Secondo il Dap al 31 marzo i detenuti sono 60.611. A settembre 2018 erano 59.275
Oramai è una certezza. Il trend del sovraffollamento è in costante crescita. Al 31 marzo, secondo gli ultimi dati aggiornati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, risultano 60.611 detenuti ( il mese precedente 60.348) con il risultato che fa registrare la presenza di 10.097 ristretti oltre la capienza regolamentare. Al 28 febbraio erano 9.826 detenuti in più. Al 31 gennaio, invece, se ne registravano 9.575. Ancora prima, al 30 novembre ce ne erano 9. 419 in più, mentre a settembre erano invece 8.653. In realtà, nei conteggi, non vengono sottratte le celle inagibili o chiuse per i lavori in corso. Dall’ultima relazione del Garante nazionale delle persone private della libertà, emerge che alla data del 14 febbraio 2019 quelle inutilizzabili sono pari al 6,5% del totale, percentuale comunque positivamente diminuita di tre punti rispetto a quella riportata nella Relazione al Parlamento di due anni fa.
Permangono casi limite: ad Arezzo da più anni su 101 posti solo 17 sono disponibili, a Gorizia solo 24 dei complessivi 57 previsti, in Sardegna il 13% dei posti ufficiali è inutilizzabile. Ma, come più volte ha ribadito il Garante Mauro Palma, non esiste solo il problema della “dimensione”, ma anche di come dovrebbe essere concepita la cella. Cosa significa? La cella deve essere destinata al riposo, perché il luogo naturale dell’attività ( e quindi della vita detentiva) deve essere fuori di essa. «A livello di sistema – si legge nel rapporto del Garante al Parlamento -, possiamo perciò dire che non deve aver corso l’abusata sineddoche in base alla quale si parla della “cella” per intendere il “carcere”. Consideriamola solo “camera di pernottamento” spostando il centro di gravità verso gli spazi esterni, comuni,
sociali, relazionali, in cui si praticano attività dotate di un senso, che creano un’identità e riempiono un tempo altrimenti vuoto». La realtà però è diversa. I rapporti sulle visite effettuate dal Garante nazionale sia a livello di condizioni materiali, sia a livello di centro di gravità della vita detentiva spostato sulla camera e non fuori di essa «restituiscono – si legge sempre nel rapporto – ancora un eccesso di inadeguatezze e una prevalenza del modello “infantilizzante” su quello “responsabilizzante”».
Ma il sovraffollamento è comunque un problema, riconosciuto dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede anche durante l’ultimo confronto avuto con la delegazione del Partito Radicale. La soluzione? Quella prospettata dal guardasigilli è la costruzione di nuove carceri, oppure convertendo le vecchie caserme dismesse. Soluzione però non condivisa non solo dal garante nazionale dei detenuti, dalla camera penale e ovviamente dal partito radicale, ma anche da Magistratura Democratica. Sono due le scuole di pensiero: da una parte c’è chi concepisce il carcere come extrema ratio e quindi la possibilità di implementare l’utilizzo delle pene alternative utili anche ad abbattere la recidiva, l’altra è quella di usare esclusivamente il carcere e riabilitare il detenuto attraverso di esso. Rimane il dato oggettivo che non aumentano le entrate visto il calo dei reati, ma diminuiscono le uscite dal carcere: una parte consistente riguardano i detenuti che provengono da situazioni di emarginazione sociale e quindi non possono accedere facilmente alle misure alternative non avendo una sistemazione stabile.
Damiano Aliprandi
da il dubbio