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Brescia: Pat e Obaze promessi sposi. Vicesindaco nega il matrimonio.

«Questa è una storia di cattiveria gratuita, di accanimento contro i deboli e di razzismo istituzionale. E faccio notare che queste definizioni sono molto ponderate»: così Umberto Gobbi dell’Associazione Diritti per Tutti nell’introdurre la triste vicenda di Pat e Obaze, Nigeriani, che vorrebbero sposarsi nella ricca Brescia dove abitano ma che, per ora, non possono farlo, ostacolati dal vice sindaco nei panni di un Don Rodrigo fuori tempo.Pat, 25 anni, da oltre sette a Brescia con regolare permesso di soggiorno, contratto a tempo indeterminato, incinta di 6 mesi. Obaze, 30 anni, sofferente di una seria malattia cardiopolmonare, ha perso il permesso di soggiorno perché le lunghe degenze ospedaliere non gli hanno lasciato il tempo di seguire la pratica per ottenere l’asilo politico che aveva richiesto in quanto perseguitato religioso. I due decidono di sposarsi e Pat si reca all’anagrafe per informarsi dei documenti da produrre e se la mancanza di permesso di soggiorno per il marito costituisca un impedimento. All’anagrafe le dicono che non è un problema, che bastano passaporto e un nullaosta rilasciato dall’ambasciata che attesti lo stato civile dei futuri coniugi. Pat va a Roma, sopporta la fatica del viaggio e delle lungaggini burocratiche, ottiene tutti i documenti, torna all’anagrafe e torna a chiedere: «mio marito non ha il permesso va bene lo stesso?». Ancora una volta è rassicurata, le viene dato l’appuntamento per le pubblicazioni, il 21 maggio. Quel giorno Pat e Obaze tornano negli uffici comunali, Pat viene accompagnata in una stanza da due impiegate che le dicono di riempire un modulo. Una delle due si allontana e poco dopo torna con i vigili che prelevano Obaze, impedendo a Pat di salire sulla stessa vettura con cui viene condotto al posto di polizia e senza informarla del motivo del fermo. Al comando dei vigili la donna non può vedere il fidanzato, le dicono solo di aspettare. Arriva un’ambulanza, Pat intravvede Obaze con il sangue culla bocca, si spaventa, cerca di salire sull’ambulanza ma, ancora una volta le viene impedito. Con un taxi arriva all’ospedale, finalmente parla con Obaze, che a causa dell’emozione si è sentito male. Il malore passa, l’uomo viene portato in carcere, e solo l’indomani Pat può finalmente sapere il motivo dell’arresto: non ha ottemperato all’ordine di espulsione. Tuttavia Obaze è stato assolto proprio ieri: evidentemente il giudice ha ritenuto che sussiste un giustificato motivo per la non punibilità, «anzi i motivi sono almeno due», sottolinea Manlio Vicini, legale dell’Associazione Diritti per tutti «le critiche condizioni di salute e l’aspettativa di paternità. Queste le motivazioni che useremo per richiedere la legalizzazione di Obaze».I due Nigeriani si sposeranno sicuramente, perché la legge non impedisce il matrimonio e non richiede permesso di soggiorno, almeno finchè non entrerà in vigore il pacchetto sicurezza. «Per questo abbiamo definito la vicenda di gratuita cattiveria» spiega Umberto Gobbi che garantisce: «si sposeranno, questo è certo», aggiungendo poi: «la cosa vergognosa è che ai due è stata tesa una trappola da qualcuno dell’anagrafe, che individueremo, in sintonia con l’ideologia razzista degli amministratori cittadini»; infine Gobbi evidenzia il risvolto comico della situazione: «Pat lavora da sette anni per la ditta Ok Capelli, dell’attuale assessore Nicola Orto. Se il vicesindaco Rolfi avesse chiesto al collega prima di decretare il matrimonio non s’ha da fare…”». «La giunta comunale è solo capace di dare la caccia agli immigrati, per nascondere le sue incapacità e i suoi fallimenti», conclude l’avvocato Vicini. Pat non usa parole di biasimo, anche se ne avrebbe tutti i diritti: con un sorriso dolceamaro si limita a manifestare la sua sorpresa: «non mi sarei mai aspettata un atteggiamento del genere dall’anagrafe», confessa, «perché io vivo e lavoro qui da tanti anni, mi sono sempre trovata bene» e nonostante tutto quello che ha subito si dice «contenta del fatto che la sua bimba, che chiamerà Nicoletta, nascerà a Brescia».Questa storia di manzoniana memoria non è purtroppo la caratteristica di una singola città, tutto sommato di provincia, ma è invece emblema di un cupo clima generale che avvolge l’Italia dove imperano l’ipocrisia e il razzismo di molti governanti, locali e nazionali, i quali a parole osannano il sacro vincolo del matrimonio tra una donna e un uomo, se questi sono italiani, cristiani e possibilmente benestanti. Se invece di Renzo e Lucia i futuri coniugi si chiamano Pat e Obaze, o Rania e Muhammad, o Alina e Vladi, allora la sacralità viene meno e i signorotti di turno si battono per impedirlo. E’ la politica dei sue pesi e due misure, tipica della classe dirigente che sta governando il nostro paese che «dobbiamo fermare con la mobilitazione e l’indignazione antirazzista», come esorta il comunicato dell’Associazione Diritti per Tutti.
fonte: Liberazione