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Caccia al rifugiato, al confine il fuoco incrociato di Grecia e Turchia

Lacrimogeni e proiettili di gomma contro migliaia di migranti, respinti da entrambi gli eserciti.

La crisi politica tra Turchia e Unione europea non si ferma e schiacciati in mezzo continuano a esserci i profughi siriani. La frontiera di Kastanies, lungo il fiume Evros, è il simbolo di questa crisi: la polizia e i militari greci che presidiano ogni centimetro di confine, una rete con il filo spinato dietro la quale urlano i profughi siriani chiedendo di poter passare e, alle loro spalle, la polizia turca.

Sono le 9 del mattino quando dal cancello blindato della frontiera sentiamo i primi lacrimogeni partire: uno sparo ovattato, un rumore sordo che annuncia l’inizio di una lunga mattinata di scontri. La stampa non può avvicinarsi, siamo a poche centinaia di metri e si sentono bene le urla dei migranti e gli spari dei lacrimogeni.

Dopo un’ora il rumore degli spari non è più ovattato, i gas hanno lasciato il posto alle granate stordenti e poco dopo anche alle pallottole di gomma.

Quando la tensione scende ai giornalisti è consentito avvicinarsi fino a poche decine di metri dalla rete di confine: i siriani urlano ai giornalisti di aiutarli, di raccontare quello che sta accadendo loro, di denunciare. Intanto i militari greci e turchi continuano il loro gioco sporco sparandosi lacrimogeni a vicenda, soprattutto sparandoli contro i siriani. Un gioco a distanza che tiene in ostaggio qualche migliaio di persone.

Quando la tensione è altissima e sul fronte europeo si decide di schierare altri militari per aumentare la pressione sui profughi, i giornalisti sono invitati ad allontanarsi e tornare al punto di partenza, dietro il cancello della frontiera, potendo solo ascoltare e non guardare.

A fine giornata il bilancio è pesante: secondo le fonti turche ci sarebbero un morto e cinque feriti. La autorità greche smentiscono ma i video girati sul lato turco e caricati sui social network mostrano i feriti, anche gravi, colpiti proprio dai lacrimogeni e dalle pallottole di gomma.

Nelle campagne che accompagnano il fiume Evros verso il mare, l’esercito presidia ogni incrocio e capita spesso di vedere dei rifugiati bloccati lungo la strada, arrestati proprio dai militari. In serata anche gli agricoltori della zona di Kastanies hanno messo a disposizioni i loro trattori per presidiare la zona, partecipando a questa caccia all’uomo senza sosta, anche nei campi arati.

In totale secondo il governo di Atene, negli ultimi cinque giorni sono state arrestate 231 persone, 32.423 quelle fermate sul confine.

La tolleranza zero continua anche nelle isole greche, anche se in quel caso impedire completamente che arrivino via mare è impossibile. A Lesbo il sovraffollamento rischia di far implodere una situazione già molto complicata.

Ieri le autorità hanno radunato circa 500 migranti nel porto di Mitylene ma ancora non c’è una soluzione per loro. Il governo di Atene nei giorni scorsi si è affrettato a dichiarare illegali tutti quelli che stanno arrivando in questi giorni, sospendendo di fatto la Convenzione di Ginevra nel paese che è stato la culla della democrazia.

Però, nonostante gli appelli di propaganda, il premier Mitsotakis dovrà fare i conti con la geopolitica attuale, che non gioca a suo favore: l’Europa si lava le mani appoggiando la difesa delle frontiere greche ma al tempo stesso non redistribuendo i migranti nei 27 paesi membri, nemmeno in una formazione ridotta di volenterosi.

Erdogan, dal canto suo, ieri ha accusato proprio i paesi europei di non rispettare i diritti umani, immedesimandosi per un giorno nei panni di un paladino dei diritti. Sicuramente non accetterà che i profughi siriani siano riportati indietro e al tempo stesso non è possibile rimpatriarli in Siria, dove proprio la Turchia è impegnata militarmente al fianco di alcune organizzazione islamiste, contro il regime di Assad.

«Se i paesi europei vogliono risolvere la questione, devono sostenere gli sforzi della Turchia per soluzioni politiche e umanitarie in Siria». Il messaggio del “sultano” di Ankara a Bruxelles è molto chiaro e in vista dell’incontro di oggi con Putin, dove la Turchia spera di ottenere un cessate il fuoco immediato ad Idlib, l’Unione europea deve decidere se farsi carico della situazione accogliendo i migranti, se cedere alle pressioni turche e sostenerla nella battaglia nel nord-ovest della Siria, o se andare avanti con il braccio di ferro rischiando, oltre alla crisi diplomatica, una crisi militare con un paese membro della Nato e con un esercito tra i più organizzati al mondo.

