Asti: La testimonianza di un detenuto, era un incubo…
- ottobre 26, 2011
- in carcere, testimonianze, tortura
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Parla Andrea Cirino, il carcerato che ha aperto il caso. Era arrivato nel carcere di Asti da un paio di mesi, Andrea Cirino, 33 anni, di Torino, all’epoca dei fatti tossicodipendente. È uno dei due detenuti (insieme a Claudio Renne, di 29 anni) sulla base delle cui deposizioni la procura astigiana aveva chiesto il rinvio a giudizio di 12 poliziotti penitenziari. Sette sono stati prosciolti, cinque andranno a processo il 27 ottobre prossimo.
Cirino, nel dicembre 2004, era rinchiuso ad Asti nella sezione B2 per rapina con lesioni quando un giorno litigò con un agente e gli mise le mani addosso. “L’ho aggredito io, mentre Renne, mio compagno di cella, cercò di dividerci”, racconta. Sorvolando su quella che lui descrive come una vera e proprio ritorsione immediata, con gli “agenti che mi prendono a calci e pugni mentre vengo accompagnato dal comandante”, partiamo dal suo racconto di quei venti giorni passati da allora in cella di isolamento. Ovviamente, la sua testimonianza è per ora solo un atto di accusa. E gli agenti in questione sono innocenti, fino a condanna definitiva.
Dove la portano? Cosa succede?
Vengo rinchiuso nell’ultima cella a sinistra, Renne nell’ultima a destra: dalla parte opposta. C’erano altri detenuti in altre celle. Da subito iniziano le violenze: mi lasciano completamente nudo, con una branda senza materasso né coperte, alle finestre non c’erano vetri e faceva molto freddo. C’era un piccolo termosifone acceso ma se provavo ad appoggiarmi gli agenti battevano sulle sbarre e mi insultavano. Io non dormivo mai perché sapevo che quando bevevano o si drogavano poi venivano a picchiarci.
Si drogavano? È un’accusa grave questa.
Ho raccontato tutto all’ispettrice di polizia a capo delle indagini (Antonella Reggio, ndr) e ai pm: si vedeva dagli occhi che avevano tirato cocaina. O bevuto. Erano troppo esaltati e con una cattiveria che non era normale. Non mi davano quasi mai nulla da mangiare o da bere e quando lo facevano ero sicuro che ci avessero sputato o urinato dentro. Quindi rifiutavo e rispondevo ai loro insulti. E loro si scatenavano: mi picchiavano di giorno e di notte con gli anfibi e io rannicchiato per terra cercavo di coprire faccia e testicoli. Non lo facevano solo con me, ho sentito le grida anche di altri detenuti malgrado chiudessero i blindati. A volte al pestaggio partecipava anche qualche detenuto loro alleato.
Chi poteva accedere al reparto?
Il medico, ma non veniva mai, e l’infermiera per le terapie. Io prendevo dei tranquillanti altrimenti impazzivo, eppure non riuscivo a dormivo per paura.
L’inchiesta sul carcere di Asti si apre dopo che un assistente di polizia penitenziaria e la sua convivente vengono arrestati per droga. Da lì partono le intercettazioni e la prima testimonianza raccolta è quella di Renne. Lei però nega tutto, perché?
Perché ero stato trasferito ad Aosta, dove non conoscevo nessuno e avevo paura. Renne invece era ancora nel carcere di Asti e a quel punto nessuno poteva più toccarlo.
Possibile che tutti gli agenti fossero collusi?
C’era un brigadiere siciliano che a un certo punto cercò di farli smettere. Me lo disse un detenuto che partecipava ai pestaggi e i miei amici che dalle finestre di sotto mi urlavano di resistere, che stavano cercando di aiutarmi.
Lei ha mai tentato di suicidarsi?
No, ho fatto un gesto di autolesionismo solo una volta perché mia figlia stava per morire e io volevo uscire per vederla.
E invece gli agenti sostengono di averla salvata da un tentato suicidio.
Un giorno mi portano un bel piatto di pasta e io, sfinito, accetto anche se penso a cosa possano averci messo dentro. Poi non mi ricordo più nulla e mi sveglio in ospedale col collo tutto viola. Mi dicono che ho tentato di suicidarmi. Ma non è vero: io ero completamente nudo, dove avrei trovato il laccio di scarpe? E il gancetto dove dicono che mi sarei impiccato non avrebbe mai retto il mio peso. Mi hanno riferito che al cambio di turno delle 16 una guardia mi avrebbe trovato in quelle condizioni.
Ma se avessero voluto ucciderla non lo avrebbero fatto nel cambio di turno.
Non so, forse erano solo mossi da impulsi bestiali.
Come vive adesso?
Ho sempre paura di uscire, ho paura di vederli anche in tribunale. Soffro di attacchi di panico. Sto cercando lavoro, ogni tanto faccio l’elettricista, ma non è facile.
fonte: il manifesto
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