Cannabis, un referendum per svuotare le carceri e le aule di tribunale
- febbraio 15, 2022
- in antiproibizionismo, misure repressive
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Un detenuto su tre finisce in carcere per la violazione di un solo articolo della Legge 309/90 che contribuisce drasticamente al sovraffollamento delle carceri. Allo stesso tempo, la normativa ha limitato ulteriormente le libertà di centinaia di migliaia di consumatori, imponendo sanzioni amministrative che colpiscono particolarmente persone socialmente ed economicamente inserite
In data 8 gennaio 2013 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo per violazione dell’art 3 della Cedu, che come noto sancisce il divieto di praticare trattamenti inumani e degradanti. La Corte prendeva atto della drammatica condizione di vita dei detenuti all’interno degli Istituti di pena italiani obbligando lo stato a rimediare attraverso una serie di misure deflattive, volte a ridurre il sovraffollamento carcerario.
All’epoca dei fatti la popolazione detenuta superava le 64.000 persone con un tasso di sovraffollamento vicino a percentuali ignobili per un paese Ue e firmatario di Convenzioni internazionali contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. A tal proposito il legislatore, in data 23 dicembre 2013, emanava il cd. “Decreto svuota carceri” D.L. n° 146, successivamente convertito in legge, con modificazioni, in data 21 febbraio 2014, n° 10 “Misure urgenti in tema di diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria”.
All’interno di quel corpo di misure veniva riformulata una parte dell’art.73 comma 5 del D.P.R 309/1990 riducendo la pena comminata per reati previsti dal presente articolo in relazione alla lieve entità. Un intervento necessario per tentare di arginare i numerosi ingressi in carcere per possesso e detenzione di quantitativi modesti di sostanze stupefacenti. Nel 2014 la sentenza della Corte Costituzionale 32/2014 dichiarava l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49 meglio conosciuta con il nome dei suoi firmatari Fini-Giovanardi.
Sono passati sette anni da quella pronuncia che di fatto ha ripristinato i meccanismi sanzionatori ex art 73 del Testo unico D.P.R.309/90 con ricadute significative sui numeri del carcere, in discesa rispetto a quelli in cui la Legge Fini-Giovanardi è rimasta in vigore, ma pur sempre preoccupanti rispetto al numero delle persone che entrano nei circuiti penali e repressivi della legge. L’avvento della pandemia da covid -19 ha avuto ricadute anche sui numeri del carcere che sono tornati a scendere nel 2020 di circa 8.000 unità grazie ad una serie di misure varate dal Governo unitamente alla concessione di misure non custodiali da parte dei Tribunali.
Nelle galere italiane al 28 febbraio 2021 i detenuti erano 54. 372. Il 35% della popolazione detenuta si trova in carcere per violazione del D.P.R 309/90, principalmente degli artt. 73, 74.
L’applicazione delle misure restrittive di sanità pubblica necessarie per contenere la trasmissione del virus si è abbattuta in tutti i settori della vita, compreso l’uso e il consumo di droghe, dei mercati della droga, dei setting e della diffusione sul mercato illegale di quaranta nuove sostanze psicoattive. Da anni le nostre associazioni Antigone e Cild documentano con ricerche, analisi e rilevazioni riportate anche all’interno dei Libri Bianchi sulle droghe come la nostra normativa continui ad essere centrata sul sistema penale, piuttosto che su politiche pubbliche di governo e regolamentazione del fenomeno, il cui effetto è quello di riempire le carceri di persone che usano droghe, per le quali la detenzione rappresenta un danno profondo per la loro immagine sociale e per la propria vita.
Un detenuto su tre risulta infatti finire in carcere per la violazione di un solo articolo della Legge 309/90 che contribuisce drasticamente al sovraffollamento delle carceri. Allo stesso tempo, la normativa ha limitato ulteriormente le libertà di centinaia di migliaia di consumatori, imponendo sanzioni amministrative che colpiscono particolarmente persone socialmente ed economicamente inserite.
La Relazione al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze 2021 ( i dati raccolti sono del 2020) parla espressamente di un 74% delle oltre 32.879 segnalazioni ex art 75 Testo Unico stupefacenti per detenzione di cannabis e di un 19% per cocaina. Il 97% delle segnalazioni riguarda minorenni alla loro prima segnalazione. Tuttavia se il 68% dei procedimenti amministrativi si conclude con una ammonizione il 31% è oggetto di applicazione di sanzioni amministrative con le conseguenze para penali che esse prevedono. I programmi terapeutici sebbene rappresentino una valida risposta alla segnalazione amministrativa risultano residuali. Solo l’1% aderisce al programma presso i SerD territoriali.
La Relazione al Parlamento ci racconta che tra i molti effetti della pandemia vi è quello di non aver aggiornato i numeri dei sistemi di rilevamento e tracciamento in seno al Ministero dell’Interno e della Giustizia. Il comparto dei lavoratori della giustizia in smart working non ha proceduto alle ordinarie iscrizioni al Casellario, si è così registrata una riduzione di circa il 30% nell’inserimento dei dati nel Sistema Informativo del Casellario.
