Insulti, minacce, violenza fisica e psicologica. E’ questo il quadro, desolante, denunciato in un rapporto redatto da alcune associazioni umanitarie che lavorano a Calais, che punta il dito contro l’operato delle forze dell’ordine nella città francese che si affaccia sulla Manica, da sempre approdo per quei migranti che vogliono raggiungere con ogni mezzo la Gran Bretagna.
Di certo questo non è il primo studio realizzato sull’argomento ma, questa volta, sotto la lente d’ingrandimento non ci sono gli abusi subiti dai migranti, ma quelli cui sono stati sottoposti i volontari delle associazioni. La relazione, dettagliata, è stata resa pubblica e consegnata martedì scorso al Difensore dei Diritti (un’autorità indipendente francese che si occupa di garantire il rispetto dei diritti dei cittadini) e contiene un elenco di 646 casi di abusi recensiti tra il novembre 2017 e il luglio 2018.
Le associazioni Utopia 56, Auberge des Migrants, Help Refugees e Refugees Infobus accusano direttamente le forze dell’ordine di comportamenti illegittimi ai danni dei volontari che lavorano sul campo con i migranti. Le fattispecie di abuso raccolte nel documento sono state divise in grandi categorie. Si va dall’impedimento fisico alle attività di sostegno agli espatriati ai controlli ripetuti e immotivati dei documenti dei volontari, fino alle minacce e alla violenza.
Il rapporto prende le mosse dalle testimonianze di 33 operatori che hanno raccontato un quotidiano fatto di intimidazioni e violazioni dei diritti e della deontologia professionale da parte dei membri delle forze dell’ordine.
Che l’obiettivo delle violazioni sia quello di scoraggiare ogni tipo di aiuto ai migranti risulta, secondo le associazioni umanitarie, abbastanza chiaro. In effetti, basta leggere alcuni dati presentati nel testo per capire come i controlli e le perquisizioni costanti ai danni dei volontari abbiano un carattere che va molto oltre la normalità del contesto francese.
E’ il caso delle perquisizioni corporali per palpazione. La stragrande maggioranza delle volte questo tipo di controlli ha riguardato volontarie di sesso femminile ed è stato spesso effettuato da poliziotti o gendarmi di sesso maschile, si denuncia nel rapporto. Un modo evidente per intimidire gli operatori, contravvenendo a ogni protocollo.
Ma non è solo nell’ostacolo alla distribuzione dei pasti e dei vestiti ai migranti o nei controlli ossessivi e ingiustificati, che si declina il tentativo delle autorità francesi di impedire il lavoro degli umanitari in quella che era la giungla di Calais.
Alle decine di casi di minacce, abuso d’autorità e insulti, si aggiungono i casi, 37 quelli recensiti nel rapporto, di violenza fisica da parte delle forze dell’ordine. Tutti gli abusi di questo genere hanno un comune denominatore: impedire che i volontari assistano o, peggio, filmino i comportamenti tenuti dalle forze di polizia. E allora, quando le intimidazioni, o le minacce, non sortiscono l’effetto desiderato, si legge nel rapporto, si passa alle tecniche violente di immobilizzazione o all’uso del gas urticante.
Le reazioni politiche alla pubblicazione del report sono state improntate al diniego, soprattutto da parte delle autorità locali.
La tesi delle istituzioni si basa sul fatto che nessuna denuncia circostanziata circa eventuali abusi subiti dagli operatori umanitari sia stata presentata davanti all’autorità che controlla l’operato delle forze dell’ordine (l’Igpn, o, come è volgarmente definita in Francia, la polizia delle polizie). Le associazioni rispondono, invece, che la consegna del rapporto al difensore dei diritti nasce proprio dal bisogno di coinvolgere e mettere a conoscenza un’autorità indipendente di quanto avviene a Calais, anche in virtù del silenzio della procura competente di Boulogne sur Mer e dell’estrema difficoltà, provata dai fatti, di far giudicare un membro delle forze dell’ordine per gli abusi commessi.
Soltanto un anno fa, sempre in un rapporto delle associazioni umanitarie, si denunciavano con forza gli abusi della polizia sui migranti a Calais. Lo studio pubblicato martedì apre un nuovo capitolo in questa vicenda.
da il manifesto