Bolzano: Chieste condanne pesantissime per chi contestò “Il Muro del Brennero”
- settembre 10, 2020
- in lotte sociali
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L’11 settembre ricomincia il processo contro le compagne e i compagni che hanno partecipato alla manifestazione contro la costruzione del muro al Brennero nel maggio 2016, per i quali la Procura di Bolzano chiede, come se nulla fosse, 338 anni di carcere.
Venerdì 7 febbraio 2020 un sostituto procuratore della Procura di Bolzano, Andrea Sacchetti, ha richiesto ad un giudice del Tribunale che 63 manifestanti scesi in strada al passo del Brennero nel maggio 2016 per impedire la costruzione del muro “antimigranti”, vengano condannati per 338 anni di carcere complessivi. Le pene richieste, attraverso l’accusa di “aver devastato e saccheggiato” non si sa bene cosa, vanno dai 15 anni ai 4 anni di carcere a persona, diminuite di un terzo per via della scelta del rito abbreviato. Non vogliamo qui entrare nel merito delle assurde e folli richieste del PM, su cui peraltro ci sarebbe molto da dire, deciso a seppellire sotto oltre tre secoli di carcere alcune decine di persone per aver manifestato o per essersi difesi dalle cariche della celere, ma vogliamo ricordare lo spirito che animò alcune centinaia di compagni in quella giornata.
I mesi che precedettero la manifestazione del 7 maggio di quattro anni fa furono difficili, e per certi versi, angoscianti. Ricordiamo le centinaia di profughi bloccati alla stazione di Bolzano, la violenta campagna politica della Lega e dei fascisti di tutte le risme, tesa a fomentare paura e disumanizzare stranieri e rifugiati, ricordiamo le marce di Forza Nuova e dei nazisti della Npd per le strade di Bolzano.
Ricordiamo le stragi nel Mediterraneo, le migliaia di uomini e donne, rimasti senza nome, morti scappando da guerre e miseria spesso provocata dalle armi o dalle multinazionali del capitale occidentale. Ricordiamo le persone morte mentre tentavano di fuggire dai lager della Libia, dove le donne venivano, e vengono, sistematicamente stuprate e gli uomini torturati per estorcere loro denaro.
Ricordiamo il racial profiling, i controlli al viso nella stazione dei treni di Bolzano, dove i carabinieri del reparto mobile venivano impiegati per impedire che persone di pelle scura salissero sui treni diretti a Monaco.
Ricordiamo le minacce di esponenti dello Stato austriaco con i suoi soldati e mezzi militari schierati al confine e le sue proposte “tecniche” per risolvere la crisi migratoria: muri, fili spinati e detenzione amministrativa. Ricordiamo le violenze subite dai profughi siriani ad Idomeni ed il muro di filo spinato fra Serbia ed Ungheria.
Negli ultimi anni la campagna di odio e contro i poveri che vengono “a fare la pacchia” è proseguita ed imbroglioni razzisti di diversi partiti ci hanno fatto credere che la nostra sicurezza sia messa in pericolo da povera gente che scappa dalle bombe o dalla povertà.
Dopo averci terrorizzato, i decreti di Minniti, seguiti da quelli “sicurezza” voluti da Salvini e dal movimento 5 stelle, venduti politicamente per “rassicurare” i cittadini, hanno aperto la strada alla crimininalizzazione e alla repressione di chi salva vite in mare, oltre ad aver legittimato gli aguzzini che gestiscono i lager libici e ad essere soprattutto strumenti di repressione delle lotte degli operai e delle operaie che scioperano contro lo sfruttamento del lavoro che sempre più persone, in particolare immigrati e senza documenti, sono costretti a sopportare.
Oltre a ciò si sono moltiplicati, dalla Francia all’Ungheria, dall’Italia alla Croazia, provvedimenti legislativi che intendono criminalizzare, attraverso multe oppure pene detentive, la solidarietà verso chi è un “clandestino” senza documenti, per isolarli, fomentando delazioni, paura, rabbia e solitudine. Abili demagoghi razzisti come Orban, Trump, Strache o Salvini hanno costruito politicamente la propria fortuna scaricando sugli stranieri la rabbia e le tensioni sociali provocate da politiche, da essi stessi sostenute, che difendono esclusivamente gli interessi grondanti di sangue, di grandi industriali, multinazionali e speculatori finanziari.
Centinaia di compagni e compagne sono scesi in strada al Brennero, 4 anni fa, per rompere l’indifferenza e l’inerzia con cui ormai troppe persone, accettano tutto, anche le peggior ingiustizie, consapevoli che non sarebbe stata sufficiente la marcia simbolica.
Centinaia di compagni e compagne si sono assunti una responsabilità, ed hanno voluto interrompere la tragica normalità con cui certe decisioni vengono prese, come le guerre, i bombardamenti o la possibile costruzione di un muro a dividere due popolazioni, muri che non appartengono al passato, come vorrebbero farci credere coloro che celebrano solo la caduta del muro di Berlino, ma costituiscono un tragico presente: dal muro fra Israele e territori occupati palestinesi al muro fra Messico e Stati Uniti, dal muro fra Turchia e Siria alle barriere fra Serbia e Ungheria. Muri e fili spinati producono morte, paura, odio e razzismo.
Centinaia di compagni hanno voluto rompere la mediocre apatia con la quale la maggioranza della popolazione vive ed apprende le più inaccettabili decisioni dei governi, attraverso uno schermo televisivo oppure limitandosi a commentare un inutile post su Facebook.
Non possiamo dimenticare la giovane etiope Rawda Abdu morta nel novembre 2016, investita da un treno a Borghetto dopo essere stata respinta dalla frontiera, il diciassettene eritreo Abeil Temesgen, morto nello stesso periodo nel tentativo di passare il Brennero, oppure i profughi morti assiderati in Austria il mese dopo, su un treno merci proveniente da Verona. Quella giornata è anche per loro, come per tutti coloro che sono caduti ricercando una vita migliore.
Così come oggi la propaganda politica razzista e fascista è costruita in massima parte sulla falsificazione e mistificazione della realtà, anche il processo inquisitorio istituito dal sostituto procuratore Andrea Sacchetti, animato probabilmente anche da un certo odio ideologico, non si discosta da tale impostazione retorica dominante. Le sue deliranti ed assurde richieste tuttavia non ci stupiscono perché sappiamo bene, come scriveva Stig Dagerman, che “chi costruisce prigioni s’esprime sempre meno bene di chi costruisce la libertà”.
SOLIDARIETA’ AI COMPAGNI SOTTO PROCESSO PER LA MANIFESTAZIONE DEL BRENNERO