Carcere e abusi, registrazione shock inchioda agenti
- settembre 26, 2014
- in carcere, malapolizia, violenze e soprusi
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La moglie del detenuto che ha registrato di nascosto le guardie che parlano di pestaggi nel carcere di Parma, decide di rivelarsi al Garantista (ASCOLTA LA REGISTRAZIONE).
LA REGISTRAZIONE
Nella registrazione la guardia carceraria si lascia andare: “Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu“. Il medico del penitenziario è ancora più esplicito: “Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero. Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l’agente che si è difeso, ok?
Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no… Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte.
NE PICCHIAMO TANTI, QUI COMANDIAMO NOI
Da questa registrazione, resa pubblica attraverso i mass media, è partita un’ispezione interna da parte dell’Amministrazione penitenziaria e l’apertura di un’inchiesta da parte della Procura. Sono intervenuti, in merito alla vicenda, Desi Bruno e Roberto Cavalieri, rispettivamente Garante regionale e Garante del Comune di Parma dei detenuti, esprimendo “preoccupazione circa il contenuto delle registrazioni diffuse dalla stampa e realizzate, per come viene riferito, all’interno del penitenziario di Parma da parte di un detenuto”.
Proseguono ancora i garanti: “Tali contenuti qualora confermati nella loro veridicità e completezza, farebbero emergere che all’epoca dei fatti, e cioè negli anni 2010-2011, si sarebbe verificata una situazione di subordinazione delle questioni di salute e incolumità dei detenuti alle pratiche della custodia anche quando queste si sono manifestate, secondo le accuse, in modo illegittimo attraverso l’uso della violenza”Il detenuto che ha registrato la conversazione si chiama Rachid e attualmente è rinchiuso nel carcere di Sollicciano.
La moglie ha inviato una lettera al direttore del carcere affinché gli garantisca protezione da eventuali ritorsioni. Emanuela D’Arcangeli -questo è il suo nome- tramite il suo blog “Carcere e Verità” sta intraprendendo una battaglia per combattere la situazione infernale del sistema penitenziario. La sua lettera indirizzata al Garantista è un invito ad intraprendere una battaglia che non sia una lotta tra detenuti e guardie “cattive”, ma una lotta creando un fronte comune composto da familiari, detenuti, operatori e le stesse guardie penitenziarie che credono nel loro lavoro. In altre registrazioni, sempre messe a disposizione sul canale Youtube “Carcere e Verità“, ci sono colloqui con altre guardie carcerarie le quali ammettono che non testimonieranno mai contro i loro colleghi. Quello che avviene in carcere resta chiuso tra quattro mura; una sola parola vige tra gli operatori penitenziari: omertà. L’invito di Emanuela è quello di combatterla.
– Damiano Aliprandi
LA LETTERA
Io ero una persona cattiva. Chiedo scusa se gioco con le parole che usai nella mia precedente lettera, due mesi fa, sempre su questo giornale. A Luglio ero un’anonima testimonianza, che se da un lato aveva tanto da dire, dall’altro doveva frenarsi, perché la verità più scomoda, era anche quella che doveva tacere. Ma ora è diverso.
La sera del 18 Settembre, nell’edizione delle 20 del TG1, è andato in onda un servizio su un detenuto di Parma, che servendosi di alcuni registratori vocali, era riuscito a documentare una lunga serie di colloqui con le guardie del carcere. Quello che ne è venuto fuori si può sintetizzare
in due parole: violenza e omertà. Quel detenuto incosciente e coraggioso è l’uomo che ho avuto la fortuna di sposare. E’ la persona che ha preso i miei limiti e negli anni li ha spinti sempre un po’ più avanti, fino a farli arrivare vicino ai suoi.
Ma come spesso accade, il coraggio viene dalla disperazione e noi non siamo diversi. Nella memoria, l’anno passato a Parma rimane il peggiore di tutta la detenzione di Rachid. Mi bastano solo poche parole, per far capire il mio stato d’animo, dall’Ottobre del 2010, all’Ottobre dell’ anno seguente: Rachid lo stavano consumando piano e ad ogni colloquio mi mostrava i segni di questa o quella violenza. Tanto che arrivai a domandarmi se alla fine sarebbe rimasto ancora qualcosa da picchiare.
