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Carcere: Un terzo dei detenuti vive in condizioni disumane

In metà delle celle mancano l’acqua calda e la doccia, ma soprattutto lo spazio Un terzo dei detenuti nelle carceri italiane ha trascorso il 2021 in condizioni disumane. È quanto emerge dagli ultimi dati pubblicati dall’osservatorio dell’associazione Antigone, che confermano quelli del report presentato a luglio.

I dati sono stati raccolti tra l’8 febbraio e il 28 dicembre 2021, periodo nel quale gli attivisti di Antigone hanno visitato 99 carceri italiane. In un terzo di esse, come in quella di Regina Coeli a Roma, c’erano celle in cui i detenuti avevano meno di tre metri quadrati a testa di spazio calpestabile, sotto il limite per il quale la detenzione viene considerata disumana e degradante. Nel 40 per cento degli istituti monitorati, i detenuti vivevano senza acqua calda, mentre il 54 per cento delle celle era privo di doccia, che invece dovrebbe essere obbligatoria.

In 15 carceri infine non c’era il riscaldamento, e in 5 il wc non era in un ambiente separato rispetto al luogo dove i detenuti dormono e vivono. La pandemia carceraria La situazione è resa insostenibile anche dal sovraffollamento dei penitenziari. Quasi tutte le carceri monitorate sono infatti più affollate di quanto dovrebbero. Nel carcere di Bari, tra gli ultimi a essere visitati, c’erano 441 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 288.

In quello di Poggioreale invece ce n’erano 2.190, ma la struttura potrebbe ospitarne al massimo 1.571. In totale, secondo il monitoraggio del dipartimento di amministrazione penitenziaria, il 28 dicembre i detenuti erano 52.569, contro i 50.809 posti disponibili nelle carceri italiane.

Anche a causa del sovraffollamento, unito all’arrivo della variante omicron, nelle ultime due settimane del 2021 i detenuti positivi al Covid-19 sono più che raddoppiati, passando dai 239 del 13 dicembre ai 510 del 28 dicembre. Per di più, la mancanza di personale ha reso ancor più difficile la gestione della pandemia carceraria.

Secondo Antigone meno di un penitenziario su due, il 44 per cento, ha un direttore che lavora solo in quell’istituto, e appena il 21 per cento ha un qualche servizio di mediazione linguistica e culturale rivolto ai detenuti stranieri, che rappresentano il 31,4 per cento del totale.

Dietro le sbarre scarseggia anche il lavoro, concesso solo al 43,7 per cento dei reclusi delle carceri visitate, quasi sempre alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e con mansioni spesso inutili nel mondo esterno. L’occupazione in carcere, in generale, resta poca e sottopagata, come dimostra lo stipendio medio lordo percepito, che è di appena 560 euro al mese.

Oltre al lavoro, a mancare in molte carceri è la tutela della sicurezza e della salute fisica e mentale dei detenuti. A fine dicembre a Monza, Torino e Santa Maria Capua Vetere sono partiti i processi che indagano sulle torture subite dai detenuti. Ma queste, spiega all’Essenziale il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, “sono solo le violenze che vediamo.

Poi ci sono quelle che non vediamo, che sono tante”. A curarle, però, nel 36 per cento degli istituti monitorati non c’era neanche un medico attivo 24 ore su 24, mentre psichiatri e psicologi erano disponibili in media rispettivamente 8 e 17 ore a settimana ogni 100 detenuti. Si tratta di mancanze che si ripercuotono sulla salute mentale dei reclusi: il 7 per cento di loro ha una diagnosi psichiatrica grave, mentre i126 per cento fa uso di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi. Ciò nonostante, in tre carceri su quattro, i176 per cento, non c’è nemmeno un reparto ad hoc per i detenuti con infermità psichica.

Nel Lorusso Cutugno di Torino, ad esempio, sono stati trovati 17 pazienti psichiatrici detenuti in condizioni che Gonnella definisce “inaccettabili per un paese civile”. Quel reparto, racconta, “sembrava un manicomio criminale dell’ottocento: persone buttate in cella, imbottite di psicofarmaci, maltrattate, in condizioni igienico sanitarie orribili, lasciate sole con la propria malattia mentale”.

È così, spiega Gonnella, “che tante persone sviluppano in prigione la loro malattia psichiatrica. Il carcere, in questi casi, diventa esso stesso una malattia”. Sintomi di questa malattia sono anche i tanti atti di autolesionismo e suicidi registrati nel 2021 nei penitenziari italiani.

Nel carcere fiorentino di Sollicciano, ad esempio, quest’anno ci sono stati in media 105 atti di autolesionismo ogni 100 detenuti. Negli ultimi dodici mesi ben 132 detenuti sono morti in carcere, dei quali 54 si sono suicidati. Altri due si sono tolti la vita nei primi giorni del 2022.

da L’Essenziale