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Cara Gabanelli, il “fermiamoli a casa loro” è una manovra elettorale a spese dei migranti

Da una parte “i muscolari”, dall’altra le “anime belle”. A quanto pare, anche per Milena Gabanelli l’operato del ministro dell’Interno Marco Minniti rappresenta l’unica risposta possibile al “problema” dei migranti che arrivano nel nostro Paese. Ogni altra posizione è populista. “Non c’era alternativa, il mio sostegno al ministro Minniti è totale” dice a Radio Cusano Campus Gabanelli, e cita da un lato il “nastro trasportatore” rallentato grazie alle nuove regole e dall’altra l’accordo con la Guardia costiera libica. O si fa così, dunque, oppure le “ventate populiste” travolgono il paese e influenzano l’esito delle prossime elezioni politiche. “La gestione dei flussi è un problema come tutti gli altri, va governato con competenza”, e la giornalista che ha creato e condotto Report per anni, riconosce al titolare del Viminale le capacità giuste per risolvere il problema.

MODELLO ITALIA
Che cosa significhi questa “ordinaria gestione” lo apprendiamo dal vertice di Parigi sulle migrazioni, al termine del quale pare abbia prevalso proprio il “modello Italia”. Al centro, la procedura d’identificazione fatta su suolo libico e nei paesi confinanti, con l’impiego di militari e rimpatri immediati nei Paesi d’origine, e la concessione dell’asilo nei paesi di provenienza in base a liste vagliate dall’Unhcr. Nessuna possibilità per i cosiddetti “migranti economici” che, come ha confermato al vertice anche da Angela Merkel, non potranno far altro che rientrare in patria. E poi altri accordi come quello tra Italia e Libia, che il presidente Francese Macron ha definito “esempio perfetto” di ciò che i Paesi europei intendono mettere in campo.

Dunque pugno duro in casa e migranti fermati nei paesi di transito, dove un filtro decide chi debba arrivare sull’altra sponda del Mare Nostrum. La linea scelta dall’Italia e dall’Europa non convince molti addetti ai lavori e alcune associazioni si stanno mobilitando per reagire a un assetto che passa dall’ormai diffuso “aiutiamoli a casa loro” al “fermiamoli a casa loro”.

QUESTIONE DI SOLDI
Il vicepresidente dell’Arci, Filippo Miraglia, conferma l’impostazione “pre-elettorale” dell’esito del summit e fa notare come siano in realtà i soldi dati ai governi – vedi i 6 miliardi di euro alla Turchia – a fermare i flussi, senza che ci sia alcuna garanzia sul rispetto dei diritti delle donne e degli uomini in fuga. Poi spiega che l’individuazione di rifugiati in Libia con il trasferimento in Europa (e un ricollocamento che li distribuisca in tutti i Paesi ma del quale ancora non c’è traccia) riguarderà solo poche migliaia di persone rispetto ai milioni in movimento a causa di guerre, persecuzioni e disastri ambientali. Miraglia rilancia per questo l’appello Io preferirei di no, che chiama a raccolta “chi pensa che la fuga dalla guerra e dalla fame sia un diritto e l’accoglienza un dovere”.

ACCORDI CON LE MILIZIE
Ma i punti deboli dell’iniziativa assunta a Parigi, come evidenziato da più parti, non si fermano qui. Intanto, rispetto agli accordi con “la guardia costiera libica” c’è chi fa notare che di fatto non si tratta di un vero ee proprio corpo unitario, perché – spiega Fulvio Vassallo Paleologo della Clinica legale per i diritti umani di Palermo – “esistono vari comandanti che rispondono alle milizie locali, e spesso si tratta delle stesse milizie colluse con i trafficanti che hanno garantito finora la “sicurezza” degli impianti di estrazione di gas e petrolio”.

