Caltanisetta: Adnan, ucciso per aver difeso le vittime dei caporali
Pakistano di 32 anni, aveva convinto i braccianti a denunciare. Prima è stato minacciato e poi colpito a morte a coltellate. Arrestati cinque connazionali
Ucciso per aver difeso i diritti dei braccianti contro lo sfruttamento dei caporali. È la pista seguita dai carabinieri per l’omicidio del pakistano di 32 anni, Adnan Siddique, assassinato a coltellate la sera del 3 giugno a Caltanissetta nel suo appartamento, in via San Cataldo. Nei giorni scorsi i militari hanno fermato per il delitto quattro pakistani e un quinto per favoreggiamento. Secondo le indagini, il pakistano avrebbe raccolto le lamentele di alcuni suoi connazionali che lavoravano nelle campagne e avrebbe accompagnato uno di loro a sporgere denuncia. Era diventato il portavoce dei braccianti sfruttati. E questo non era tollerato. Infatti giá prima dell’omicidio la vittima aveva subito delle minacce. E anche questo era andato subito a denunciare.
Secondo la ricostruzione dei carabinieri la vittima, che per lavoro si occupava di riparazione e manutenzione di macchine tessili, aveva presentato una denuncia per minaccia proprio nei confronti di quelli che era sono accusati di essere i suoi carnefici. Coraggiosamente, perchè lui non tollerava le ingiustizie. Era arrivato in Italia dal Pakistan cinque anni fa con la speranza di costruirsi un futuro, lasciando a Lahore i genitori e nove fratelli. Una famiglia povera ma che lo aveva educato profondamente all’onestà. Adnan non faceva il bracciante, era un bravissimo operaio, esperto di manutenzione delle macchine tessili ma vedeva tanti suoi connazionali sfruttati, e non aveva girato la testa dall’altra parte. Li voleva aiutare, convincerli a denunciare. Disposto anche ad accompagnarli dai carabinieri, lui che conosceva bene l’italiani.
E alla fine ne aveva convinto uno a raccontare l’arruolamento agli incroci, lo sfruttamento sui campi, il salario in nero e tagliato dalle pretese dei caporali. Questi lo avevano saputo e lo avevano minacciato. Ma il giovane non si era arreso, tornando più volte in caserma. Era il suo carattere educato e gentile, come ricordano Giampiero Di Giugno, la moglie Piera e il figlio Erik, proprietari del bar nel centro storico, dove si fermava spesso per ordinare un caffè o una coca cola. Si era fatto subito amare tanto che a volte lo avevano anche invitato a pranzo da loro. In quelle ore insieme, Adnan aveva raccontato dei suoi sogni ma anche di quei connazionali che lo stavano minacciando. “Una volta è stato pure in ospedale – racconta la famiglia Di Giugno – lo avevano picchiato”. Jaral Shehryar, pakistano di 32 anni, titolare di una bancarella di frutta e verdura, conferma. “Era bravissimo, gentile – afferma – quelli che lo hanno ucciso no. Si ubriacavano spesso. Qualche volta andavano a lavorare nelle campagne ma poi passavano il tempo ad ubriacarsi e fare baldoria”. Adnan si era confidato con il cugino, che vive in Pakistan. “Aveva difeso una persona e lo minacciavano per questo motivo – riferisce Ahmed Raheel – Voleva tornare in Pakistan per la prima volta dopo tanti anni per una breve vacanza ma non lo rivedremo mai più. Adesso non sappiamo neanche come fare tornare la salma in Pakistan. Noi siamo gente povera, chiediamo solo che venga fatta giustizia”.
Questo omicidio “è un fatto gravissimo” scrivono in una nota congiunta i segretari della Flai Cgil Sicilia e Caltanissetta, Tonino Russo e Giuseppe Randazzo, ricordando come “i lavoratori agricoli pakistani rappresentano il 10% del totale dei lavoratori stranieri, comunitari e non, nella provincia e nella sola cittá di Caltanissetta il 20% dei lavoratori agricoli, la comunità straniera più numerosa. Confidiamo – aggiungono – nel lavoro degli organi inquirenti e delle forze dell’ordine e siamo fiduciosi che si possa arrivare alla verità, contribuendo a sradicare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro agricolo diffuso nella provincia”.
Antonia Maria Mira
da Avvenire