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Carcere di Augusta, due detenuti morti per sciopero della fame

Due detenuti, entrambi ristretti nel carcere di Augusta nel Siracusano, sono deceduti in ospedale a distanza di un mese l’uno dall’altro per le conseguenze di uno sciopero della fame.

Il primo a perdere la vita è stato un siciliano, spirato ad aprile; l’altro è un russo, il cui cuore ha smesso di battere il 9 maggio. In merito a quest’ultimo caso, secondo fonti dell’agenzia Agi, lo sciopero della fame sarebbe stato messo in atto per dar vita a pressioni sulle autorità per l’estradizione nel suo Paese di origine.

Dopo la diffusione della notizia, il Garante nazionale delle persone detenute e private della libertà, Mauro Palma, “richiama l’attenzione pubblica sulla necessità della completa informazione che deve fluire dagli Istituti penitenziari all’Amministrazione regionale e centrale affinché le situazioni problematiche possano essere affrontate con l’assoluta attenzione che richiedono“.

Mentre molta doverosa attenzione è stata riservata allo sciopero della fame nel caso di una persona detenuta al 41-bis, con interrogativi che hanno anche coinvolto il mondo della cultura e l’opinione pubblica, oltre che le Istituzioni, nella Casa di reclusione di Augusta il silenzio – denuncia il Garante – ha circondato il decesso di due persone detenute avvenuto a distanza di pochi giorni, ambedue in sciopero della fame rispettivamente una da 60 giorni e l’altra da 41 giorni“. “Quest’ultimo, ergastolano, protestava perché sin dal 2018 aveva richiesto l’estradizione nel proprio Paese”, la Russia.

Il Garante nazionale – sottolinea il comunicato – “non intende assolutamente sollevare problemi relativi all’assistenza che queste persone possono avere avuto nell’Istituto e all’adempimento dei protocolli che sono previsti in simili casi”. “Intende però richiamare la necessità di quella trasparenza comunicativa che, oltre a essere doverosa per la collettività, può anche aiutare a trovare soluzioni in situazioni difficili perché non si giunga a tali inaccettabili esiti“, conclude la nota del Garante.

da Avvenire

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