Il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma presenta al Senato la Relazione annuale. Ergastolo ostativo, ddl «da cambiare». «Identificativi sugli strumenti degli agenti»
C’è il «tempo dell’infamia» e quello della responsabilità, il «tempo operatore della pena» e quello «riconfigurato»; c’è il «presente del passato», il tempo «sospeso» che diventa ancora più sospeso con la pandemia, il tempo del procedere, della «guarigione» e quello che non ha fine, mai. Il tempo recluso e quello liberato; il «nontempo» che prende il posto del «nonluogo» di augéniana memoria.
È su questo filo rosso del concetto del tempo che non scorre allo stesso modo per tutti (come spiega in un’apposita sezione il fisico teorico Carlo Rovelli distinguendo il «tempo proprio» della fisica contemporanea da quello «universale» della meccanica newtoniana), soprattutto se «non è più scandito da scelte autonome, neppure minime, ma è determinato dalle sole tappe quotidiane dell’istituzione in cui la persona si trova», che si dipana la Relazione annuale al Parlamento del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale presentata ieri al Senato, presente il presidente Mattarella.
DUE CORPOSI VOLUMI quest’anno raccontano con dovizia di particolari – mappe, grafici e testi affidati anche a intellettuali esterni al mondo penitenziario – il tempo di vita dei reclusi, in carcere, nelle Rems o negli hotspot per migranti. In particolare, il Garante Mauro Palma si è soffermato su quella maggioranza della popolazione penitenziaria che è «priva di mezzi» culturali, economici e di prospettiva.
«Dei 54.786 detenuti registrati (ma quelli effettivamente presenti sono 53793) e dei 38.897 che stanno scontando una sentenza definitiva, ben 1319 sono in carcere per esecuzione di una sentenza di condanna a meno di un anno e altre 2473 per una condanna da uno a due anni». Condanne che potrebbero essere scontate con misure alternative e questo, spiega Palma, «è sintomo di una minorità sociale che si riflette anche nell’assenza di strumenti di comprensione di tali possibilità, di un sostegno legale effettivo, di una rete di supporto. Una presenza, questa, che parla di povertà in senso ampio e di altre assenze e che finisce col rendere meramente enunciativa la finalità costituzionale delle pene espressa in quella tendenza al reinserimento sociale: perché la complessa macchina della detenzione richiede tempi per conoscere la persona, per capirne i bisogni e per elaborare un programma di percorso rieducativo».
Il tempo trascorso in carcere in questo caso è tempo sospeso, che si nutre unicamente del passato e non può essere proiettato su un futuro legale possibile. «Il tempo sottratto deve avere sempre significato e deve essere chiaramente orientato alla finalità che tale sottrazione ha consentito, oltre che circondato da tutte le tutele imposte dalla riserva di legge e di giurisdizione», sottolinea Palma.
SE POI IL TEMPO si dilata quando si tratta di accertare le responsabilità delle violenze perpetrate sui detenuti, come nel caso di Santa Maria Capua Vetere, vicende che invece richiederebbero «capacità di accertamento rapido anche a tutela delle persone su cui pende una incriminazione così grave quale quella di tortura o di favoreggiamento», allora la crisi del sistema dell’esecuzione delle pene diventa ancora più profonda e inaccettabile. Motivo per il quale il Garante dei detenuti torna a chiedere «un identificativo numerico», non tanto per gli agenti (vista la feroce opposizione dei sindacati del Corpo, di cui molti partiti si fanno portavoce), quanto per «ogni strumento o mezzo di difesa in dotazione» ai poliziotti penitenziari e di Stato. «L’identificativo numerico sia apposto – chiede Palma – in maniera visibile su ciascuno di essi e sia istituito un registro per l’annotazione dell’assegnazione ai singoli operatori, in ogni singola occasione per cui si è fatto ricorso a essi».
PER IL GARANTE, poi, è urgente affrontare la questione dei condannati all’ergastolo ostativo che dovrebbero poter «esercitare concretamente il diritto alla reintegrazione sociale che l’art. 27 della Costituzione prescrive». Diritto che, sottolinea la Relazione al Parlamento, non viene tutelato dal testo di legge licenziato dalla Camera con «disposizioni decisamente peggiorative rispetto alla disciplina su cui esso è intervenuto».
Una Relazione davvero importante, che dimostra quanto l’ufficio del Garante, operativo dal 2016, sia diventato «una Istituzione consolidata, riconosciuta e ormai accreditata a livello internazionale». E che, «proprio per questo – chiede Mauro Palma – richiede oggi un consolidamento interno, con il passaggio da una situazione di generosa provvisorietà», a quella «del pieno riconoscimento della professionalità acquisita e della volontà di non disperdere tale esperienza e tale sapere».
da il manifesto