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Bolzaneto, l’Italia è il Paese della tortura

La Cassazione conferma l’impianto della sentenza di secondo grado. Assolti i carabinieri, condannati tutti gli altri.
«L’Italia è un Paese in cui si pratica la tortura, ma si fa finta che non sia così», sbotta Lorenzo Guadagnucci uscendo dal Palazzaccio. Da pochi istanti è stata pronuciata la sentenza di Cassazione per i massacri e gli abusi commessi a Bolzaneto nel 2001. La Quinta sezione penale della Cassazione ha messo un paletto definitivo sul capitolo delle violenze avvenute nella caserma di Bolzaneto, carcere provvisorio del G8 di Genova, confermando 7 condanne e concedendo 4 assoluzioni. Oronzo Doria, Franco, Trascio e Talu, sono i nomi degli agenti assolti. Mentre sono state confermate le condanne – inflitte dalla Corte d’appello di Genova il 5 marzo 2010 – per l’assistente capo della polizia Luigi Pigozzi (3 anni e 2 mesi), che divaricò le dita delle mano di un detenuto fino a strappare la carne, gli agenti di polizia penitenziaria Marcello Mulas e Michele Colucci Sabia (1 anno) e il medico Sonia Sciandra.

Pene confermate a un anno per gli ispettori della polizia Matilde Arecco, Mario Turco e Paolo Ubaldi che avevano rinunciato alla prescrizione. Anche nei confronti di Amenza i giudici della Suprema Corte hanno cancellato la condanna per il reato di minaccia. Ma la quinta sezione penale del Palazzaccio – presieduta da Gaetanino Zecca – ha fatto di più, riducendo i risarcimenti nei confronti delle vittime delle violenze. Il verdetto, infatti, stabilisce che i danni subiti dai manifestanti, dovranno essere rideterminati da un giudice civile «per assenza di prova».

Ad attendere la sentenza, assieme ai loro legali, c’erano alcune vittime di Bolzaneto e della Diaz, alcuni reduci di quel luglio più qualche sparuto militante più giovane.
C’è Marco Poggi, l'”infame”, lui ci scherza su ma da quando ha deciso di testimoniare sugli orrori del carcere provvisorio per le retate del G8 non ha più lavorato come infermiere penitenziario. Solo 8 anni dopo avrebbe potuto fare il suo mestiere ma in un Opg. Da allora fa il sindacalista. Di Bolzaneto ricorda gli occhi strabuzzati del ragazzo coi rasta a cui il medico della prigione strappò via il piercing così, per sfregio. Vide dar calci e pugni sulle reni. Li sentiva cantare Facetta nera, gliela facevano sentire agli “ospiti” anche dai finestroni, con i telefonini.
Lì dentro c’è era gente come Lorenzo di Roma, che aveva 21 anni, e lo pescarono il sabato 21, in corso Torino mentre era con alcuni amici, non stava facendo nulla se non prendere parte a un corteo contro il G8. Uscì da Bolzaneto con le costole incrinate e tantissima paura. Da allora non gli va mica di farsi vedere in giro.
Evandro, torinese, era più anziano di diciotto anni. Fu preso quando spezzarono il corteo del sabato mentre fuggiva in una via laterale e poi nella rampa di un garage. E giù cazzotti sul muso e quella manganellata a freddo all’ingresso del carcere di Alessandria.
«Non ho ancora sentito una parola da parte del presidente della Repubblica e dei ministri. Dopo due sentenze su quello che è successo a Genova ci aspettiamo le scuse da parte dello Stato – dice Enrica Bartesaghi, presidente del comitato Verità e giustizia per Genova e madre di una ragazza picchiata alla Diaz e inghiottita da Bolzaneto – chi è stato coinvolto in questa vicenda faccia un passo indietro».
Un passo indietro, certo, l’ha fatto la politica, specie la “sinistra” per bene, quella non rancorosa, in giro per il Palazzaccio c’è solo Italo Di Sabato, dell’osservatorio sulla repressione, e Vittorio Agnoletto.
Quelli accaduti nel luglio 2001 nella caserma di Bolzaneto a Genova sono “soprusi” e “vessazioni” assolutamente “inqualificabili”, aveva detto il pg di Cassazione, Giuseppe Volpe, nella sua requisitoria.
E “correttamente la Corte d’appello di Genova ha tenuto conto di questo a differenza del primo giudice che si limitò a valutare una percezione de visu”. In primo grado, infatti, nel luglio 2008, vennero pronunciate 30 assoluzioni e 15 condanne.
Tale verdetto venne ribaltato in appello, il 5 marzo 2010, quando tutti gli imputati vennero ritenuti responsabili di quanto accaduto: per 7 ci fu la condanna penale, per 37 fu dichiarata la prescrizione del reato, ma per tutti venne stabilita la condanna a risarcire le vittime. Il pg Volpe, quindi, ha rilevato come chi a Bolzaneto rivestiva in quei giorni “posizioni di garanzia” sia responsabile di “omissioni, che hanno consentito il verificarsi degli eventi delittuosi. La percezione di ciò che avveniva era resa possibile anche dal contesto, dagli odori e dalle urla”.
Il pg aveva chiesto di confermare le condanne ma di ridurre i risarcimenti stabiliti dai giudici d’appello per i no-global vittime delle violenze. Le parti civili che non presentarono appello, secondo Volpe, che nella sua requisitoria ha citato ampia giurisprudenza su questo tema, “non hanno interesse ad avere risarcimenti”.
«Così è stato – spiega Vittorio Agnoletto, che fu portavoce del Genoa social forum in quel 2001 tremendo – le modifiche sono avvenute solo su questioni formali. Ora che è concluso l’iter giudiziario dovrebbero entrare in scena l’Ordine dei medici e i comandi delle forze dell’ordine per i provvedimenti disciplinari contro i condannati». Resta, tanto per Agnoletto, quanto per Simonetta Crisci, una delle avvocate di parte civile, lo scandalo dell’assenza del reato di tortura. Inammissibile, per la Cassazione, il ricorso della procura genovese che aveva posto la questione di legittimità costituzionale sul mancato adeguamento dell’Italia ai principi della Convenzione europea che sanciscono l’imprescrittibilità di ogni reato commesso in violazione della norma che pone il divieto di trattamenti inumani e degradanti. «Se ci fosse stato quel reato Bolzaneto non lo ricorderemmo per tutto questo – riprende Agnoletto – se la politica fosse intervenuta dopo non ci sarebbero stati gli omicidi di Aldrovandi, Cucchi, Uva ecc… perché un reato imprescrittibile funzionerebbe da deterrente».
Checchino Antonini da popoff