Nel 2020 i soli condannati per reati di droga sono stati 10.578 un numero in flessione se confrontato alle condanne dell’ultimo triennio. Tuttavia è la Relazione Europea sulla droga a cura di Emcdda che traccia un quadro ancora più allarmante. Il calo dei reati legati al mercato della droga non coincide con la diminuzione dell’offerta considerato l’aumento delle produzioni globali di droga che seguono ed intercettano i cambiamenti sociali imposti dalla pandemia e le sfide di un mercato in continua trasformazione.
Le operazioni di Polizia finalizzate al contrasto della cannabis sono state 12.066 con sequestri di kg 19.868,69 per la marijuna e di kg 58.827,66 per tutte le sostanze. Sono state sequestrate 414.396 piante di cannabis con in testa la Regione Campania per il più alto numero di sequestri.
I Tribunali accusano gli effetti della legislazione antidroga che solo nel 2020 ha prodotto 92.875 procedimenti penali per la sola violazione dell’art 73 Testo Unico. Sono state coinvolte 189.707 persone tra uomini e donne. Sono invece 45.467 le persone che rispondono ex art 74 D.P.R.309/90 ( associazione finalizzata al traffico) con un numero pari a 4.681 procedimenti penali l’anno. Le cifre nel caso di specie sono superiori al 2019.
L’enorme mole di procedimenti giudiziari pesa come un macigno sul comparto della giustizia, e in generale, sull’organizzazione degli uffici dei Tribunali producendo tempi di fissazione delle udienze lunghi e dilatori: solo il 46% dei procedimenti si trova in primo grado del giudizio, il 13% in secondo grado e l’1,0% in terzo grado.
Un altro grande tema è quello della recidiva regolata ex art 99 c.p., che nel caso dei reati de quo balza in avanti con il 29% dei soggetti imputati per violazione del T.U.
Le denunce ex art. 73 sono state 28.889, di cui 13.586 solo per cannabis mentre quelle per art. 74 sono state 3.372. Gli arresti 20.641 mentre dalla libertà sono state denunciate 10.414 persone di cui 10.192 stranieri. L’età media dei soggetti denunciati si attesta tra i 20 /24 anni. È chiaro che il maggiore detonatore degli ingressi in carcere resta ad oggi l’art. 73, architrave del D.P.R. 309/90.
Il fenomeno della droga, benchè trattato principalmente in chiave criminale dovrebbe essere affrontato e declinato a tema di salute pubblica. La salute delle persone tossicodipendenti in carcere è consegnata alle Asl, ai SerD, e sempre più sovente ai servizi di igiene mentale la cui area nelle carceri si dipana tra i consumatori di sostanze che nel corso della detenzione sviluppano disturbi mentali e del comportamento.
Una ricerca di intervento nelle carceri italiane del Ministero della Salute ha evidenziato che dei 15 interventi chiave raccomandati dall’OMS nel 2013 soltanto alcuni (tra cui informazione, formazione ed educazione, screening, counseling e trattamento HIV, prevenzione tubercolosi) vengono realizzati, ma quasi sempre soltanto in maniera estemporanea e non arrivano a coprire tutta la popolazione detenuta, mentre altri sono totalmente disattesi (in particolare la distribuzione di preservativi, aghi e siringhe o la prevenzione della trasmissione di malattie infettive tramite tatuaggi e piercing).
L’Oms nel documento inviato al nostro Paese pone particolare attenzione sul tema delle malattie infettive e sui rischi di infezione della popolazione detenuta rispetto a quella libera. Per questi motivi è utile ricordare e richiamare la definizione di salute, elaborata dall’OMS, per cui salute è “uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia o di infermità”. A tale proposito –repetita iuvant- l’art. 27 comma 3 della Costituzione italiana rammenta che “umanità e riabilitazione” sono concetti fondamentali che nel caso delle persone che usano sostanze debbono poter essere soddisfatti attraverso interventi qualitativi, di politiche pubbliche per l’attuazione del Dpcm sui nuovi Lea, da una logica di alternativa alla stigmatizzazione e patologizzazione delle persone che usano droghe, centrata sull’empowerment e il sostegno alle competenze nella valutazione dei rischi, sulle strategie di autoregolazione dei consumi personali e di apprendimento sociale in una logica proattiva di Tutela e Promozione della Salute.
In questa ottica si inserisce la proposta referendaria del Comitato promotore del Referendum cannabis. Una scelta, quella di abrogare quella condotta oggi vietata, come la coltivazione in forma domestica, e con questa, l’abrogazione delle pene detentive per tutte le 22 condotte censurate per le sostanze in tabella II e IV. Un referendum in nome della tutela della salute pubblica e di quella delle giovani generazioni affichè non ci siamo mai più casi Cucchi e Aldrovandi.