I suicidi in carcere sono una vergogna per il Paese e un insulto alla Costituzione repubblicana
di Vito Totire – medico del lavoro e psichiatra, portavoce della “Rete europea per l’ecologia sociale”
Le lacrime e i “buoni” propositi del giorno dopo sono inutili e persino irritanti. Il sindaco di Bologna Matteo Lepore è intervenuto pubblicamente – dopo il suicidio di un 53enne detenuto di origine serba nel carcere della Dozza la scorsa settimana – con parole che sono preferibili al silenzio ma che non colgono minimamente la natura della questione.
Stiamo assistendo a una «strage colposa con previsione» (se vogliamo definirla in termini giudiziari) ma soprattutto a una catastrofe umanitaria della quale si continuano ad occultare le cause per ignoranza, opportunismo o malafede. Il primo suicidio, terrificante e pesantemente annunciato, nella Dozza avvenne nel 1986, a carcere appena aperto (non che ovviamente San Giovanni in Monte fosse meglio). Sono passati 36 anni. Quel “pesantemente annunciato” è un eufemismo. Ricordiamo a proposito di prevedibilità e di “messaggi presuicidari” il suicidio di un giovane a Parma: prima del gesto autolesivo aveva ingoiato 5 rotoli di carta igienica: un gesto difficile da decodificare? Ricordiamo il suicidio di un giovane di origine africana in questura a Bologna: in quella circostanza dicemmo che la prassi istituzionale era andata oltre l’analisi/denuncia di Foucault (da «sorvegliare e punire» a … punire senza neanche sorvegliare).
Infine l’ultimo suicidio a Bologna pochi giorni fa. Possibile che lo Stato italiano voglia gestire “tutto” il disagio psichico con le Rems (sovraffollate) che sono però destinate a ospitare (avvolte peraltro da filo spinato) solo le persone prosciolte e non le persone per quali il pregiudizio al benessere psichico è sopraggiunto dopo l’aver commesso il reato (ammesso che siano davvero responsabili) ed è sopraggiunto magari anche – o solo – a causa delle condizioni di costrittività e di deprivazione psicosensoriale subìte dall’abuso di mezzi di correzione?
E’ ovvio che non proponiamo una prevenzione gestita su criteri meramente custodialistici. Il piano di prevenzione deve avere un approccio sistemico al rischio che peraltro coinvolge anche il personale addetto alla custodia (i “detenenti” oltre che i “detenuti”). L’Italia non ha un piano nazionale di prevenzione per la popolazione generale (recentissimamente una mozione parlamentare ha «impegnato» il governo) e ancor meno ce l’ha per quella popolazione particolarmente a rischio che sono le persone private della libertà. La tragedia dei 59 suicidi nelle carceri italiane dall’inizio del 2022 (il 50 % dei morti in carcere, un dato epidemiologico impressionante) non s’affronta – come si illude il sindaco di Bologna – con qualche medico in più. Piuttosto le indagini (poche ma molto significative) svolte in Italia mostrano che già oggi la popolazione detenuta è sovraccarica di farmaci e psicofarmaci se confrontata con la popolazione generale, nonostante l’età media più bassa. Dunque la soluzione non è incrementare la medicalizzazione delle “contraddizioni” (anche se il personale sanitario va comunque aumentato).
Occorre piuttosto una rivoluzione nella gestione della privazione della libertà individuale se vogliamo rispettare il dettato costituzionale. Da sempre, ma in maniera sistematica dal 2004 – vox clamans in deserto – avanziamo proposte su come il sindaco (in qualità di autorità locale) di concerto con la Ausl dovrebbe intervenire sul carcere. Abbiamo gridato e ribadito sistematicamente che la Dozza è un luogo che – valutato con i parametri “normali” della igiene pubblica – avrebbe dovuto essere chiuso e demolito da decenni. L’anno scorso abbiamo sollecitato alcuni gruppi consiliari (non quelli del partito “butta la chiave”) a indire una istruttoria pubblica: nessuna risposta ma dobbiamo rilanciare.
Che un’istruttoria pubblica si tenga allora entro il 2022. Se non vi saranno su questa proposta iniziative istituzionali (che la potrebbero accelerare) valuteremo la possibilità di raccogliere le firme per ottenerla. Nè ci fermeremo a questo. La misura è colma, non da oggi ma dal primo giorno in cui la Dozza è stata aperta.
Lo abbiamo affermato ripetutamente e pubblicamente: la DOZZA è il luogo in assoluto più nocivo, morbigeno, mortifero di tutta la città metropolitana.
Demolire il carcere della Dozza è un dovere etico, sociale e politico.