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Arresti, inchieste e processi. Gli Antifà trattati da terroristi

Al parlamento europeo tante proposte contro i movimenti antifà le destre vogliono più repressione. 

di Mario Di Vito da il manifesto

Il primo a dirlo fu Donald Trump: «Antifa è un movimento terrorista». Era il giugno del 2020 e negli Stati Uniti la tensione era alle stelle per l’uccisione di George Floyd da parte della polizia, a Minneapolis. Ma chi erano questi Antifa? I collettivi antifascisti, per farla breve, i singoli e i gruppi, spesso destrutturati ai limiti della disorganizzazione, che partecipavano alle manifestazioni di Black Lives Matter.

In Europa i collettivi cosiddetti Antifa esistono da oltre un secolo, ma solo negli ultimi anni hanno cominciato a guadagnare considerazione nel dibattito pubblico, soprattutto in virtù della campagna portata avanti da tanti partiti di destra del continente, pronti a recepire e rilanciare l’idea che Trump aveva lanciato su Twitter: inserire i movimenti antifascisti nell’elenco delle organizzazioni terroriste al pari dell’Ira, dell’Eta, delle Nuove Br e di decine di altre sigle. Ci sono varie proposte di questo tipo che giacciono al parlamento europeo. L’ultima è del marzo 2023 e ha come primo firmatario Bernhard Zimniok di Alternative für Deutschland. «Antifa continua a commettere violenze in Europa e negli Stati Uniti – si legge nella proposta di risoluzione -, sopprimendo la libertà di pensiero e di espressione in Europa». Poi un’accusa: «Alcuni Antifa sarebbero stati addestrati da altri gruppi terroristici in Siria». E infine un passaggio sulle «ultime aggressioni con intenti omicidi» avvenute a Budapest nel febbraio precedente. Si tratta delle azioni per cui Ilaria Salis è ancora adesso sotto processo in Ungheria.

A scorrere l’ultimo rapporto dell’Europol sul terrorismo nell’Unione Europea, però, al capitolo dedicato alle formazioni più o meno a torto definite «di sinistra», la parola «Antifa» compare una volta sola e si segnala un «campo di addestramento» fatto in Austria (non in Siria) nel 2022. Gli investigatori europei, inoltre, non arrivano mai a parlare di terrorismo, ma al massimo di «movimenti estremisti».

IN GERMANIA, però, negli ultimi anni la lotta contro i movimenti di sinistra si è fatta dura. Non sono pochi i procuratori che proclamano la «tolleranza zero» per l’antifascismo militante, definito come un «attacco al sistema democratico». Un vero e proprio teorema: gli investigatori sono convinti dell’esistenza di autentiche «organizzazioni criminali» che attaccano gli oppositori politici di estrema destra. Questo nonostante i dati del ministero dell’Interno di Berlino: i reati attribuiti agli attivisti di sinistra sono calati del 31% tra il 2022 e il 2023, mentre, al contrario, quelli dei neonazisti sono cresciuti del 16%.

Lo scorso giugno, a Dresda, è finito il processo contro Lina Engel, ritenuta capa degli Antifa tedeschi responsabili di almeno cinque attacchi contro estremisti di destra avvenuti tra il 2018 e il 2020 in Sassonia e Turingia. È qui che i giornali hanno coniato il nome con cui adesso l’organizzazione viene identificata: Hammerbande, banda del martello. Arrestata il 5 novembre del 2020, alla fine Engel è stata condannata a 5 anni e 3 mesi, ed è uscita subito dal carcere in attesa del giudizio d’appello. Il giudice Hans Schlüter-Staats, nel leggere la sentenza, ha tra le altre cose sottolineato che le indagini contro i neonazisti sono troppo spesso segnate da «deplorevoli carenze». Altri Antifa, attualmente, sono ricercati dalla polizia tedesca. E non solo: sulle loro tracce ci sono anche gli estremisti di destra di tutta l’Europa, che nelle chat si scambiano foto segnaletiche, indirizzi e numeri di telefono dei loro nemici.

