Il “buonsensismo” da debellare. Il caso Riace e l’insopportabile conformismo dell’informazione
- ottobre 14, 2018
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«Nessun imbroglio, però regole violate. Questo è un punto fermo, un punto intorno al quale non ci sono spazi per discutere né piccoli né grandi. E non si può un giorno osannare la magistratura quando ha nel mirino Salvini e il giorno dopo demonizzarla quando il bersaglio è un personaggio come Lucano» (A. Bolzoni, Il sindaco e i confini della legge, La Repubblica, 3 ottobre);
«C’è qualcosa di commovente in Mimmo Lucano, sindaco di Riace, che imbroglia le carte per salvare una prostituta nigeriana e offrirle un domani. Ma se, come diceva Lucano, l’idea personale di giustizia superasse l’idea collettiva di legge, avremmo sessanta milioni di codici penali in più e una democrazia in meno» (M. Feltri, L’errore di Antigone, La Stampa, 4 ottobre);
«L’idea di fondo che ha mosso Lucano è molto difficile da contestare in buona fede. La strada assai vitale imboccata dal sindaco di Riace, però, sembra virare a un certo punto verso un’altra direzione, creando nel tempo una specie di repubblica autonoma sulle montagne calabresi. Del sindaco le carte mostrano, accanto a un grado quasi insostenibile di naïveté, una disinvoltura amministrativa spinta ben al di là dei fardelli penali. Il gip ha scagionato da altre e più gravi accuse (concussione, associazione per delinquere, truffa) il sindaco con parole che però ne velerebbero il profilo di amministratore quand’anche nelle prossime ore fosse revocata o alleggerita la misura cautelare» (G. Buccini, La triste storia di Riace che rende tutti più deboli, Corriere della Sera, 4 ottobre);
«Domenico Lucano è un fuorilegge onesto. Ma ha violato la legge sull’immigrazione. E i magistrati non solo potevano, ma dovevano far rispettare la legge: guai se qualcuno, tanto più se è il primo cittadino, fosse autorizzato a calpestarle» (M. Travaglio, I gonzi di Riace, Il Fatto, 3 ottobre).
Leggendo commenti come questi viene da chiedersi qual è la libertà di stampa per la quale vale la pena battersi. Intendiamoci; la libertà di pensiero va sempre tutelata, così come di tutti gli strumenti con cui essa viene diffusa. Sono sempre stato un avido lettore di quotidiani, anche perché amavo gli stimoli che ricevevo dalle riflessioni dei corsivisti che non praticavano il cerchiobottismo, sempre aperti, rigorosi semmai, ma non categorici. Appassionati. Al limite suggestivi; insinuanti o corrosivi. Ma mai (o quasi) pretenziosi. Invece questo modo di descrivere ciò che si conosce poco, se non per nulla, tirando conclusioni definitive, vere e proprie sentenze, è l’esatto contrario di tutto ciò. Non è un ritorno di fiamma del cerchiobottismo, sempre presente. È il frutto amaro del buonsensismo (ossia l’opportunismo untuoso dei “buoni sentimenti” mascherato da buon senso) da prima serata del fine settimana di Rai Tre, o anche da lunedì di Rai Uno, ché ormai è lo stesso. Il gramellinismo dilagante. Genere di successo, per carità. Ma il cui successo spiega più di ogni altra cosa la situazione in cui ci troviamo. Il dire senza schierarsi, se non dopo, a partita finita, quando si sa chi è il vincitore. Comunque sempre da forti, sui deboli. Giammai viceversa.
