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Bologna: Processo a carico dei compagni del sito caccia allo sbirro

Il prossimo 8 giugno 2011 si celebrerà a Bologna la prima udienza del processo a carico di Angelo D’Arcangeli (membro della Direzione Nazionale del Partito dei CARC), Vincenzo Cinque (dirigente nazionale del Sindacato Lavoratori in Lotta), Romano Rosalba (del Partito dei CARC) e Fabrizio Di Mauro, accusati di violazione della legge sulla privacy, istigazione a delinquere e diffamazione perché sospettati di aver creato il sito internet Caccia allo Sbirro che il (nuovo) Partito Comunista italiano ha aperto nel 2009 [http://cacciaallosbirro.awardspace.info/] e in cui vengono resi noti i volti di agenti delle forze dell’ordine.
L’8 aprile 2009, il PM della Procura di Bologna Morena Plazzi (responsabile in precedenza di un’inchiesta simile che, se portata avanti, avrebbe comportato la chiusura di Indymedia Italia), ordina le perquisizioni a carico degli indagati. A casa della compagna gli agenti si presentano incappucciati e armi alla mano.
Nelle perquisizioni vengono rinvenute “le prove” del reato, ovvero le foto e i filmati prodotti dagli stessi indagati durante un presidio di solidarietà con 12 compagni della stessa area politica, impegnati a Bologna in un’udienza preliminare (vedi “Appello contro la persecuzione dei comunisti” su www.carc.it).
Foto e filmati che riprendono anche gli agenti della Digos e della Polizia presenti al presidio, impegnati palesemente a schedare i presenti e a “contenerli”.
Foto e filmati circolati sin da subito in rete che gli inquirenti avrebbero potuto facilmente reperire, al pari di chiunque altro, senza dover procedere al sequestro/furto di un’ingente quantità di materiale fotografico e informatico che a due anni di distanza e a indagini concluse non è ancora stato restituito.
Un furto che ha avuto sicuramente come obiettivi quello di incidere pesantemente sulle tasche già vuote dei compagni, sul loro lavoro politico e non ultimo sulla necessità di montare un’eclatante operazione mediatica (“il grande fratello rosso contro la polizia”) che giustificasse, a fronte di un dossier desolatamente vuoto (non esiste infatti prova alcuna che le foto siano state trasferite sul sito dagli imputati), il rinvio a giudizio, stabilito il 2 giugno 2010, dopo mezz’ora scarsa di dibattimento dal GUP Alberto Gamberini.
La sostanza politica di questo processo e il reato di “assoluta gravità” imputato in realtà ai quattro compagni è stato ben definito, in sede di udienza preliminare, dall’avvocato dello Stato Mario Zito, che in rappresentanza dei Ministeri dell’Interno e della Difesa, costituitisi in parte civile, ha dichiarato: “il monopolio della forza è dello Stato, chi scheda e fa banche dati degli agenti di polizia ostacola questo monopolio e quindi va represso”.
I servizi segreti autori di rapimenti avvenuti in violazione di ogni ordinamento nazionale e sovranazionale (vedi rapimento di Abu Omar) devono essere garantiti.
Gli apparati deviati o paralleli autori delle troppe stragi di Stato che hanno insanguinato la storia del nostro paese vanno tutelati.
Vanno tutelati gli agenti condannati dell’omicidio di Federico Aldrovandi che non hanno fatto neanche un giorno di sospensione, mentre la madre Patrizia ora, da vittima dello Stato diventa addirittura presunta autrice di un reato contro lo Stato ed è chiamata a processo per diffamazione dal tribunale di Mantova.
Vanno tutelati e promossi i massacratori della Diaz e di Bolzaneto, mentre chi anche all’interno della polizia, trova il coraggio di dissentire e denunciare deve essere isolato o destituito (come Francesco Paolo Oreste, il poliziotto di Terzigno che ha chiesto pubblicamente scusa per le violente cariche della polizia contro gli inermi manifestanti antidiscarica, o il più noto Gioacchino Genchi, vicequestore rimosso dalla Polizia di Stato a causa delle sue “dichiarazioni dal contenuto lesivo del prestigio di organi e istituzioni dello Stato” ).