IN FRANCIA, nell’ultimo anno, si è spesso discusso (sempre su proposta delle destre) di sciogliere Jeune Garde, collettivo nato a Lione nel 2018 e fino a qualche tempo fa guidato da Raphaël Arnault, peraltro candidato con la Nupes di Jean-Luc Mélenchon alle legislative del 2022 (senza essere eletto). L’accusa, per quelli di Jeune Garde è di non limitarsi a organizzare conferenze e tavole rotonde sull’estrema destra francese, ma anche di schedarne i militanti, inseguirli per le strade, aggredirli e creare in questo modo «un clima di paura» (parole di Eric Ciotti, presidente dei Repubblicani). Per ora, ad ogni modo, la giustizia francese non ha mai preso iniziative contro il movimento, limitandosi a perseguire i singoli militanti.

Proposte di inserire gli Antifa negli elenchi delle organizzazioni terroristiche sono anche in discussione al parlamento austriaco e al consiglio federale svizzero, sempre ad opera dei partiti di estrema destra, talvolta anche con l’appoggio delle formazioni più moderate.

IN ITALIA si segnala un processo ai limiti del paradossale subito da alcuni militanti antifascisti di Pavia per una manifestazione non autorizzata del 2016, quando l’estrema destra sfilò per le strade nell’anniversario del missino Emanuele Zilli morto negli Anni 70 e decine di persone scesero in strada per impedire che il corteo arrivasse in centro. Caricati dalla polizia, manganellati e infine denunciati, in 23 hanno affrontato un processo durato 7 anni e finito soltanto nel dicembre del 2023 con tutte assoluzioni, alcune nel merito e altre per avvenuta prescrizi

Cortei a sit-in in molte città a sostegno di Ilaria

ilaria budapest«Quelle immagini si commentano da sole e confermano i nostri timori nel seguire i consigli delle autorità italiane. Non mi sento di aggiungere altro», dice Roberto Salis. Il padre di Ilaria, la militante antifascista da un anno in carcere in Ungheria con l’accusa di aver aggredito due neonazisti, si riferisce al murale apparso su un muro di Budapest in cui si vede una donna impiccata a una forca. Sui vestiti la scritta «Ila. Antifa». Un’immagine «eloquente e scioccante», per la dem Debora Serracchiani, per la quale «è inaccettabile che il governo non agisca e non intervenga per sottrarre Ilaria a queste minacce ed a questi pericoli».

Manifestazioni a sostegno di Ilaria, ma anche di Filippo Mosca, detenuto in Romania, si sono tenute ieri in diverse città italiane. A Roma momenti di tensione si sono avuti quando dal corteo partito da Via Sassari e aperto da uno striscione con la scritta «dall’Ungheria alla Palestina free them all», si è staccato un gruppo di una quarantina di manifestanti che ha cercato di raggiungere l’ambasciata ungherese, trovando però la strada bloccata dai reparti delle forze dell’ordine che hanno effettuato una carica. Il corteo ha poi ripreso a sfilare dirigendosi verso piazza Vittorio.

A Palermo, organizzato dall’assemblea «No Guerra» e dall’associazione Antigone, si è tenuto invece un sit-in a favore dei due connazionali imprigionati all’estero. «C’è stato un ritardo colpevole da parte del governo italiano – ha spiegato Virginia Dessy dell’assemblea «No Guerra» – la Farnesina era stata subito informata dell’arresto di Ilaria Salis, avvenuto un anno fa, l’11 febbraio, eppure la nostra connazionale è stata lasciata in condizioni disumane per mesi»

Alcune centinaia di persone hanno risposto all’appello lanciato nel capoluogo lombardo da «I Sentinelli di Milano» sotto la Loggia della piazza dei Mercanti. All’iniziativa hanno aderito molte associazioni impegnate nel sociale e alcuni partiti politici. «Noi ci domandiamo, poiché non era la prima volta che Ilaria andava in tribunale con una catena al collo e coi ceppi ai piedi, ma in questi mesi l’ambasciatore italiano in Ungheria cosa ha fatto?», ha chiesto Luca Paladini, consigliere regionale di Patto Civico, tra gli organizzatori del presidio.

 

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