Bangladesh: La protesta degli operai tessili. 4 manifestanti morti
Sono già quattro i manifestanti morti in 11 giorni di manifestazioni in Bangladesh. Aziende chiuse e migliaia in piazza. I sindacati chiedono salari dignitosi e hanno rifiutato un aumento del 56%
di Stefano Vecchia da Avvenire
Non si ferma la mobilitazione dei lavoratori del comparto dell’abbigliamento in Bangladesh e ieri, con la morte di un’operaia, il numero delle vittime del duro scontro con la polizia che dura da undici giorni è salito a quattro. Nei nuovi tafferugli che hanno interessato aree densamente abitate anche da immigrati attratti dalla possibilità di lavoro nelle manifatture, si sono registrati anche numerosi feriti. Tuttavia, coscienti anche dell’avvicinarsi delle elezioni politiche di gennaio, i sindacati dei lavoratori del settore, il principale tra quelli dedicati all’esportazione e il secondo dopo quello agricolo per valore complessivo (il 16%) del Pil annuo del Paese, hanno rifiutato un aumento del 56% del salario minimo proposto martedì dalla delegazione governativa. Sicuramente un miglioramento consistente e il primo dopo cinque anni che avrebbe portato il salario mensile dagli attuali 8.000 taka, equivalenti a meno di 70 euro a 12.500 taka, ma ancora molto lontano dalla richiesta di 23mila taka avanzata dalle rappresentanze dei lavoratori. L’aumento chiesto dai leader delle proteste iniziate 11 giorni fa in concomitanza con una massiccia manifestazione delle opposizioni, dispersa con la forza, è motivato dall’incremento del costo della vita nel Paese e dagli ingenti guadagni delle multinazionali che producono in Bangladesh, lucrando sui bassi compensi corrisposti agli operai.
Il dialogo sembra difficile e a dimostrarlo è anche il dispiegamento di una cinquantina di plotoni dei temuti paramilitari della Guardia di frontiera nelle principali aree produttive (Ashulia, Mirpur, Savar e altre) che circondano la capitale Dacca.
Mentre decine di migliaia di lavoratori sono scesi nelle strade, spesso bloccando la circolazione delle principali arterie, centinaia di aziende hanno sospeso la produzione per mancanza di maestranze oppure per il timore di danneggiamenti e roghi dopo le devastazioni dei primi giorni.
Come in passato, la situazione rischia di degenerare. Se i sindacati hanno qualche carta in più per mettere sotto pressione il governo guidato da Sheikh Hasina Wazed, la premier – la cui Awami League controlla il Parlamento uscente con 303 seggi su 350 – ha di fatto annullato ogni possibilità di azione anche pubblica sia per il principale antagonista politico, il Jatiya Party, sia a maggior ragione per il Partito nazionalista del Bangladesh guidato dall’arcirivale Khaleda Zia, sia per i partiti d’ispirazione religiosa islamica – e soprattutto non ha alcuna intenzione di cedere terreno alle opposizioni.
Sul piano internazionale i buoni rapporti instaurati dall’amministrazione con Cina, India e Russia, al contrario, non risentono del piglio autoritario con cui la premier governa il Paese, mentre eventuali posizioni critiche di Stati Uniti e Europa, peraltro già espresse, non rappresentano una leva sufficiente a partire dalla constatazione che eventuali azioni sanzionatorie punirebbero prima di tutti proprio gli oltre quattro milioni di lavoratori dell’abbigliamento e accessori attivi in 4.000 aziende di diverse dimensioni che riforniscono di prodotti finiti grandi brand internazionali tra cui American Eagle, Gap, H&M, Zara, Walmart.
Sul piano economico, d’altra parte, proteste prolungate a partire da un settore produttivo strategico, potrebbero inquietare gli investitori e avere conseguenze sulla crescita del Paese (il 7,1 per cento nel 2022), tra le più consistenti degli ultimi anni per quanto riguarda il continente asiatico.
Resta il fatto che proprio la crescita, sostenuta solo in parte dall’adeguamento di risorse pubbliche, welfare e salari adeguati, ha anzitutto proiettato verso l’alto i prezzi di alloggi, trasporti, alimentari e combustibili (complessivamente lo scorso anno del 10,8%), accentuando le disuguaglianze di possibilità e reddito. L’inflazione che a ottobre ha sfiorato il 10% contribuisce a erodere le capacità di spesa delle famiglie. Una situazione insostenibile che ha messo in difficoltà anche la classe media urbana e molti che, inurbati dalle campagne bengalesi attratti dalle possibilità di lavoro, non riescono a garantirsi redditi adeguati alla nuova situazione.
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