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Carcere di Asti: Confermate le condanne per le violenze di due poliziotti penitenziari

La Corte di Cassazione ha chiuso la vicenda dell’aggressione avvenuta nel carcere di Asti nel 2010. Dichiarando inammissibile il ricorso, sono state confermate le condanne inflitte a due poliziotti penitenziari (un sovrintendente e un agente) che pestarono il giovane C.G., “colpevole” di essersi convertito all’Islam.

Un’aggressione islamofoba, avvenuta nei locali dell’infermeria, che aveva causato lesioni guaribili in 30 giorni.

In primo grado il giudice aveva inflitto condanne superiori ai 2 anni, poi ridotte in appello a 1 anno e 5 mila euro di risarcimento del danno.

La vicenda è stata recentemente esaminata dal Comitato ONU per la prevenzione della tortura, su segnalazione di Antigone.

Pochi anni prima, nel carcere di Asti erano avvenuti i violenti pestaggi nel reparto di isolamento, classificati come atti di tortura dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Oggi C.G. si trova ancora in carcere e non può ottenere il trasferimento nell’istituto più vicino a casa perché uno degli agenti condannati è in servizio in quel carcere.

È molto importante ora che il ministero della Giustizia assicuri protezione al detenuto e che sempre più nei programmi di formazione dello staff si parli anche di libertà religiosa” è il commento sulla vicenda di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.

L’Associazione Antigone ha anche ripercorso il 2017 come anno carcerario con numeri alla mano. Si confermano le condizioni drammatiche delle prigioni italiane tra sovraffollamento, strutture fatiscienti e gravi condizioni igieniche.

Il tasso di affollamento ha raggiunto il 115%, mentre la manutenzione si conferma scarsa, con un quarto degli edifi carcerari la cui costruzione risale prima del 1900.

Si mantiene stabile il dato strutturale dell’abuso della custodia cautelare. I detenuti in assenza di condanna rappresentano il 41%. I migranti, invece, sono in dimunizione, ma rappresentano ancora una quota consistente della popolazione carceraria con il 34%. Questo è dovuto ad una serie di elementi: dalle scarse conoscenze giuridiche e linguistiche, fino alle condizioni sociali, dove l’assenza di una famiglia e di un’abitazione non permettono forme alternative di detenzione.

Sicuramente un dato negativo del 2017 è un aumento della detenzione, nonostante il permanere di condizioni drammatiche.

Il report di Alessio Scandurra dell’associazione Antigone a Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica l’intervista