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Caltanissetta: detenuto di 46 anni si impicca in cella

Stavolta, dopo quattro tentativi di uccidersi, c’è riuscito. Impiccandosi nella cella del carcere “Malaspina” dov’era detenuto dal 9 gennaio 2010 dopo l’arresto e la condanna definitiva a 4 anni per detenzione illegale d’armi, mentre un’altra pena a 17 anni era pendente in secondo grado per avere abusato di una minorenne. Il nisseno Giuseppe Di Blasi, 46 anni ex dipendente del canile privato, ieri pomeriggio s’è tolto la vita annodandosi un cappio attorno al collo.
In pochi minuti il detenuto – recluso nella divisione di media sicurezza del carcere di via Messina – è morto soffocato. Era già troppo tardi quando un agente di custodia addetto alla sorveglianza s’è accorto che Di Blasi era penzoloni: ha provato a rianimarlo così come subito dopo hanno tentato, invano, gli infermieri del “118”. Che si tratti di un suicidio non dovrebbero esservi dubbi.
Un dramma interiore, profondo, che Di Blasi non è riuscito a superare. Il sostituto procuratore Elena Caruso che ieri ha effettuato un sopralluogo in carcere, ha aperto un’inchiesta delegata alla Polizia penitenziaria. Appena il 22 dicembre scorso, la Corte d’Appello che stava processando Di Blasi per le presunte violenze su una ragazzina e aveva disposto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale per sottoporla a perizia psicologica, aveva rigettato l’istanza di affievolimento della misura cautelare presentata dagli avvocati Massimiliano Bellini e Vincenzo Ferrigno, dopo i variegati tentativi di suicidi.
Due volte Di Blasi ingerì un eccessivo dosaggio di farmaci, poi tentò di impiccarsi, un’altra volta ingoiò le lenti rotte degli occhiali da vista. Tant’è che i legali, attraverso il consulente medico Carla Ippolito, avevano ribadito che Di Blasi era un soggetto affetto da una sindrome depressiva che lo rendeva incompatibile col regime carcerario e per questo andava curato in un ambiente familiare dove aveva la possibilità di sottoporsi “ad adeguati trattamenti psicoterapeutici”.
Nella perizia redatta dal dott. Vito Milisenna, nominato dalla Corte, si sosteneva che Giuseppe Di Blasi “poteva superare le problematiche in una struttura dell’Amministrazione penitenziaria dotata di servizi di psichiatria in cui il detenuto, affetto da disturbi psichici, poteva essere seguito e sorvegliato”, e la Corte aveva disposto la trasmissione degli atti al Dap per individuare una struttura idonea.
Di Blasi – che prima di finire in cella abitava al villaggio Santa Barbara – venne arrestato due anni fa quando la Polizia trovò una carabina, una pistola e alcuni munizioni dentro un borsone. Tre mesi dopo arrivò l’ordine d’arresto in cui era accusato di abusi sull’adolescente. E in primo grado, il Tribunale gli inflisse 17 anni di reclusione. Il suo destino adesso era legato alla valutazione dei giudici d’appello.
“Questa morte è una sconfitta per la nostra giustizia – dice amareggiato e addolorato l’avvocato Bellini. Spesso la carcerazione preventiva è un’ingiusta anticipazione della pena. Ricordiamoci che vale sempre il principio di presunzione d’innocenza. Sono davvero amareggiato perché la Corte d’Appello, decidendo di riaprire il processo, voleva approfondire la vicenda nella sua globalità. Purtroppo non ci siamo riusciti. Di Blasi s’è protestato sempre innocente e fin dal primo giorno aveva manifestato segni di cedimento. Molte volte abbiamo chiesto misure meno restrittive che i giudici di primo e secondo grado hanno rigettato”.

Nel luglio del 2010 il gelese Rocco Manfrè si tolse la vita nel bagno del carcere
È sempre difficile venire a conoscenza di ciò che accade all’interno di un carcere, per cui anche i tentativi di suicidio spesso riescono a restare circoscritti tra le mura della struttura di pena. Non è così invece per i casi che si risolvono nella morte del detenuto. Nella Casa circondariale “Malaspina” di via Messina (secondo la denuncia fatta all’inizio di quest’anno dalla Uil-Pa Penitenziari) nel 2010 s’è registrato un solo suicidio ed è quello di Rocco Manfrè, avvenuto a metà luglio. Aveva 65 anni.
L’uomo, indicato come esponente della famiglia gelese di Cosa Nostra capeggiata dagli Emmanuello, si impiccò nel bagno del carcere dove era stato rinchiuso 48 ore prima a seguito della operazione “Mantis religiosa” con l’accusa di essere stato, nel giugno del 1992, uno degli artefici dell’omicidio e dell’occultamento del cadavere di Agostino Reina, 32 anni, presunto esponente della “Stidda”. Manfrè aveva trascorso due notti in carcere. Non attese nemmeno l’incontro con il Gip di Caltanissetta che qualche ora dopo lo avrebbe dovuto sottoporre all’interrogatorio di garanzia. Alle 9.30 – dopo avere fatto colazione con altri sei detenuti con cui divideva la cella – Manfrè disse che sarebbe andato a fare la doccia. Utilizzando i manici di una borsa termica, l’uomo di impiccò legandoli al braccio della doccia.
fonte: La Sicilia

Comments ( 1 )

  • Anonymous

    Mi dispiace molto x la fine di questo giovane a soli 46 anni si e’ tolto la vita xrche’ la giustizia se ne fregata, lui a sempre gridato la sua innocenza e nessuno gli ha dato ascolto gli unici che hanno creduto a questo povero uomo sono stati i fratelli e le sorelle e la madre che, angoscia e che delusione che provo in un paese come l’Italia si condanna gente innocente solo xrche’ si crede a un minore e perdipiu’ schizzofrenica io non riesco a congepire come si puo’ in un paese come il nostro condannare le persone senza aver x, certo accertato il reato. Mettere le manette x portalo in ospedale ad un essere umano che malato provato visibilmente e disprezzarlo fino all’ultimo sono delusa di questo sistema di come funziona un’altra vittima della nostra mala giustizia. O visto in televisione un agente della penitenziaria che a violentato dei minori che erano detenuti, a lui gli hanno concesso i domiciliari mentre a questo operaio lo hanno fatto morire x la disperazione che non lo hanno creduto e il gesto che ha fatto era l’ultimo suo grido di dolore, ora mi chiedo la legge non dovrebbe essere uguale x tutti da quello che ho visto da questo agente penitenziario non e’ cosi,’ visto che a lui gli hanno concesso i domiciliari. Mi stringo forte al dolore che hanno provato i familiari di questa persona sono vicini a loro e spero che avranno giustizia nei riguardi di quegli agenti che dovevano sorvegliarlo e non l’anno fatto. Spero anche che la giustizia sia questa volta esemplare nei confronti di chi doveva sorvergliare e vengano puniti con la massima pena giudiziaria xrche’ almeno qui il reato c’e’ si tolto la vita xrche’ non l’anno controllato. Io non vi nego x me la giustizia non esiste, esiste solo xrchi’ cia i soldi.Faccio un grossissimo Augurio alla famiglia di questo innocente che abbiano giustizia.