C’è il becero fotomontaggio di Anna Frank e ci sono stupidi sussidiari che seminano razzismo perfino a scuola. Ma ci sono anche narrazioni differenti con cui ribaltare pregiudizi, antisemitismo e razzismi e ripensare l’idea di Storia. Chi conosce, ad esempio, la storia della squadra multiculturale di calcio del Guber di Srebrenica… o la ribellione del pugile rom Johann Trollmann capace di mettere in ridicolo l’apparato nazista? E ancora, a proposito di storia contemporanea: quanti conoscono l’impegno antirazzista di tifosi e società del Bayern di Monaco?
I razzisti nascosti nella tifoseria laziale, hanno scelto di usare la “profanazione” dell’immagine di Anna Frank per metterle addosso un giubbotto romanista e rinnovare il messaggio antisemita. E noi, gli antirazzisti, che cosa siamo in grado di rispondere? Perché è inutile nasconderlo, l’Anna Frank in salsa razzisto-laziale-romanista ci fa precipitare tutti dentro il frullatore della comunicazione e se da antirazzisti ci limitiamo a condannare l’immagine antisemita, certo non abbiamo costruito una risposta comunicativa all’altezza, resta quella figurina indegna e intorno il nostro “no” e poco altro.
A Srebrenica, luogo del genocidio di più di 8.000 bosniaci musulmani avvenuto l’11 luglio del 1995, la squadra di calcio del Guber c’è ancora e ha resistito alla guerra. Il campo è a poca distanza da Potočari, dove oggi sorge il memoriale dedicato alle vittime, di fronte c’è il compound delle Nazioni Unite olandesi presso il quale chi cercava protezione fu venduto ai miliziani serbi di Mladic. La FK Guber era nata nel 1924 da un serbo e da un musulmano che avevano usato i propri campi di proprietà per ricavarne il terreno da gioco e dunque lo stadio; tutto sembrava finito sotto i cumuli di macerie e di morti della guerra, invece la Guber è tornata a giocare nel 2004, conservando la sua multiculturalità, a dispetto delle ferite subite dai componenti della rosa, sia che questi fossero serbi sia che questi fossero bosniacchi (bosniaci musulmani); a guidarla oggi è un presidente di origine rom.
Nel 1932 a Monaco, fu il presidente Kurt Landauer, uomo di origine ebraica, a portare alla vittoria il Bayern. Sotto il nazismo, appena un anno più tardi, la sua squadra fu additata come “semita” ed i trofei furono nascosti sottoterra, per evitare che fossero requisiti dalle autorità. Landauer fu deportato a Dachau dopo la Notte dei Cristalli del 1938; riuscì infine a salvarsi emigrando in Svizzera, mentre i suoi fratelli morirono nei lager nazisti. Oggi l’Allianz Arena, palcoscenico calcistico del Bayer, ricorda quel suo presidente su di una targa all’esterno del campo ed i tifosi del Bayern non hanno dimenticato quella storia e la fanno rivivere nel presente accogliendo alla stazione i gruppi di profughi, aprendo le proprie giovanili ai ragazzi appena arrivati e utilizzando striscioni che appendono contro il razzismo odierno.
In Italia nel 1927, era stato Romano Sacerdoti a diventare il presidente della squadra nata da una fusione che prese il nome di A.S. Roma; Sacerdoti era ebreo convertito alla religione cattolica, ma comunque fu inviato al confino prima a Ponza, poi a Ventotene per cinque anni. Andò peggio al professor Raffaele Jaffe che era salito alla presidenza del Casale Football Club (Monferrato) e che nel 1914 aveva vinto il tricolore. Nel 1927 si era convertito alla faede cattolica, ma dopo le leggi razziali era stato arrestato perché ebreo, inviato a Fossoli e da lì ad Auschwitz dove fu subito indirizzato verso le camere a gas; era il 5 agosto del 1944.
Ci sono stati altri sportivi che è necessario raccontare; come Johann Trollmann, il campione di boxe che i nazisti deportarono nel lager di Neuengamme, vicino ad Amburgo, perché appartenente alla categoria “zingari”, ma anche Otto Fritz “Hull” Harder, gloria del calcio tedesco che militò nella squadra dell’Amburgo e che fu SS nello stesso campo di concentramento in cui fu imprigionato Trollmann. È sempre una questione di scelta personale e di formazione. In questi giorni, a Benevento arriva il nuovo allenatore Roberto De Zerbi ed alcuni ultras hanno scelto di accoglierlo con lo striscione che recita: ” De Zerbi zingaro”, memori di ruggini trascorse nelle precedenti stagioni. Nel 1933, lo “zingaro” Trollmann scelse in maniera più coraggiosa e si presentò sul ring con una parrucca bionda e coperto dal bianco della farina che si era versato addosso: l’avevano obbligato a restituire la cintura di campione dei pesi medi che aveva conquistato e a sottoporsi a un ulteriore incontro con un gigante ariano dei pesi massimi. Trollmann cadde al tappeto così come era previsto dai nazisti, ma coprì di farina e di ridicolo l’avversario e l’intero apparato nazista (leggi anche Morto per il ko a una guardia SS).
Ad ogni storia, anche quella rilanciata dall’orrendo fotomontaggio di Anna Frank, può contrapporsi una narrazione differente ed opposta; farla esistere e contendere spazio al razzismo è il nostro compito più urgente, perché significa offrire strumenti e possibilità di scelta differente.
Luca Bravi
Docente presso il Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Firenze, è autore di numerose pubblicazioni sulla storia dei rom e dei sinti in Europa (legate in particolare ai temi dell’internamento) tra cui Tra inclusione ed esclusione. Una storia sociale dell’educazione dei rom e sinti in Italia (2009); Rom e non-zingari. Vicende storiche e pratiche rieducative sotto il regime fascista (2007); Altre tracce sul sentiero per Auschwitz (2002). Il suo ultimo libro è Percorsi storico-educativi della memoria europea. La Shoah nella società italiana (2014) per Franco Angeli.
L’articolo è stato pubblicato su radiocora.it. e su Comune-Info