Amnesty International nel suo rapporto annuale pubblicato ieri [http://50.amnesty.it/rapportoannuale2011], dipinge in questo senso un quadro del nostro paese estremamente chiaro quanto allarmante, sottolineando come siano continue le segnalazioni di maltrattamenti da parte di agenti delle forze di polizia o di sicurezza ed esprimendo viva preoccupazione circa l’indipendenza e l’imparzialità delle indagini e sull’accuratezza della raccolta e della conservazione delle prove nei casi di decessi in custodia (vedi omicidio Cucchi) e di presunti maltrattamenti, che spesso hanno portato all’impunità dei perpetratori. E sottolinea, a proposito dei soprusi avvenuti durante il G8 di Genova del 2001, che “se l’Italia avesse introdotto il reato di tortura nel codice penale, la prescrizione non si sarebbe potuta applicare”.
E’ un rapporto che ovviamente non è piaciuto per nulla al nostro ministro Frattini, esponente di quella cricca di criminali, razzisti e fascisti i cui interessi il suddetto avvocato Zito è chiamato a rappresentare nel processo contro i compagni.
Se qualcuno non avesse filmato o fotografato le violenze e i pestaggi commissionati a Genova, cosiccome nelle tante manifestazioni che in questi tempi di crisi animano le nostre strade, se qualcuno non avesse ripreso col proprio cellulare degli agenti che in strada pestavano a sangue un ragazzo ubriaco, un tifoso o un immigrato, diffondendo poi per internet quelle immagini, chi oggi vedrebbe realmente più garantita la propria sicurezza?
Le telecamere, la schedatura, le intercettazioni, le intrusioni, le infiltrazioni, vanno ovviamente bene per individuare e reprimere chi scende in piazza a guadagnarsi il sacrosanto diritto a una vita sana e dignitosa. Vanno bene per montare inchieste fasulle a danno di attivisti, di lavoratori a rischio di licenziamento e di disoccupati che manifestano il loro dissenso e la loro collera.
Sono invece deprecabili quando scoprono gli altarini della casta, i suoi giochi di potere, le sue sporche manovre.
Un vento di cambiamento attraversa oggi il nostro paese! La riscossa dei lavoratori, studenti, casalinghe, pensionati e liberi professionisti sta avanzando e si sta rafforzando: i risultati delle elezioni amministrative lo dimostrano ampiamente.
Da Milano a Napoli, da Trieste e Cagliari il messaggio arriva forte e chiaro: le masse popolari italiane ed immigrate non sono disposte a pagare la crisi dei padroni e rivendicano con forza, in Italia, come in Grecia e in Spagna, il diritto a una vita dignitosa e sana.
Rendere noti volti e nomi di mandanti ed esecutori di abusi e di azioni eversive è un atto fondamentale di vigilanza democratica, che mira a difendere i diritti politici conquistati con la Resistenza Partigiana, a realizzare la Costituzione, a sostenere il cambiamento e impedire svolte reazionarie e autoritarie.
Denunciare, smascherare gli “agenti provocatori pronti a tutto” e i loro mandanti è una forma di vigilanza e di autodifesa per tutti coloro che resistono alla crisi e ai suoi effetti peggiori.
E’ un dovere da cui non è esclusa neppure quella parte delle forze dell’ordine che non intende prestarsi al lavoro sporco che le è commissionato.

Sostieni i compagni sotto processo!

Partecipa al presidio che si terrà l’8 giugno 2011  a partire dalle h.9.00, in Piazza Nettuno a Bologna


Firma e fai firmare l’Appello “Estendere e rafforzare la vigilanza democratica”
inviando una email a: vigilanzademocratica@carc.it