Basta morti invisibili e torture: chiudiamo subito gli OPG
- marzo 22, 2011
- in opg, violenze e soprusi
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Trent’anni dopo la riforma che porta il nome di Franco Basaglia, non tutti i manicomi hanno chiuso i battenti. Vengono chiamati ospedali psichiatrici giudiziari ma sono i manicomi criminali di una volta. Per l’esattezza gli internati sono 1535 (1433 uomini e 102 donne) nei sei ospedali psichiatrici giudiziari italiani (Aversa, Montelupo fiorentino, Napoli Sant’Eframo, Reggio Emilia, Castiglion delle Stiviere e Barcellona Pozzo di Gotto).
Martedì 8 marzo un ragazzo di 29 anni G.D., di origini genovesi, viene ritrovato morto nella sua cella dell’ospedale psichiatrico di Montelupo fiorentino. Il giovane era arrivato nella struttura nell’ottobre del 2010. Il cadavere è stato trovato nel bagno della cella, a scoprirlo sono stati gli agenti. Accanto all’uomo, che era stato internato a causa di episodi di aggressioni in famiglia, è stata trovata una bomboletta di gas in dotazione ai detenuti. Sul caso è stato aperto un fascicolo da parte della Procura della Repubblica di Firenze. La salma è stata trasferita al reparto di medicina legale di Careggi per essere sottoposta ad autopsia.
Negli opg avvengono anche atti di violenza sessuale. È di giovedì 10 marzo la notizia che due agenti di polizia penitenziaria dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa sono stati arrestati con l’accusa di avere costretto in più occasioni un giovane transessuale, internato nella struttura, ad avere rapporti sessuali. Sempre ad Aversa, dopo che si sono verificate 14 morti in 14 anni, 14 persone sono state iscritte nel registro degli indagati per omicidio colposo, tra cui parte del personale in servizio in reparto: medici, psichiatri e i dirigenti della struttura. Questi episodi vanno contestualizzati in uno scenario più ampio di abusi, violenze e di condizioni detentive inumane e degradanti che emergono anche dal rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura, organismo del consiglio di Europa, che si è recato in visita ispettiva negli opg italiani.
Gli opg sono inutili luoghi di soprusi, isolamento prolungato, condizioni igieniche indecenti, di contenzione abituale e di trattamenti totalmente lesivi della dignità umana.
L’opg è un limbo, un luogo di totale non diritto. In questi luoghi vige l’incertezza della pena e non esiste proporzionalità della pena rispetto al reato. In queste strutture vengono internate persone che, dopo aver commesso un reato, vengono dichiarate tramite una perizia totalmente o parzialmente incapaci di intendere o volere ma che a causa di una presunta pericolosità sociale (definita in riferimento alla norma vigente che risale al codice Rocco del 1930, nostra pesante eredità fascista) vengono ugualmente rinchiuse e allontanate dalla società.
Per le persone prosciolte per totale incapacità mentale l’opg si presenta nella sua dimensione peggiore, l’ergastolo bianco: l’internamento viene stabilito dal giudice di due, cinque o 10 anni ma la durata effettiva del provvedimento è ad assoluta discrezionalità del magistrato, che può prorogarlo all’infinito ogni due,cinque o dieci anni; con questo meccanismo alcune persone hanno scontato più di trentacinque anni di reclusione e si perde il conto di quanti sono morti avendo scontato molti anni in più della reale pena correlata al reato commesso. Diverso è il caso della seminfermità mentale: la capacità di intendere e di volere, per quanto ridotta, sussiste. La persona perciò è imputabile e viene sottoposta al processo. In caso di condanna vi sarà la diminuzione di un terzo della pena. Se riconosciuta anche socialmente pericolosa la persona verrà inviata in opg, dopo aver scontato la pena detentiva in carcere, senza sapere quanto dovrà restarci.
In opg possono anche finire individui che vengono trasferiti dal carcere conseguentemente ad una misura disciplinare e per un tempo indefinito (il tempo che un detenuto passa in opg non gli viene conteggiato come pena effettivamente scontata e quando verrà ritrasferito in carcere dovrà scontare anche il periodo non conteggiatogli).
In questi manicomi le persone continuano a morire così come nelle carceri vere e proprie.
Nei primi due mesi del 2011 sono morte 12 persone tra carcere e opg, di cui sei sono “morti da bomboletta”. Le bombolette del gas vengono date in dotazione dal carcere ai detenuti per poter cucinare. La cucina rappresenta l’unico strumento che la persona ristretta ha a disposizione per svolgere un’attività in autonomia, per costruire e vivere piccoli momenti di socialità e condivisione con altri detenuti.
Le bombolette vengono anche utilizzate da alcuni come meccanismo di “evasione” per non pensare, in quanto la loro inalazione provoca stordimento simile a quello indotto da assunzione di droghe leggere o di psicofarmaci. La concessione massiccia di psicofarmaci è fortemente appoggiata dall’amministrazione carceraria in un’ottica contenitiva in quanto detenuti chimicamente sedati sono sicuramente più gestibili, meno indotti a creare problemi e più propensi a sopportare l’alienazione della carcerazione.
E così per le bombolette. Sta diventando pratica sempre più diffusa e strumentalmente usata dalle amministrazioni carcerarie utilizzare le bombolette come pretesto per giustificare le morti scomode senza dover mettere in discussione il totale degrado, sovraffollamento ed incurie in cui riversano quelle discariche sociali chiamate carceri ed ospedali psichiatrici giudiziari. Con queste “morti da bomboletta” si continuerà così facilmente a giustificare la tragica e insensata fine di altri G.D., altri Ciprian Florin (morto l’8 febbraio 2011 a Genova, anche lui presumibilmente per inalazione di gas), altri Yuri Attinà (morto a Livorno il 5/1/2011), altri Jon R. (morto a Pavia per inalazione di gas l’11/2/2011).
Queste morti provocate o meno da inalazione di butano sono vere e proprie morti di Stato.
Lo Stato prende in custodia il corpo e l’anima di una persona e a questa dovrebbe garantire l’incolumità.
Collettivo Antipsichiatrico A.Artaud -Pisa
Zone del silenzio-Pisa
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