Valerio Nicolosi

da il manifesto

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Il far west di Evros, tra unità speciali e nazionalisti armati

Nikos Argyriou, della rete di soldati di leva contro la guerra e il nazionalismo Spartakos, racconta la situazione sul confine greco-turco. «Ci sono gruppi armati a cui l’esercito ha affidato il lavoro sporco»

Tra i soldati di leva in Grecia, dove c’è ancora il servizio militare obbligatorio di 9 mesi, esiste una rete contro guerra e nazionalismo. Si chiama Spartakos e può contare sul supporto esterno di un comitato di solidarietà composto da civili. Sono loro che si occupano di diffondere le denunce che vengono da dentro l’esercito. Nikos Argyriou ne fa parte.

Cosa sta facendo l’esercito greco sul confine con la Turchia?

A dicembre il governo ha varato una legge che gli attribuisce compiti di sicurezza interna, funzioni di polizia. Adesso durante uno sciopero, ad esempio, potrebbe essere ordinato all’esercito di scendere in strada. Questa è la logica della legge, ma finora è stata applicata solo lungo le frontiere. Inizialmente i militari dovevano soprattutto avvisare la polizia della presenza di rifugiati affinché quella li arrestasse. Ma ci sono arrivate denunce di arresti fatti direttamente dai soldati. I genitori di alcuni militari ci hanno detto che ormai li addestrano ad ammanettare i migranti ed effettuare i respingimenti illegali.

Chi opera in questo momento nella zona di Evros?

Dalla chiusura della frontiera sono state trasferite alcune unità speciali dell’esercito, unità d’assalto. Poi ci sono dei «club» di ex soldati, ufficiali di riserva, pensionati, persone che hanno finito la leva. Sono estremisti di destra, militaristi, nazionalisti autorizzati a portare armi. E ancora, c’è la Guardia nazionale [in greco: Εθνοφυλακή, ndt], cioè corpi di volontari armati, che fanno parte dell’esercito e si trovano nelle zone di frontiera. Diverse denunce affermano che questi gruppi fanno «lavoro sporco»: danno la caccia ai rifugiati, li picchiano, li arrestano, li torturano, li respingono.

È vero che dal lato greco si spara? Il governo nega…

Ci sono video che mostrano gli spari sia delle unità speciali, che delle milizie di civili. Noi ieri abbiamo denunciato che le unità speciali trasferite a Evros hanno ricevuto istruzioni di sparare in aria o a terra per terrorizzare i rifugiati e metterli in fuga, di picchiarli e respingerli a ogni costo. Oltre a tutto ciò, il 4° Corpo Militare sta facendo nella zona esercitazioni con carri armati e artiglieria. Cosa analoga è successa nell’Egeo, con la Marina. Hanno dato l’ordine di sparare dritto, in orizzontale. Una cosa pericolosissima. Solo per caso non ci sono stati incidenti.

I rifugiati sono stati definiti «minaccia asimmetrica». Cosa significa?

L’esercito non combatte più come nella Seconda guerra mondiale, Stato contro Stato. La guerra è diventata una condizione generalizzata, contro il terrorismo, contro i migranti. Con lo stato di emergenza nell’economia hanno imposto i memorandum. Con lo stato di emergenza sul confine hanno trasformato i rifugiati in invasori, una «minaccia asimmetrica». Quindi l’esercito greco affronta il nemico invasore ed effettua deterrenza con tutti i mezzi a disposizione. Il governo deve recuperare a destra dopo la ritirata dei Mat [celerini, ndt] dalle isole, perciò usa una retorica nazionalista che contribuisce a fascistizzare la società. Ha dalla sua parte i media, che da mattina a sera bestemmiano contro i rifugiati, li presentano come nemici e plaudono al comportamento dell’esercito. Le cose vanno molto male.

Giansandro Merli

da il manifesto

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Il colonnello di Alba dorata a caccia di profughi: siamo patrioti

Al momento dei primi scontri, quando fin dall’alba le guardie di confine lanciano fumogeni e candelotti stordenti in direzione del confine turco, il collerico Dinos è già alla frontiera. Si parla di diversi feriti e di un altro rifugiato ucciso da colpi partiti dal versante greco. Atene smentisce. Ankara conferma, ma non mostra le prove.

Per Dinos questa è una guerra di propaganda. Ma è l’unica cosa su cui si può essere d’accordo con lui. Anche la notte precedente ha catturato migranti sfuggiti alla polizia per consegnarli al commissariato. Bicipiti gonfi e rosario al collo, Dinos Theoharidis non è un poliziotto, ma il capo delle squadracce anti-migranti. Si presenta così: «Siamo dei patrioti, come Salvini lo è in Italia».

Sulle prime può sembrare un chiacchierone tutto muscoli e frasi fatte. Ma da queste parti è lui il colonnello di Alba Dorata. Che non è solo la formazione politica di estrema destra. È anche il vessillo intorno al quale si riuniscono le ronde dei paramilitari in tuta nera.

