Menu

Cara Ilaria ti stringo, e laddove non è arrivata la giustizia ancora e sempre la nostra solidarietà

«In questo Paese bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze». E’ questa la dichiarazione di Gianni Tonelli, segretario sindacato polizia Sap.

Solo pochi giorni fa operai sono stata presi a manganellate dalla polizia durante una manifestazione. Oggi la disarmante notizia dell’assoluzione di tutti nel caso seguito alla perdita della vita di Stefano Cucchi. Viviamo una realtà che giorno dopo giorno priva le persone dei propri diritti, persino della libertà di manifestare per la loro stessa affermazione.
Ogni giorno, dunque, siamo un po’ più tristi in questo paese.

Sono due le motivazioni per cui l’affermazione di Tonelli mi ha lasciata basita. Intanto non possiamo mai dimenticare che dietro a ogni uomo c’è una storia, una vita. Non è possibile, mai, trascurare che gli uomini vivono anche di debolezze, e ricordare che qualche volta in alcuni queste stesse debolezze si trasformano in “dipendenze”.
E’ così che le persone qualche volta perdono la capacità di prendersi cura di se stesse. Non è “disprezzo per la propria condizione”, è incapacità di badare alla propria salute. E questo non significa spogliare l’uomo della propria dignità, fatto che invece oggi avviene alla vita che è stata di Stefano e accade perché provocato anche da queste parole di Tonelli.

Possiamo forse ignorare e non ricordare il problema che Stefano aveva con la droga? Ilaria non l’ha mai negato, ha ribadito spesso che il fratello doveva essere aiutato. E invece? Invece dobbiamo ricordare che Stefano è morto, sì, ma dopo essere stato pestato di botte e poi lasciato a morire di fame e di sete.
E allora cosa significano le parole del segretario del sindacato? Vuol dire voler ammettere, forse, “Che ci sono uomini che disprezzano la loro vita, che questo li porta a drogarsi e allora è ammissibile che vengano picchiati e lasciati a morire?”. Perché non parlare di persone incapaci di prendersi cura di se stesse e che dunque lo stato dovrebbe aiutare, conservando per loro un alto grado di umanità?

Ha fatto bene dunque Tonelli a pronunciare la parola “responsabilità”, perché davanti all’assoluzione di oggi siamo tutti responsabili. Noi siamo qui, tutti, responsabili nel sentirci fratelli, sorelle, molte donne “madri” di Stefano, a domandarci cosa avremmo potuto fare per Stefano finché era in vita, cosa faremmo oggi, cosa faremo per gli altri… ma le istituzioni oggi, davanti a tutti, sono responsabili, e quasi sfacciati, nel presentarci una sentenza che ha assolto tutti.

Ha assolto tutti, medici compresi, senza consegnare a noi cittadini e alla famiglia di Stefano neanche la consolazione di poter dire, “Stefano non c’è più, ma abbiamo la giustizia”.

No. Ancora una volta ci fanno cittadini muti, ciechi, sordi, solo pronti a prenderci, sorbire e assorbire la loro verità. Una verità atroce, incondivisibile ed espressa senza vergogna alcuna. C’è un sentimento molto delicato che amo e riconosco, quello della vergogna legato al rispetto della vita degli altri. Un sentimento dimenticato, ormai sconosciuto.

Ho avuto l’occasione di intervistare Ilaria e di lei ricordo una malinconia nello sguardo oscurata e vinta dalla forza e dalla voglia di credere che la giustizia avrebbe fatto il suo dovere per “riconsegnarle” Stefano.

Ricordo lo scorso anno quando Giovanardi ha sostenuto che Ilaria strumentalizzava la morte del fratello per entrare in politica. E lei, alla mia domanda, su cosa avrebbe voluto rispondergli in merito, senza battere ciglio mi ha risposto: “ A Giovanardi direi che avrei preferito usare me stessa per porre fine al suo calvario. Non è stato così e allora, oggi, strumentalizzo la mia esperienza e il mio dolore per provare a evitare che questo possano viverlo anche altre persone”.

Oggi, purtroppo, ancora una volta, il dolore della famiglia Cucchi, così come la rabbia, è il nostro. Appartiene a noi tutti che siamo qui col desiderio di raggiungere l’intera famiglia, perché, Cara Ilaria, ti stringo, e laddove non è arrivata la giustizia c’è ancora e sempre la nostra solidarietà.

Isabella Borghese da ControlaCrisi