Un tempo fungeva da campo profughi per gli esuli provenienti dall’Istria, poi di volta in volta è stato centro di accoglienza, di permanenza temporanea, per richiedenti asilo. Oggi il “Restinco” è uno dei Centri per l’identificazione ed espulsione per migranti (Cie) spesso ignorato dalla stampa nazionale, sito a pochi chilometri da Brindisi.
Eppure il centro è teatro continuo di rivolte e contestazioni, un posto gestito dalla cooperativa “Connecting People” dove sono stati rinchiusi illegalmente anche minori, dove l’autolesionismo è la norma tanto che un trattenuto afgano nei giorni scorsi si è cucito due volte le labbra perché gli veniva impedito di parlare con i propri figli.
L’altro ieri sera si preparava probabilmente un rimpatrio di massa e gli 85 detenuti hanno improvvisato una rivolta.
Ovviamente le ricostruzioni differiscono, le forze dell’ordine parlano di una fuga di massa sventata – in 10 sono riusciti ad allontanarsi – e di 5 agenti di sorveglianza feriti dal lancio di sassi e calcinacci. Secondo Angelo Leo, segretario provinciale del Nidil Cgil, le cose sono andate diversamente. C’è stata una resistenza al rimpatrio, di persone che rischiano la vita se riportate nel proprio paese che polizia, carabinieri e agenti della guardia di finanza hanno represso brutalmente.
Secondo le sue informazioni sono almeno dieci i reclusi che sono dovuti ricorrere alle cure ospedaliere.
«Del resto – aggiunge Leo – Capita spesso che avvengano fatti inauditi nel centro ma che restino confinati nel silenzio assoluto e che sia impossibile avere accesso alle informazioni. L’altra sera c’è stato un vero pestaggio di massa praticato nella più completa impunità e mentre vi parlo girano ancora gli elicotteri a caccia dei fuggitivi che potrebbero essere anche feriti».
Il sindacalista che intende cercare di coinvolgere le forze del territorio attorno alla questione dei Cie, racconta di aver cercato di parlare anche con gli operatori che lavorano nel centro per avere notizie più certe.
Ma le bocche restano chiuse, qualcuno si azzarda a parlare di orribile serata ma per il resto prevale il silenzio.
Prevale insomma la linea Maroni secondo cui dei Cie meno si parla e meglio è, o meglio se ne parli solo in caso di apertura dei nuovi centri promessi e non per il drammatico peggioramento delle condizioni determinato dal prolungamento dei tempi di trattenimento.
La Federazione della Sinistra ha reiterato la richiesta di chiudere il Cie pugliese, sarebbe opportuno che, anche in assenza di competenze specifiche, la presidenza regionale manifesti una continuità e una coerenza in merito a luoghi che in un paese civile non dovrebbero esistere.
Eppure il centro è teatro continuo di rivolte e contestazioni, un posto gestito dalla cooperativa “Connecting People” dove sono stati rinchiusi illegalmente anche minori, dove l’autolesionismo è la norma tanto che un trattenuto afgano nei giorni scorsi si è cucito due volte le labbra perché gli veniva impedito di parlare con i propri figli.
L’altro ieri sera si preparava probabilmente un rimpatrio di massa e gli 85 detenuti hanno improvvisato una rivolta.
Ovviamente le ricostruzioni differiscono, le forze dell’ordine parlano di una fuga di massa sventata – in 10 sono riusciti ad allontanarsi – e di 5 agenti di sorveglianza feriti dal lancio di sassi e calcinacci. Secondo Angelo Leo, segretario provinciale del Nidil Cgil, le cose sono andate diversamente. C’è stata una resistenza al rimpatrio, di persone che rischiano la vita se riportate nel proprio paese che polizia, carabinieri e agenti della guardia di finanza hanno represso brutalmente.
Secondo le sue informazioni sono almeno dieci i reclusi che sono dovuti ricorrere alle cure ospedaliere.
«Del resto – aggiunge Leo – Capita spesso che avvengano fatti inauditi nel centro ma che restino confinati nel silenzio assoluto e che sia impossibile avere accesso alle informazioni. L’altra sera c’è stato un vero pestaggio di massa praticato nella più completa impunità e mentre vi parlo girano ancora gli elicotteri a caccia dei fuggitivi che potrebbero essere anche feriti».
Il sindacalista che intende cercare di coinvolgere le forze del territorio attorno alla questione dei Cie, racconta di aver cercato di parlare anche con gli operatori che lavorano nel centro per avere notizie più certe.
Ma le bocche restano chiuse, qualcuno si azzarda a parlare di orribile serata ma per il resto prevale il silenzio.
Prevale insomma la linea Maroni secondo cui dei Cie meno si parla e meglio è, o meglio se ne parli solo in caso di apertura dei nuovi centri promessi e non per il drammatico peggioramento delle condizioni determinato dal prolungamento dei tempi di trattenimento.
La Federazione della Sinistra ha reiterato la richiesta di chiudere il Cie pugliese, sarebbe opportuno che, anche in assenza di competenze specifiche, la presidenza regionale manifesti una continuità e una coerenza in merito a luoghi che in un paese civile non dovrebbero esistere.
Stefano Galieni
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