Il pestaggio di cui parla la traccia andata in onda al TG, documenta uno degli eventi, ma non l’unico.
Appena entrato ha subito violenza. Dopo due mesi, avvenne l’aggressione di cui parla la traccia del telegiornale. Poi il braccio chiuso inavvertitamente nel blindato; il dito incastrato inavvertitamente nella ruota della carrozzina, che usava per deambulare. Due scioperi della fame, che lo fecero arrivare a pesare 36 kili. Le manciate di psicofarmaci che gli davano e che lui faceva uscire a colloquio.
Senza parlare delle cose più piccole (ma in carcere niente è “piccolo”): l’acqua corrente, sospesa per tre giorni; i generi alimentari acquistati con i suoi soldi, requisiti e restituiti dopo alcune settimane, marci; il suo Corano buttato a terra senza rispetto, durante una perquisizione; le foto della sua famiglia richieste per mesi e per mesi negate, perché ritenute di un formato non consentito, salvo poi scoprire che invece erano consentite. Le voci false di pedofilia, diffuse per screditarlo agli occhi degli altri detenuti.
Se queste cose non avessero trovato riscontro, non saremmo mai riusciti a dimostrarle, perché tutte insieme sembrano troppo assurde, per essere vere. Ma lo sono.
Due mesi fa, dovevo essere cattiva, perché avevo un ideale da portare avanti, contro poteri più forti di me.
Oggi posso dire che non ho solo un ideale, ma ho anche le prove. In questi giorni il DAP e la Procura, si sono limitati a commentare l’accaduto, gettando dei dubbi
sull’autenticità di queste registrazioni. Me lo aspettavo, ma la prevedibilità della reazione, non mi consola, anzi.
Al DAP, alla Procura, ma anche alle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria e ad ogni singolo agente, impegnato nelle carceri italiane, voglio dire che ripetere che non è possibile fare entrare dei registratori in carcere, significa perdere tempo inutilmente.Le registrazioni sono autentiche, parlano di luoghi, date, eventi e la voce è quella di Rachid, che dal Giugno del 2008 è detenuto dallo Stato. Non ci sono stati permessi, domiciliari, lavoro all’esterno.
Non sono accuse generiche. Non ha senso mantenere una posizione. Non ha senso dubitare o addirittura negare.
Piuttosto occorre fare fronte comune: i detenuti, i familiari, insieme agli agenti che credono nel loro lavoro e lo vorrebbero fare al meglio; contro quelle che una volta erano le mele marce, ma che oggi hanno infettato il sistema. Ho detto che la realtà delineata da quelle tracce si compone di violenza, ma anche di omertà.
Le carceri sono piene di lavoratori onesti, che non alzerebbero mai le mani, che non sono naturalmente portati alla violenza, ma tacciono. Il silenzio non lascia traccia sulla pelle, ma è complice della violenza.
Parole come “Io non denuncero’mai un collega” fanno male, quanto un cazzotto sullo stomaco o un calcio alla schiena.
Solo parlando, solo denunciando, le violenze possono venire fuori. La lotta per farle uscire, non è la guerra dei detenuti, contro la polizia. Piuttosto e’ la lotta di tutti
quelli che in carcere vivono, o lavorano, al fine di ottenere condizioni più umane e anche più stimolanti, che liberino il carcere dalla certezza di essere un luogo inutile.
Voglio terminare con una domanda agli agenti. Il ruolo che il sistema carcere vi attribuisce, al momento, resta sospeso tra due compiti: quello del portinaio e quello del maggiordomo.
Ma se vi preparasse, affinché possiate diventare soggetti veramente attivi nel recupero del detenuto, formandovi e incrementando le vostre competenze, non ricavereste un piacere maggiore dal vostro lavoro?
– Emanuela D’Arcangeli, Carcere Verità (CARCEREVERITA’ LEGGI IL BLOG)
articolo di Damiano Aliprandi da il Garantista