungo la strada dal centro fino ad Aurora, nell’assemblee concitate, in un bar a smaltire i lacrimogeni.
Perché se con lo sgombero qualcuno ha perso la casa, un luogo dove organizzarsi e confrontarsi, tanti si sono sentiti privati di un pezzo di libertà, strappato con una forza e una modalità tali da segnare un punto di non ritorno. Una “scintilla”. Una dichiarazione di guerra a cui tutti si sono sentiti di reagire e i cui echi sono arrivati fin’oltre i chilometri, le mura e le sbarre che ci dividono.
Questo è il regalo più bello che potevate farci: sapere che lo sgombero dell’asilo e la risposta a questa inchiesta siano stati un’occasione per esprimere ognuno il suo malessere, la propria rabbia e ribellione ben oltre le singole lotte e iniziative di chi da anni si organizzava con costanza là dentro.
E poi che importa se quando usciremo non riconosceremo l’asilo per quello che è stato, se negli occhi di chi ci sarà, ritroveremo lo stesso amore e la stessa rabbia che oggi si respirano a Torino.
Una speranza c’è. Quella speranza non è in un asilo occupato, ma nel cuore, nella mente e nelle braccia di chi ha deciso.»
“i prigionieri”
Antonio, Beppe, Lorenzo e Niccolò