E allora figurarsi se, sul tema di Riace, qualcuno può avere l’ardire di interpellare un giurista, magari anche un magistrato illustre come Livio Pepino che di certe cose si è occupato a lungo, per provare a comprendere tecnicamente la consistenza degli addebiti, se il sempre invocato “rispetto delle regole” vi sia stato anche da parte del giudicante e come sia possibile che per la pochezza delle imputazioni residue -alla luce dell’ordinanza del Gip- Mimmo Lucano sia privato, pur cautelarmente, della libertà personale. Ha voglia, proprio Pepino, a ricordare che la legittimazione dei magistrati è legata proprio al rigoroso rispetto delle regole e che la loro indipendenza ha il necessario contraltare giustappunto nell’esposizione alla critica (puntuale ed argomentata) delle iniziative e dei provvedimenti giudiziari.
No: il coraggio di criticare, motivatamente, con argomentazioni basate su un approfondimento tecnico i provvedimenti di un magistrato, non appartiene a questi nostri commentatori. E la dice lunga, in fin dei conti, sulla loro superficialità e sulla proporzionale perdita di autorevolezza della stampa nostrana.
Per questo, con Pietro Adami e con i Giuristi Democratici abbiamo deciso di illustrare, dandone la massima diffusione, il perché della inconsistenza logica e giuridica delle accuse alla base dell’ordinanza che applica la misura degli arresti domiciliari a carico del sindaco di Riace.
Dunque, i reati.
Vediamo l’art. 353-bis c.p.: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032”.
Già dalla lettura della norma emerge come sia inconsistente la contestazione di reato a Lucano. Lucano, con procedimento alla luce del sole, affida due appalti a due cooperative senza gara. Attenzione: non è vietato in assoluto l’affidamento senza gara nel nostro ordinamento. Si può fare per piccoli importi, per peculiari servizi (2012: codice appalti 163/2006 – art. 20 servizi All. IIb). Si può effettuare poi alle cooperative sociali di tipo B, ossia quelle dirette ai soggetti svantaggiati tra cui a stretto rigore non rientrano i rifugiati.
Riace costituisce presso il Comune un albo delle cooperative di tipo B. Questo albo viene votato dal consiglio comunale. Dopo di che gli viene affidato il servizio. Questo nel 2012. Poi servizio va in proroga di anno in anno. Nessuno obietta, nessuno impugna, anche se è tutto manifesto.
Di fatto, il consiglio comunale (e dunque non Lucano in prima persona) estende il concetto di tipo B. Ma nessuno -nessuno- trova da ridire.
Notoriamente, il nostro è un paese ricco di affidamenti che poi vengono annullati, e dunque dichiarati illegittimi.
Quasi nessuno configura la fattispecie penale di cui sopra. Allora, allo stato non v’è nemmeno mezzo indizio che induca a ritenere che Lucano “con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti” abbia turbato “il procedimento amministrativo”.
Dunque, non basta l’affidamento irregolare; occorre che sia fraudolento.
Di più: la frode dovrebbe cadere sullo “stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente”. Va da sé che l’interpretazione della norma, finalizzata a punire chi traffica sui bandi, sia stata adoperata in senso eccessivamente estensivo nel caso di specie.
Anche l’altro reato, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (che qualcuno che oggi in piazza grida al fascismo avrebbe dovuto provvedere ad abrogare quando ne aveva il potere), è fin troppo estensivamente letto. In particolare perchè i fatti riguardano 3 matrimoni. Uno accaduto molto tempo prima di cui non è chiaro l’apporto causale di Lucano; il secondo che lui stesso si rifiuta di celebrare, per ragioni etiche; il terzo in cui il soggetto neanche arriva in Italia. Si noti che i primi due erano già presenti in Italia.
In sostanza, sotto un primo profilo dovrebbe eventualmente essere contestato il tentativo. Sotto un secondo profilo occorre capire se chi “combina matrimoni” stia favorendo l’immigrazione clandestina o non piuttosto la ‘regolarizzazione’.
Circostanza importante: i matrimoni di cui si discute non sono nulli, ma solo annullabili. In definitiva, è ben diverso stampare un falso certificato di matrimonio, e favorire o consigliare un matrimonio, sulla cui illegittimità ci sarebbe da discutere. Chi dice che non ci si può sposare anche per solidarietà?