Non fanno nulla per nascondersi. «Se intercettiamo degli stranieri, li fermiamo e li consegniamo alla polizia», spiega Dinos dall’alto del suo metro e novanta. «Come faccio a catturare i migranti? Ho i miei metodi», risponde mentre un ufficiale di polizia passa a salutarlo con gli ossequi che si devono a un rispettato veterano. C’è da prenderlo sul serio. Per quindici anni Dinos è stato un operativo nei corpi speciali dell’Esercito di Atene. E per un un soffio non è entrato nel Parlamento greco, «anche se adesso è qui che c’è più bisogno, tra la mia gente, non ad Atene».

Dinos Theoharidis. Il colonnello di Alba Dorata che guida i paramilitari di estrema destra nella caccia ai profughi che la Turchia spinge in Europa

Dinos Theoharidis. Il colonnello di Alba Dorata che guida i paramilitari di estrema destra nella caccia ai profughi che la Turchia spinge in Europa – da Avvenire

Loquace ma diffidente, Dinos non vuole essere ripreso. L’unico modo è fotografarlo di nascosto. A Kastanies e nei villaggi intorno tutti sanno e molti approvano. Di solito piomba con il suo fuoristrada Dacia, modificato come fosse un’auto sportiva: cerchioni scintillanti, gomme ribassate, la bandiera a scacchi sui fianchi. Da due giorni lo teniamo d’occhio. Sempre vestito di nero. Occhiali scuri anche al tramonto. Quando se li sfila mostra occhi di ghiaccio. Con uno come lui, tutti i cliché sui “giustizieri della notte” suonano come un facile copione.

Le squadracce si danno convegno nel tardo pomeriggio. Fedeli al nome, quelli di Alba dorata perlustrano fino al sorgere del sole l’argine dell’Evros e i sentieri tra i campi. Solo allora si sfilano i visori notturni. «Una volta – racconta con la consueta spavalderia – ne abbiamo bloccati 70 in un colpo solo». Dice di non fare nulla di illegale. «Tutti qui abbiamo almeno un fucile per andare a caccia», spiega, alludendo con una smorfia ai suoi “metodi”. «Non ci credi? Guarda qui».

E dal suo telefono stavolta fa partire alcune immagini, ma non concede che vengano rese pubbliche. È un campionario di “trofei di guerra”. Fra l’altro lo si vede tenere a bada con i suoi compari un gruppo di ragazzi terrorizzati, rincorsi e accerchiati nella boscaglia durante il tramonto. È successo pochi giorni fa. Poi, forse per errore, si avvia un altro filmato. Improvvisamente si fa incerto: «Non siamo stati noi a fargli questo, ma la polizia bulgara, te lo giuro».

Tre ragazzi, probabilmente asiatici, sono a torso nudo. Tremano. Con lo sguardo supplicano pietà. Hanno diverse ferite sul dorso. Uno di loro sanguina vistosamente dalla spalla destra, ma come gli altri tiene le mani dietro la testa. «Sono stati i cani dei militari bulgari – ripete Dinos sperando di convincerci –, noi li abbiamo solo incontrati alla frontiera e consegnati alla polizia». Anche in mattinata, quando ci è stato permesso di raggiungere l’area degli scontri, le guardie di confine di Atene avevano schierato i cani lupo.

Solo ieri, informa una fonte della polizia, durante le dodici ore di luce sono stati arrestati 11 migranti, 4.600 quelli respinti.

«La pressione di questa massa di povera gente è enorme», denuncia Sevastianos Rossolatos, arcivescovo di Atene che chiede aiuto all’Europa. Che risponde con pochi aiuti umanitari, ma più armi. Sabato arriveranno i primi uomini delle squadre di “risposta rapida” di Frontex, l’agenzia europea per i confini.

Il quotidiano Kathimerini, citando i vertici del Geetha, i reparti di terra dell’esercito greco, sostiene che le operazioni sono da ricollegare al respingimento dei migranti irregolari. In un video è possibile vedere militari in assetto da guerra che si esercitano lungo il confine sparando a dei bersagli.

Il “patriota Dinos” è contento di sapere che le forze speciali stanno arrivando qui. «La Turchia ci ha dichiarato guerra», scandisce. A dettare i tempi dell’attraversamento della frontiera non è solo il cinismo della politica. Tra poche settimane, quando la cresta bianca della piatta cordigliera comincerà a sciogliersi, il letto dell’Evros tornerà a gonfiarsi.

Passare sarà quasi più pericoloso che tentare l’attraversamento in barca dalle spiagge turche a quelle di Lesbo, dove ancora ieri ci sono state tensioni. E i profughi che si accalcano dietro il reticolato non sanno quando Erdogan li lascerà partire ancora una volta. Soprattutto non sanno che una volta superato il confine, ad attenderli ci saranno le mute di xenofobi agli ordini di un veterano.

Nello Scavo

da Avvenire