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Brindisi: si sposa in carcere, gli agenti umiliano la coppia e la figlia di 4 anni

BRINDISI – “Mi sono sposata nel carcere di Brindisi, dove il mio compagno era detenuto, ed è stato il giorno più brutto della mia vita perché è stato di una tensione estrema: mi sono sentita umiliata davanti a mia figlia di quattro anni, dopo una serie di peripezie, visto che il matrimonio è stato celebrato alla presenza di dieci agenti della polizia penitenziaria che non ci hanno lasciato neppure il tempo dello scambio delle fedi. La bimba si è spaventata a tal punto che me ne sono andata via subito, senza neppure parlare con chi nel giro di qualche minuto è diventato mio marito”.

Racconta le sue nozze con gli occhi gonfi di lacrime, Margherita: il matrimonio, con rito civile, è stato celebrato il 7 ottobre scorso nella sala colloqui del carcere di via Appia, dove il suo compagno era ristretto dal 7 aprile, con l’accusa di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, reato per il quale è stato condannato in primo grado alla pena di quattro anni e due mesi, impugnata con ricorso in Appello depositato dall’avvocato Gianvito Lillo. Lo sposo detenuto, il giorno dopo aver pronunciato il sì, è stato trasferito nel penitenziario di Bari.

“E’ stato un vero incubo per nostra figlia, nei cui confronti non è stato dimostrato un briciolo di sensibilità: non parliamo di chissà cosa, ma di semplice umanità. E’ pur sempre una bambina di quattro anni appena che non può e non deve scontare lo sbaglio di suo padre e invece è stata costretta a vedere una squadra di ‘guardie’ schierate davanti a lei, sei delle quali, donne, ci hanno perquisito all’ingresso del carcere, dopo un’attesa di mezz’ora fuori” racconta. Per quel giorno, lei e la piccola si erano vestite a festa: la bimba sembrava una bambolina, la sposa è arrivata in abito lungo.

“L’ho vista che stava per scoppiare a piangere, si avvicinava a me e allora le ho dato il bouquet di fiori e le ho detto che era per lei, sono scappata via con una fitta al cuore: ha dovuto assistere a una scena che non auguro a nessuno, dire brutta è poco”, dice mentre sistema la cucina. “Gli ufficiali del Comune si sono preoccupati per noi, ma non potevo restare lì. Mentre andavamo via la bambina mi ha chiesto: ‘Mamma, allora papà sta in carcere?’. E io le ho risposto: “Sta facendo dei lavori qui, questi sono colleghi operai”.

“Lui, mio marito, in carcere ci è finito e pagherà per i suoi sbagli, così come per il battibecco che sembra abbia avuto con gli agenti di polizia, ma la bimba che c’entra? E’ proprio per dare sicurezza a me e ai nostri figli che ha voluto il matrimonio, visto che in Italia la convivenza non ha alcun valore. Non chiedeva niente di più che sposarmi alla presenza della piccola e degli altri figli (maggiorenni,ndr) e per questo abbiamo chiesto una regolare autorizzazione per far entrare le bimba nel carcere. Oggi dico, l’avessimo mai fatto”.

“Se ho voluto raccontare questa storia, questa bruttissima storia, è perché non voglio che accada un’altra volta: nelle strutture penitenziarie qui vicino, come Lecce o Trani, non si è mai vista una cosa del genere. Innanzitutto le nozze civili non vengono celebrate nella sala colloqui: mi sono meravigliata che ci stavano portando lì, visto che ci andavo per incontrare mio marito ogni martedì. Ma non potevo fare domande: c’erano tutti quei poliziotti, per cui io, i mie figli e i quattro testimoni li abbiamo seguiti”.

“Anche per i testimoni ci sono stati problemi: due giorni prima del matrimonio ho dovuto cambiarli perché è arrivata una nota della direzione del carcere di rigetto dell’autorizzazione che pure ci era stata rilasciata il 28 settembre, dopo aver informato il giudice del Tribunale di Brindisi. Ma è stato proprio il giudice a pronunciarsi sostenendo che due delle persone scelte non potevano fare da testimoni perché erano pregiudicati”, continua a raccontare la donna.

“A quel punto mi sono rivolta all’avvocato Lillo, ho cambiato i testimoni e ho comunicato tutto. La cosa che non capisco è per quale motivo abbiano contestato la scelta. E poi io stessa avevo chiesto un incontro con il direttore della struttura carceraria il venerdì precedente per avere la conferma che fosse tutto a posto e cosa potessi portare, se cioè oltre alle fedi era possibile autorizzare il bouquet. Mi ha ricevuta fuori e mi sono sentita dire: ‘si rivolga al suo avvocato’”.

Il penalista ha fatto tutto quello che poteva. Lillo il 18 settembre scorso ha anche ottenuto una procura speciale per consentire la celebrazione della “promessa” in Comune. “Non avrei mai immaginato che il giorno delle nozze fosse così: da dimenticare. Non ho una foto, neanche una stretta di mano con mio marito, niente di niente, se non tanta amarezza e delusione per come è stata considerata nostra figlia. E questo nessuno lo potrà mai cancellare, neppure il tempo: continuo a rivedere quella scena, di lei, piccola, che guarda i poliziotti e mi cerca”.

tratto da Brindisi Report