CHE NE SARÀ DEI RIFIUTATI?
Al di là delle preoccupazioni per il rispetto dei diritti umani, c’è poi il timore che, nelle more delle procedure di identificazione e di rilascio dello status di rifugiato, milioni di disperati possano concentrarsi nel Sahel attorno ai centri di identificazione dando vita a “jungle” come quella smantellata lo scorso anno a Calais, in Francia. E infine, c’è da chiedersi cosa ne sarà dei migranti economici? Centinaia di migliaia di persone, vistosi negato il permesso di attraversare il Mediterraneo, dovrebbero in teoria fare ritorno nel Paese di origine. Cosa accadrà a quelli che non lo faranno? Chi ci assicura che non si apra un nuovo mercato dei rifiutati?
Ma tutto questo non rientra nell’ordinaria gestione dei flussi. E soprattutto non influisce sulle campagne elettorali dei nostri leader. Come dice Gabanelli dunque, lasciamo che a preoccuparsene siano le anime belle, senza che però disturbino il manovratore.

Raffaele Lupoli

da il salto

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L’eroina democratica

Nonostante la defenestrazione della sua storica conduttrice, non siamo ancora riusciti a liberarci di Report, la bibbia televisiva della sinistra giustizialista. In compenso da ieri speriamo di esserci liberati del mito della Gabanelli, la giornalista forcaiola che in un impeto di sincerità ha dichiarato «l’appoggio totale al ministro Minniti». L’appoggio riguarda “l’accordo con la Libia” (che non è un accordo con “la Libia”, ma con alcune fazioni che controllano il passaggio dei migranti sul proprio territorio), ma laddove l’eroina democratica si è superata è sulla vicenda dello sgombero di piazza Indipendenza: «La legalità è come il lavoro, è neutro, non può essere di destra o di sinistra […] Come è possibile che un palazzo come quello sia stato occupato? […] Quello era un edificio presidiato […] E’ arrivato un gruppo di energumeni [i senza casa] a dire o sloggiate voi o vi facciamo sloggiare con la forza». Questa la caratura di un personaggio divenuto nel tempo portavoce delle istanze della sinistra forcaiola. In Italia c’è sempre più una “questione Minniti”, attorno alla quale è in corso un posizionamento ideologico che racchiude una visione del mondo. L’operato di Minniti è riuscito meritoriamente a svuotare di senso le etichette politiciste presenti in Parlamento: destra, centro e sinistra (articolazioni parlamentari del clan liberista) rimescolano le proprie apparenti differenze per ritrovarsi attorno all’appoggio o meno alle politiche del ministro. E se non tutti i critici di Minniti possono annoverarsi tra gli “amici del popolo” (pensiamo a Saviano o alle gerarchie vaticane), di sicuro i nemici risiedono tra chi in questi mesi sta promuovendo la guerra ai poveri avviata dal ministro. E’ uno spartiacque, utile anche a fare chiarezza all’interno di una sinistra in crisi di giustizialismo.

da militant-blog

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Avanti Savoia

Lo spettro Sabaudo torna ad aggirarsi per l’Italia. La ciliegina sulla torta ce l’ha messa la popolare ex conduttrice di Report, Milena Gab(b)anelli, prendendo parte a sostegno del ministro degli Interni Minniti, della sua visione della società e del suo “pragmatismo” nella soluzione del problema immigrazione.

In un passaggio successivo dell’intervista rilasciata a Radio Cusano, la Gab(b)anelli opera poi una piegatura dei problemi generali agli interessi di pancia: i propri. “Come è possibile che un palazzo come quello sia stato occupato? Quello era un edificio presidiato, perché gli uffici che occupavano quello stabile si erano trasferiti. In attesa di trovare nuovi inquilini era stata messa una organizzazione di security a presidiare l’edificio. E’ arrivato un gruppo di energumeni (gli occupanti nel 2013, ndr) a dire “o sloggiate voi o vi facciamo sloggiare con la forza”. Ma quello stabile è di Idea Fimit, la più grossa SGR italiana. Bisogna organizzarsi per rendere sempre produttivo quello stabile, perché al valore di quello stabile è legata la mia pensione, il più grande azionista di quella SGR è l’Inps”. Nulla di originale, visto che gli stessi argomenti erano proposti da IlSole24Ore), con una firma un po’ più “popolare”….

Non sappiamo se effettivamente la Gab(b)anelli tema per le casse dell’Inps come altri lavoratori o abbia invece investito sulla sua futura pensione negli assai più generosi trattamenti previdenziali dell’Inpgi (l’ente previdenziale dei giornalisti, ndr).

La sincronia tra discorsi generali e interessi di bottega è parte delle umani miserie, ma diventa tossico quando viene manifestata da personaggi pubblici che con inchieste e denunce, negli anni, hanno acquisito credibilità, consensi, simpatie per restituirne poi – nei momenti decisivi – messaggi funzionali al potere costituito. Lo abbiamo già visto con i Benigni, i Santoro e i Lerner nel referendum sulla controriforma costituzionale del dicembre scorso.

Ma l’endorsement della Gab(b)anelli al ministro Minniti è solo un aspetto di una gigantesca regressione politica, civile, democratica e sociale in corso nel paese dal 2011, quello del governo Monti e Fornero, quello della lettera della Bce. Questa regressione è pregna di un modello di società e di relazioni sociali che non richiama tanto il ventennio fascista quanto il “modello Sabaudo”, quello della monarchia piemontese che divenne dominante in tutta Italia dalla seconda metà dell’Ottocento.

La rigidità, il cinismo ed infine la brutalità del regime sabaudo vengono studiati pochissimo e compresi ancora meno. Solo pochi ne hanno colto l’essenza, indagando però solo sulla spietata repressione del brigantaggio nel Meridione o sulle cannonate contro il popolo affamato ordinate dal generale Bava Beccaris.

Il modello Sabaudo è quello che importò il bonapartismo in Italia nella realizzazione di un unico paese rimasto però disuguale e oggi ancora fortemente – e forse maggiormente – asimmetrico rispetto a quello del passato.

Il modello Sabaudo è fortemente centralista intorno allo Stato (ieri monarchico oggi repubblicano) e al dogma delle sue leggi, anche quelle sbagliate. Il modello Sabaudo è autoritario nell’essenza. Aveva una logica coloniale che ha attuato prima brutalmente nel Meridione, poi nel Corno d’Africa e in Libia. Ha operato una feroce concentrazione delle risorse nel nord del paese sottraendole al resto. Mantenendo e alimentando quella disuguaglianza che rende nuovamente attuale e irrisolta la “quistione meridionale”, come la definiva Gramsci.

I dati dell’oggi ci dicono che quella logica sta funzionando ancora e con maggiore forza. Le risorse, i finanziamenti, le tecnologie del nostro paese si sono via concentrate nel 20% di imprese che fanno l’80% del valore aggiunto e delle esportazioni in Italia, e quelle imprese sono concentrate geograficamente in un’area che comprende Lombardia, un parte del Triveneto e dell’Emilia-Romagna. In due di queste regioni a ottobre si terranno dei referendum che chiedono una ulteriore autonomia fiscale dal “centro”, per poter aumentare le risorse a disposizione delle imprese.

Ma sono anche le regioni che danno maggiori consensi elettorali ai “moderati” e al Pd, tendenzialmente unificati in un partito bonapartista ben rappresentato da Minniti. I suoi diktat “legalitari” coincidono pienamente ed ideologicamente con quel senso comune in cui – indipendentemente dalla pruderie leghiste – riemerge con forza lo spirito Sabaudo del “noi siamo il motore del paese, gli altri si fottano”.

La crescente asimmetria sociale, economica, politica del nostro paese viene poi incentivata dal bulldozer “europeista”, che segue la stessa logica, legando al suo “nucleo duro” solo le regioni più ricche mentre precipita nelle periferie d’Europa quelle più povere.

Per gestire questa escalation delle disuguaglianze sono necessari autoritarismo e ideologia, non bastano più le slide e le smorfie d’avanspettacolo. Manganelli, leggi, visioni che si pretendono incontestabili e assolute. Da monarchia sabauda, appunto.

A questo servono i Minniti e le Gab(b)anelli.

Sergio Cararo

da Contropiano